Beppe Grillo è andato da Bruno Vespa con
un’apparente contraddizione. Come condottiero della protesta più
scatenata e più ostile a tutto il resto della politica italiana: “O noi o
loro”. Ma anche con la faccia del leader in grado di governare la
“rabbia buona” e per dimostrare “alla gente di una certa età che ha un
pregiudizio su di me” di non essere “né Hitler né Stalin”. È riuscito a
tenere insieme incazzatura e senso di responsabilità? Diciamo subito che
ha fatto il pieno di ascolti, ma che nei quattro milioni e
duecentosettantamila spettatori non c’erano solo fan del M5S o anziani
da rassicurare, oppure gente incuriosita da un evento spettacolare (il
comico più dissacrante a cospetto dell’anchorman più istituzionale,
comunque incalzante), perché davanti alla tv c’erano soprattutto
elettori ancora incerti che hanno aspettato lunedì sera per decidere sul
da farsi. Quanti di questi Grillo ne avrà portati dalla sua parte lo
capiremo solo la notte del 25 maggio, ma certamente ha fatto breccia ciò
che gli viene di più rimproverato, e cioè l’insofferenza urlante verso
chi ha ridotto l’Italia allo stremo: istituzioni , ministri, banchieri,
corrotti e bancarottieri, sì tutti nello stesso mazzo perché la collera
non fa distinzioni.
Chi parla di mal di pancia fa finta di
non capire cosa bolle nella profondità di una nazione, in quegli strati
sociali massacrati dalla crisi che non credono più a una parola della
politica tradizionale o nei compromessi: o noi o loro, appunto. Quel
rancore rappresenta il propellente di un movimento che alle ultime
elezioni ha raccolto quasi nove milioni di voti e non ha tutti i torti
il capo a dire che, senza il frangiflutti grillino, la protesta avrebbe
potuto esondare in una violenza di massa. Poi ci sono quelli che pensano
di votare Grillo per dare un ultimo segnale all’immobilismo delle
classi dirigenti, ma che lo faranno nel segreto dell’urna perché sotto
sotto sentono che esiste un rischio nel lasciare troppo spazio a un
fenomeno incontrollabile. È la paura su cui punta Renzi, convinto che il
limite dei Cinque Stelle sia nella loro stessa forza dirompente che non
ha altro programma di governo se non la conquista stessa del governo.
Il premier sa benissimo che la sua vittoria è affidata al timore
dell’avventura e dell’ignoto che suscita l’avversario, più che agli 80
euro o agli annunci di mirabolanti riforme. La rabbia e la paura: mai
elezioni furono più emotive.
Antonio Padellaro (Il Fatto Quotidiano - Jack's Blog - - 21 maggio 2014)
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