domenica 15 giugno 2014

Hiandra, Adriel, i bambini di Manaus: "Ma dopo la partita ci porti da Balotelli?"

MANAUS - Hiandra non ha dormito stanotte. Alle quattro del mattino era ancora sveglia, alle sei già pronta con la sua medaglia più bella al collo, il vestito rosa a fiori, le infradito prestate dalla vicina perché le sue, un po' rotte, ha detto non le metto, con queste non sono elegante, vado scalza. Hiandra Cecilia ha sette anni. Vive a Nova Cidade, il quartiere a Nord di Manaus dove le strade sono di terra e non hanno nome. Laggiù, si dice indicando con la mano: dopo l'albero. La madre le ha spiegato: scalza allo stadio non ti fanno entrare, metti quelle di Jakeline.

Il biglietto coi colori del pappagallo Fifa lo ha tenuto sotto il cuscino, in quelle due ore di dormiveglia. "Lo metto qui, se no Weslem me lo ruba". Weslem, 13 anni, è suo fratello: gioca all'ala, dice subito. Lei a calcio no. Lei è campionessa amazzonica di jiu jitsu, ha un mazzo di medaglie così nella baracca senza bagno in cui abita. Quando l'altro giorno dalla scuola il maestro Nonato è venuto a bussare per dirle "hai vinto un biglietto per andare allo stadio a vedere Italia-Inghilterra", Hiandra, abbiamo estratto a sorte e sei uscita tu lei non ha detto una parola, ha sorriso con le gengive vuote di denti ed è andata a nasconderlo. Come il bambino della Fabbrica di cioccolato che trova il biglietto d'oro per andare da Willy Wonka, ma lei questo naturalmente non lo sa. Hiandra non ha la televisione e al cinema non c'è stata mai. Weslem, suo fratello, quando ha saputo che non ce n'era uno anche per lui ha pianto tutto il giorno poi ha detto va bene, almeno però portami un autografo di Balotelli.
Il maestro Nonato ha 1.600 alunni alle elementari della scuola Dorval Varela, unico edificio di mattoni del quartiere: classi di 45 bambini ciascuna, tre turni di lezione al giorno. Dice che è una fortuna che Hiandra sia brava nello sport, che possa ogni tanto uscire dal quartiere e vedere il mondo fuori, il nuovo stadio persino, una partita del Mondiale addirittura, perché è una bambina molto sveglia e molto bella. "A 12 anni, da noi, una bambina così ha un solo destino, purtroppo. Dobbiamo vigilare molto perché se no vengono a prenderla e la portano in centro, a battere nelle case dietro ai bar. Le famiglie cosa possono fare? Non hanno nulla, vivono della Bolsa Familia, il sussidio dello stato. Quando i figli portano a casa i soldi non domandano. I maschi spacciano maconha, l'erba amazzonica che serve a curare la malaria ma se la fumi è una droga micidiale, costa quasi nulla. Le femmine si prostituiscono con i ricchi che arrivano dall'Europa due mesi all'anno per curare i loro interessi nella Zona Franca". Nella zona franca di Manaus non si pagano tasse, investire conviene.

(Mentre Hiandra veglia sul suo biglietto sotto il cuscino stasera, al Teatro Amazonas, l'ambasciata italiana offre un concerto dell'Ensemble Stradivari. Suonano musicisti arrivati dal San Carlo di Napoli e da Santa Cecilia. Musiche d'opera italiane per immigrati e tifosi in trasferta: un grande evento nel teatro di Fitzcarraldo, quello di Herzog, quello dove ai tempi d'oro del caucciù veniva a cantare Caruso. Una copia della Scala in mezzo alla foresta. Il pubblico locale indossa bermuda e ciabatte. Gli italiani giacche blu e scarpe da vela. Nel palco 19 sono seduti sei imprenditori cinquantenni. "Allora domattina, dopo le interviste con la Rai, vado io a prendere le ragazze. Ne ho trovate quattro di 16 anni. Ho detto: ma non ci arrestano se ci scoprono, tu 16 e io 51? Lei ha detto, no, non ho mai avuto problemi. Mai, ha detto. Quindi ha esperienza". Risate. Altro melomane: "Ma quanto vogliono, però". Il primo: "Ma niente, quello che hai in tasca, due soldi. Al limite le paghiamo con un tiro di coca". Altre risate. Puccini, dal palco. Nessun dorma).

Il maestro Raimondo Nonato racconta che quando sono arrivati i 18 biglietti per i bambini più poveri e per gli indigeni della città - dal ministero dell'Istruzione, 50 mila biglietti da distribuire gratis nelle scuole e nelle comunità indigene del Brasile - hanno fatto a scuola una riunione con tutti gli insegnanti ma non riuscivano a decidere. Hanno estratto a sorte, alla fine. Poi hanno fatto una settimana di lezione sull'Italia: dove si trova, chi sono i suoi eroi, i monumenti. Ecco, questi sono i disegni. Adriel, 7 anni, ha fatto il Colosseo e la torre di Pisa, un po' troppo diritta ma va bene, poi ha chiesto di portarlo a casa a farlo vedere alla nonna. Anche Adriel parte per l'Arena Amazonia, oggi. Li porta in macchina il maestro, lui e Hiandra. Anche Adriel non gioca al pallone, è un bambino timido e un pochino sovrappeso, devono essere i nervi dice la nonna, Jeda Coelho, perché mangiare non mangia niente. Oggi per esempio per festeggiare che si va alla partita ci sono castagne amazzoniche, per pranzo. Due castagne essiccate a testa. "Nutrono moltissimo, ciascuna vale come tre piatti di riso", dice la donna. Solo che finiscono in un boccone, al contrario di tre piatti di riso, e a tavola non ci si siede mai. La madre di Adriel non lo accompagna allo stadio, andrà lo zio. La mamma è devota della chiesa evangelica: dà alla chiesa tutto quel che guadagna salvo il minimo che le occorre per vivere. Avrebbe dovuto dare anche il biglietto, spiega Jeda, quindi non ha voluto nemmeno toccarlo.
 (Dalle finestre delle case del centro, dai taxi le radio mandano in continuazione i sermoni dei predicatori evangelici. Parlano come in una televendita: oggi dobbiamo vendere almeno venti libri di preghiera, almeno venti, portate tutto ciò che avete, lasciate il vostro telefono se non avete reals, un libro di preghiere vale più di un telefono. Alle 11 in Avenida Curacao, venite tutti. Padre Gigi Muraro, gesuita, dice che gli evangelici sono cresciuti moltissimo negli ultimi anni: i missionari cattolici italiani in Amazzonia sono migliaia, laici e religiosi, ma gli evangelici "parlano una lingua nuova e promettono a chi non ha niente gloria in cielo. Noi proviamo a dar loro qualcosa in terra, e non basta mai").

Hiandra e Adriel in macchina verso lo stadio domandano se poi, dopo la partita, ci si può fermare a fare il bagno al fiume. Oggi meglio di no, dice il maestro. Oggi ci sono tutti i barconi ancorati al molo, sono arrivate le barche dei ricchi. Oggi è pericoloso.

(Dietro al mercato coloniale, al molo giallo, è ormeggiata Gaia. Bandiera tricolore, scafo azzurro. Una ventina di imprenditori italiani hanno risalito il fiume da Santarem, 4 giorni di viaggio, arrivati ieri sera in tempo per il concerto a teatro. Il barcone è sponsorizzato dalla Fiat, il marchio dipinto sui due lati. Ci sono solo i mozzi a bordo, adesso. Gli ospiti già tutti in tribuna all'Amazonia).

"Mi porti tu da Balotelli?", domanda Hiandra. Lo stadio è grande come un'astronave, lei minuscola nel suo vestito rosa. Stringe più forte la mano nella mano. Porta B, livello 3, blocco 315. Ecco, ci siamo. Fila I, mamma mia quanta gente. "Quanti sono, un milione?". No Hiandra quarantamila, un po' meno ma tanti. Posto 4, il tuo. Siediti qui. Seduta. Ma dopo mi porti tu da Balotelli? Guarda non lo so se si può andare perché sono in campo, vedi laggiù quei puntini azzurri, quelli sono gli italiani. Gli inglesi quelli bianchi. Ora giocano, poi dopo la partita vanno via in autobus, sarà difficile. "Ma dobbiamo andare per forza, l'ho promesso a mio fratello".
(Arnaldo Russo, il console onorario, è in tribuna d'onore. Suo padre faceva il calzolaio a Rotonda, in Basilicata. È arrivato a Manaus nel 1920, ha avuto 8 figli, lui è l'ultimo. Fa l'oculista, ha uno studio in città e va in barcone dagli indios, quando serve. Medico degli occhi, dice in quel che ricorda di italiano. È un uomo corpulento e gioviale. Dice che questa politica del governo di Dilma di "dare solo, dare e basta" gli sembra assistenziale, poi tutti dipendono dai sussidi e non si emancipano. Lui in questo momento siede accanto all'ambasciatore, emancipato).

Senti, Hiandra. Appena la partita finisce andiamo dal console e lo chiediamo a lui se dopo va da Balotelli per l'autografo. Poi magari te lo manda a casa, va bene? "Ma lui non lo sa dove abito, guarda quanta gente c'è come fa a trovarmi? Non ha nemmeno un nome la mia strada. Dobbiamo assolutamente andare noi". Cori, musica, boato. Lei ha in mente solo la promessa, però. Si tocca il nastro appeso al collo. "Mi è venuta un'idea: io gli regalo la mia medaglia d'oro di jiu jitsu, questa. Gliela do, anche se lo so che non è propri d'oro ma è bella, vedi?". Sorriso di felicità. "Io gli do questa e lui mi firma l'autografo per Weslen, che mi dispiace tanto che è rimasto a casa. Che ne dici, proviamo? Andiamo?" 

Concita De Gregorio (La Repubblica - 15 giugno 2014)

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