Cosa rimane del sistema bancario italiano dopo
gli esami europei
(D.Corsini, D. De Crescenzi)
L’architettura di vigilanza di Basilea è il
regno dei fini, vale a dire è un punto di arrivo per chi esercita l’attività bancaria.
Per essere sul mercato è necessario rispettare i ratios di
capitale, secondo le modalità di calcolo che si sono nel tempo succedute. Come fare
per rispettarli rientra nelle strategie di impresa, nelle politiche stabilite e
perseguite dai manager, nelle caratteristiche dei mercati serviti: più credito
e meno finanza, ovvero più titoli di Stato e meno finanza, ovvero ancora più credito
meno finanza e titoli di Stato e così via secondo mix diversi tra le
macro attività.
A questo sistema di regole, che è molto
chiaro nel suo insieme, è stato associato l’ esercizio di valutazione compiuto
da BCE e da EBA partendo dai dati di bilancio 2013, cui si sono aggiunti i
risultati della revisione degli attivi a rischio e infine quelli degli stress
test per tener conto dell'impatto sul capitale delle banche di alcuni scenari
di turbolenza economica.
L’enorme mole di dati rilasciati e disseminati sul sito
web della BCE ci permette di mostrare cosa è effettivamente accaduto e quali
sfide ha il nostro sistema bancario da affrontare, essendo uscito purtroppo un
po’ malconcio dagli esami europei.
Il punto di partenza delle valutazioni è dunque
il dicembre 2013 per ciascuna istituzione creditizia o gruppo di banche
ritenute a rischio sistemico, con l’importante avvertenza che non
l'intero attivo di bilancio è rilevante ai fini di che trattasi, ma soltanto quelle
componenti che presentano rischi secondo le categorie economico/finanziarie
individuate dalle regole di vigilanza prudenziale. Pesano molto le partite
deteriorate e i crediti all’economia (seppure con diversi coefficienti di
ponderazione) e hanno invece impatto minore i titoli di Stato e tutto il
coacervo degli strumenti finanziari.
La disclosure
dei dati ci consente di capire
come le banche si sono di fatto presentate all’importante appuntamento. Tra il
totale attivo di bilancio e le attività a rischio considerate - proprio
per il differente peso dei coefficienti vi sono differenze eclatanti. Esse
riflettono sia le relative specializzazioni di business in concreto perseguite
sia la capacità di governare i rischi prescelti. Come si vede dalla
tabella, la differenza più ampia si riscontra per le grandi banche tedesche e per
le francesi che hanno poco più di un terzo delle attività di
bilancio a rischio cui proporzionare il capitale di primo e secondo livello.
Per le banche italiane e quelle spagnole la differenza
tra valore ponderato e valore nominale degli attivi è pari
a circa la metà. Il valore minimo si ha per Deutsche Bank, una tra le
più grandi banche del mondo, con il 22%, mentre il valore massimo si ha per la
banca spagnola Banca Bilbao con quasi il 60%, che segna soprattutto il grado di
esposizione al rischio di credito.
Nella quarta colonna della tabella è poi
riportato il peso del rischio di controparte per sovereign and supranational non governamental organization
che riflette i rischi connessi
con la detenzione di titoli di Stato. Si nota agevolmente che per le banche
italiane, come per tutte le altre, esso è del tutto trascurabile, in virtù del
trattamento di favore riservato dalle regole di Basilea ai titoli del debito
pubblico e nonostante le quantità accumulate da ciascuna banca. E, come si sa,
alcune banche italiane hanno in bilancio titoli della specie per centinaia di
miliardi di euro sia per diversificare il proprio portafoglio sia per gli
effetti indotti dalle operazioni di rifinanziamento promosse dalla BCE.
In definitiva, si capiscono un po’ di
cose.
Basilea concede aree di facilitazione, di
ammorbidimento molto ampie invero, e un po’ tutte le banche ne hanno
beneficiato, come è abbastanza comprensibile per assicurare un accettabile
livellamento del campo di gioco. Si è tuttavia detto che le banche
italiane avevano le mani legate: recessione, sofferenze e altro ancora. In
effetti, nonostante manovre di bilancio volte a modificare la composizione dell’attivo
a favore dei titoli di Stato, molte di esse non sono riuscite a passare l’esame
o lo hanno passato a stento. Con il che si è data la stura ad asseriti
svantaggi competitivi rispetto agli altri sistemi bancari.
Si trascura però un aspetto essenziale. Basilea va
adattata alla struttura di ciascun sistema creditizio e un po’ come
hanno fatto gli spagnoli era necessario intervenire con una incisiva opera di
razionalizzazione e di consolidamento del sistema, mettendo al centro una
decisa regia politico/strategica che, per noi, è chiaramente mancata. Di per sé una
operazione di fusione tra banche migliora i ratios sia per rivalutazione di asset,
ma, se si accompagna a un forte progetto industriale, anche per la crescita
delle prospettive reddituali; ciò induce il mercato a valutare con favore l'immissione
di nuove risorse, consentendo di aumentare il capitale di migliore qualità.
La questione della profittabilità è quindi centrale, venendo a
dipendere dal mix capitale/lavoro più adatto al business. E qui ci si
imbatte in una di quelle peculiarità italiche, di cui siamo
gelosissimi e convinti della loro bontà al punto da volerle esportare a
tutta Europa, la quale, al contrario, non è tanto propensa ad accoglierle.
Si tratta della base sociale di ben nove delle 15
banche che abbiamo affidato alle cure dirette di Francoforte: tutte a base
cooperativa e quindi a) difficili da far aggregare sia come preda che come
cacciatore, b) a ridotta redditività, stante le politiche
distributive fortemente dispersive loro tipiche.
Quindi a ciascuno il suo. Se le grandi banche
continentali hanno usato la finanza per lenire le pene di Basilea e le due
principali banche italiane hanno modificato il mix delle attività di
bilancio, riducendo il credito all'economia rispetto ai titoli di stato, le
altre banche italiane, in specie quelle contrassegnate da siffatte peculiarità/debolezze
di governance, avrebbero dovuto prepararsi meglio e in tempo prima
di presentarsi all’esame di questi ultimi mesi. Invece sono andate avanti
come se nulla fosse, pensando che sarebbero state sufficienti operazioni sul
capitale da approntare all'ultimo minuto. A qualcuna è andata
bene, ad altre meno, avendo superato la prova davvero per il rotto della
cuffia. Le eccedenze di poche decine di milioni dopo le misure di rafforzamento
varate da 4 banche su 15 lasciano facilmente prevedere che la loro propensione
al rischio di credito sarà in futuro praticamente nulla: Veneto Banca eccedenza
24 milioni di euro, Popolare di Sondrio 26, Popolare di Vicenza 30 e Credito Valtellinese
50 (quest’ultima poi uscita dalla lista perché, al termine dei conteggi, non in
possesso dei parametri dimensionali previsti). A queste sono da aggiungere MPS
e Carige con i noti, cospicui deficit. Ma sta di fatto che per tutti, mercato
in testa, la valutazione che conta era quella misurata alla partenza,
dove nessuna banca dei grandi paesi europei si è fatta cogliere impreparata. Le
nove italiane, su 25 bocciate, sono infatti rimaste in compagnia di banche
greche, slovene, cipriote....
E ora?
Pensavamo, prima di conoscere i risultati finali, che
il sistema bancario si sarebbe diviso tra banche assoggettate alla vigilanza
diretta della Bce – cioè tutte le 15 esaminate - e le restanti assoggettate
alla vigilanza indiretta cioè tutte le banche locali, le piccole popolari e le bcc e
compagnia cantante. Si scommetteva insomma che gran parte del sistema si assicurasse
l’Europa
e la vigilanza comune.
Sappiamo invece oggi che il treno su cui viaggiano le
nostre banche ha tre classi e non due. In prima viaggiano le due banche
maggiori fermamente ancorate al mercato europeo, in seconda banche medie,
alcune delle quali presentano difficoltà strutturali avendo superato di
poco e con grande sforzo il passaggio europeo, in terza classe, infine, tutte
le restanti istituzioni. In seconda e terza classe troviamo banche davvero problematiche
i cui nomi sono cronicamente sulla stampa quotidiana anche per essere, alcune
di esse, commissariate. Una sola operazione di aggregazione, peraltro tra
banche interprovinciali, è stata nel frattempo annunciata. Anzi i pur limitati
superamenti degli stress test fanno, un po' spavaldamente, dire ad alcuni
esponenti aziendali di essere in grado di proseguire la loro strada in piena
autonomia. Anche questo ci spinge ad affermare che non abbiamo ancora imparato
la lezione che, in situazioni come quella descritta, non si possa procedere
caso per caso, riconoscendo una buona volta che, trattandosi di criticità a
più ampio raggio, occorre una visione di insieme e una forte azione di politica
creditizia. Questo è l'auspicio che chi scrive si sente di formulare,
avendo anche ben presenti i ripetuti, quasi noiosi, richiami al localismo
bancario, considerato un po' acriticamente, assoluto fattore di distinzione e
di sviluppo del paese. Quel tempo, che ci ha comunque portato ad avere un
sistema configurato come l'attuale senza considerarne gli elevati costi
impliciti ed espliciti, è passato da un pezzo. E forse è anche
il momento che una spinta alla sua rapida riconversione diventi istanza
politica, per suffragare le speranze di una ripresa economica ancora di la' da
venire. Riconoscere l'esistenza di una questione bancaria fa parte del mosaico
da ricomporre.
Circolava in questi giorni a Francoforte un aneddoto
riferito a un alto funzionario della vigilanza europea che, di fronte alla
lista delle 15 banche italiane, pensava che vi fosse un errore, dato che nella
piccola città di Sondrio (50.000 abitanti) risultavano coesistere
ben due banche popolari aventi rilevanza sistemica.
Gli è stato risposto che non c'era nessun errore.
Se non fossimo stati sufficientemente netti, lo
ripetiamo. Noi pensiamo fermamente che per le banche della II e III classe sia
indifferibile procedere ad aggregazioni e fusioni intorno a credibili progetti
industriali affidati a una nuova classe dirigente che punti sulla tecnologia e
risponda professionalmente a strutture proprietarie meno farraginose e
complesse. Forse solo a queste condizioni potranno riprendere adeguati flussi di
credito a favore dell'economia.
Ma già, dimenticavamo che da ieri, 4 novembre, le
responsabilità di vigilanza sono ormai saldamente in mano alla BCE!
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