Salve, sono l’Italiano Medio. Non mi sento
particolarmente né di destra né di sinistra: le ho viste all’opera
tutt’e due e non mi sono parse un granché. Il centro, poi, non ho mai
capito che roba sia, sebbene abbia letto per anni il Corriere della
Sera, o forse proprio per questo. Non ho mai chiesto la luna, anzi sono
uno che si accontenta di poco: vorrei essere governato da gente normale
più o meno come me, mediamente perbene e abbastanza competente, che
parla solo quando ha qualcosa da dire, e per il resto lavora. Siccome
poi pago le tasse (anzi, me le trattengono: sono un lavoratore
dipendente in attesa della pensione, se mai la vedrò), gradirei saperle
utilizzate per servizi pubblici decenti e non sperperate in sprechi o
rubate in furti vari. Tutto qui.
Nella Prima Repubblica votavo i partiti di governo per paura dei
comunisti, anche se non riuscivo a scrollarmi di dosso la fastidiosa
impressione che Berlinguer fosse meglio di Andreotti e di Craxi (a volte
quel pensiero molesto si estendeva perfino ad Almirante, almeno quando
appariva in tv, ma riuscivo a scacciarlo subito). Poi è arrivata
Tangentopoli e istintivamente ho simpatizzato per i magistrati di Mani
Pulite, che trattavano i ladri di Stato esattamente come i ladri di
polli. Mi pareva di aver letto da qualche parte, credo nella
Costituzione, che è giusto così. Ma da un certo momento in poi sentii
dire in tv e lessi sul Corriere che a furia di ripetere “non rubare”
rischiavo di ammalarmi di giustizialismo, così smisi. Quel Berlusconi
che si affacciava sulla scena, tutto denti e miliardi, non è che mi
convincesse molto, ma tutti dicevano che era un grande imprenditore che
si era fatto tutto da sé e vai a sapere che si era fatto dare una mano
da gente poco raccomandabile: la prima volta lo votai, vedi mai che di
quel successo nella vita privata ne portasse un po’ anche in quella
pubblica. Me ne pentii subito, anche perché durò meno di un anno e badò
solo agli affari suoi: a me però bastarono due facce, quelle di Previti e
Dell’Utri, furono più utili di mille politologi.
Nel ’96 votai Ulivo: mi stava simpatico Prodi perché non è un
comunista, ma un tipo normale, che non le spara grosse e parla, anzi
borbotta poco, un po’ come me. Ci portò in Europa con l’aiuto di Ciampi,
e mi parve una cosa buona: il biglietto d’ingresso, l’Eurotassa, fu la
prima imposta che pagai volentieri, anche perché ce ne restituirono un
pezzo. Ma durò poco anche lui: D’Alema diceva che un Paese normale non
può essere governato da un professore che non ha dietro un grande
partito tutto suo e non dialoga con Berlusconi per rifare la
Costituzione. Sarà. A me la Costituzione, per quel poco che ne so, non
pare malaccio, però tutti dicevano che andava rifatta e intanto Prodi
cadde. Dei governi “normali” al posto del suo, D’Alema e Amato, non
ricordo granché. Se non che fecero tornare Berlusconi, stavolta per
cinque anni: un disastro epocale, solo affaracci suoi (s’arrabbiò
perfino la mafia, sentendosi trascurata). Quando il Cavaliere cancellò
il falso in bilancio e cacciò pure Enzo Biagi dalla tv, trattandolo come
Renato Curcio, partecipai anche a un paio di girotondi. Poi però il
Corriere disse che eravamo dei pericolosi manettari nemici del dialogo, e
allora smisi.
Nel 2008 volevo astenermi, ma poi mi trascinai a rivotare Prodi,
che restava il meno peggio. Lo rifecero fuori un paio d’anni dopo: il
tempo di mandar fuori di galera 30 mila delinquenti (non ho mai capito
perché, quando le carceri scoppiano, non ne apriamo di nuove, ma
spalanchiamo le porte di quelle vecchie). Quattro anni di film horror:
“Il ritorno del morto vivente”. Poi arrivò Monti con i suoi tecnici e
respirai: vabbè, almeno hanno studiato e sanno far di conto. Anch’io
facevo i conti: mi mancava qualche mese alla pensione. Ma subito una
ministra che piangeva con la faccia cattiva mi spiegò che ero un nababbo
parassita come tutti i pensionati, insomma dovevo lavorare altri 7-8
anni. E mio figlio, che aveva appena trovato lavoro, era un privilegiato
e doveva vergognarsi per via dell’articolo 18, che infatti fu
dimezzato. Boh. Mi vennero dei cattivi pensieri anche sui tecnici e mi
buttai sui 5Stelle.
Mica per Grillo: per quei ragazzi puliti
che entravano in Parlamento senza un euro di soldi pubblici. Grande
vittoria. Speravo che cambiassero un po’ le cose, ma furono subito messi
ai margini. Per farmi capire che il mio voto contava zero, tornarono le
larghe intese e, per maggior chiarezza, fu pure rieletto Napolitano.
Letta durò nove mesi, poi arrivò Renzi: diceva cose giuste, più o meno
le stesse di Grillo. Intanto i 5Stelle litigavano e si espellevano:
sospetto che qualcosa di buono stiano facendo, in Parlamento, ma è solo
un’impressione. In tv non li vedo mai e il computer non fa per me. Così,
alle Europee, ho votato Renzi. Grande vittoria. Ma me ne son subito
pentito: il giovanotto ha cominciato a fare il contrario di quel che
diceva. Ha riesumato il morto vivente, ha ricominciato a menarla con la
Costituzione da cambiare e con i parlamentari da nominare. Ha perfino
ripetuto che mio figlio è un privilegiato, sempre per l’articolo 18.
Domenica mi sono astenuto, come i due terzi dei miei corregionali:
stavolta capiranno il messaggio forte e chiaro. Macché: il tipetto dice
che siamo secondari. Ma che devo fare per farmi ascoltare? Se voto, non
conto niente. Se non voto, idem. Dovrò mica mettermi a menare, alla mia
età?
Marco Travaglio (Jack's Blog - Il Fatto Quotidiano - 26 novembre 2014)
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