martedì 28 ottobre 2014

PER CHI SUONA LA FANFANA

L’aretina Maria Elena Boschi ha confessato in tv di preferire il concittadino Fanfani all’icona rossa Berlinguer per ragioni territoriali. La motivazione è risibile: come se una milanese di sinistra dichiarasse di prediligere Salvini a Che Guevara perché il primo è di Milano. Ovviamente Fanfani non è Salvini e la Boschi non è milanese: resta da capire se sia di sinistra. Di sicuro è una donna che non perde mai il controllo di sé, perciò la battuta non può venire relegata nel ghetto delle gaffe. Chi l’ha pronunciata sa benissimo cosa rappresenti Berlinguer per la base del suo partito. E anche cosa rappresenti Fanfani: l’uomo del referendum contro il divorzio, il poster di una Democrazia Cristiana riformista in economia ma fieramente conservatrice in tutto il resto.
Nel vuoto attuale delle ideologie, questi giochetti sui padri nobili della politica fungono da bussola. La scelta della Boschi conferma l’estraneità del clan Renzi alla tradizione cui fa riferimento una parte consistente dei suoi elettori: Veltroni, che certo non è un pericoloso estremista, ha realizzato un film su Berlinguer, mica sull’inaffondabile toscanaccio che Montanelli ribattezzò «Il Rieccolo».
È anche da questi piccoli segnali che traspare la strategia di costruire una nuova Balena democristiana: non più bianca, semmai rosé. Una Dc moderna, digitale, che rinuncia ai rullini ma non ai Fanfani, e che attraverso il giovane erede fiorentino realizza il progetto dei democristiani più astuti del passato: svuotare la sinistra tradizionale dal di dentro, governando con i suoi voti però non con le sue idee. 

 

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