giovedì 6 febbraio 2014

AMICIZIA.

 «Nessuno sceglierebbe di vivere senza amici» scriveva Aristotele nell’Etica nicomachea. Nella storia della filosofia, in realtà, le trattazioni sull’amicizia non abbondano. Joseph Epstein osserva che un’espressione come «mia moglie è la mia migliore amica» non sarebbe stata immediatamente comprensibile in epoche neppure molto lontane. Ciò che ha cambiato le cose, e che ha reso i rapporti di amicizia più complessi e problematici di un tempo, è stata proprio la grande rivoluzione della condizione femminile, che ha «contribuito a trasformare radicalmente la natura di molti tipi di amicizia: tra mariti e mogli, tra uomini e donne, tra le donne stesse». L’amicizia non è neppure sempre un piacere. «Spesso» scrive Epstein «mi capita di sentirmi oppresso da un sentimento di obbligo, da una tolleranza forzata, da una noia stupefacente.» Per godere dei suoi migliori frutti, non bisogna dunque idealizzarla troppo, e per trovare il giusto equilibrio bisogna considerarla un’arte e conoscere una serie di piccoli trucchi. Per esempio, per attirare la simpatia di qualcuno, suggeriva Benjamin Franklin, a volte è meglio chiedergli un favore piuttosto che farglielo, perché ciò gratifica assai di più la sua autostima. Epstein ci ricorda che nella teoria di Sigmund Freud non c’è nessuno spazio per l’amicizia. «Nella loro visione pansessuale i freudiani pensano che l’amicizia maschile più intima sia in fondo omoerotica, mentre ritengono inconcepibile l’idea di un’amicizia maschio-femmina priva di implicazioni sessuali, convinti che l’unica cosa che gli uomini desiderano fare alle donne è saltare loro addosso.» Per questo «i freudiani, come la Germania dopo la Seconda guerra mondiale, dovrebbero essere obbligati a pagare ingenti riparazioni ai loro poveri pazienti-vittime ». L’amicizia, rispetto ad altre istituzioni, è anche un vero atto di libertà. «Diversamente dalla famiglia, che non abbiamo diritto di scegliere, le nostre amicizie sono fondate interamente sulla scelta personale. Il saggista inglese Hugh Kingsmill si divertiva a chiamare gli amici «le scuse di Dio»; voleva dire che Dio, per chiederci scusa e fare ammenda delle famiglie che ci aveva imposto, ci aveva anche donato gli amici.

Armando Massarenti (Dizionario delle idee non comuni - 2011 - Ugo Guanda Editore)

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