Al parlamento e al Cdm arrivano scatole vuote, poi vengono riempite secondo la sua volontà. Dagli statali al fisco.
La riforma del lavoro è il penultimo esempio
(l’ultimo è la delega fiscale) del metodo Renzi di fare le leggi. Un
metodo che ha svuotato di ruolo e potere le sedi deputate. Per restare
all’esempio del lavoro: il governo ad aprile 2014 vara la legge delega.
Il Parlamento approva a dicembre. Con fiducia: il che vuol dire
consegnare all’esecutivo una delega, appunto, praticamente in bianco per
scrivere i decreti attuativi, quelli che danno contenuto alla riforma.
Il Cdm della vigilia di Natale li fa e li approva. Ma c’è un punto – non
esattamente secondario – quello sugli statali, che non viene chiarito:
rimandato al Parlamento. O meglio alle future trattative politiche.
La prassi è questa, dall’inizio. Il decreto sulla riforma della
Pa, approvato dal Consiglio dei ministri il 12 giugno, arrivò al
Quirinale 12 giorni dopo, il 24 giugno. Sdoppiato. Perché quello uscito
dal Cdm era un testo “monstre”, un brogliaccio, fatto di norme
giustapposte. In quel caso, Napolitano spiegò al giovane premier che le
leggi non si possono fare così. Monito ribadito il 16 dicembre (parlando
dell’ “abuso della decretazione d’urgenza”, e del “ricorso – per la
conversione dei decreti – a voti di fiducia su abnormi
maxi-emendamenti”), nel discorso alle alte cariche dello Stato per il
resto iper-renziano.
Ma il presidente del Consiglio va per la sua strada. Per dire, nella notte del 19 dicembre si fa approvare dal Senato la legge di stabilità (ovviamente con fiducia), con alcune parti direttamente in bianco. Confusione, imperizia, eccessiva velocità, mancanza di controllo delle strutture dei ministeri? In parte, ma di certo non solo. Perché Renzi ha reso prassi consolidata e portata alle sue potenzialità estreme l’abitudine di approvare le leggi “salvo intese”.
Il che vuol dire che post Cdm si può intervenire di nuovo e inserire qualsiasi cosa come (sembra) sia successo con la delega fiscale. Lasciando un terreno di opacità su chi ha davvero voluto una cosa. Nei vari brogliacci di legge modificati in corsa in questi mesi è entrato di tutto: norme con sospetta incostituzionalità, favori all’una o all’altra lobby. Alcune cose sono state tolte successivamente, altre sono rimaste. Tra la conferenza stampa in cui lo stesso premier annuncia le misure e le misure effettivamente varate di tempo ne passa: e così è molto difficile per l’opinione pubblica distinguere tra promesse e realtà.
Ma il presidente del Consiglio va per la sua strada. Per dire, nella notte del 19 dicembre si fa approvare dal Senato la legge di stabilità (ovviamente con fiducia), con alcune parti direttamente in bianco. Confusione, imperizia, eccessiva velocità, mancanza di controllo delle strutture dei ministeri? In parte, ma di certo non solo. Perché Renzi ha reso prassi consolidata e portata alle sue potenzialità estreme l’abitudine di approvare le leggi “salvo intese”.
Il che vuol dire che post Cdm si può intervenire di nuovo e inserire qualsiasi cosa come (sembra) sia successo con la delega fiscale. Lasciando un terreno di opacità su chi ha davvero voluto una cosa. Nei vari brogliacci di legge modificati in corsa in questi mesi è entrato di tutto: norme con sospetta incostituzionalità, favori all’una o all’altra lobby. Alcune cose sono state tolte successivamente, altre sono rimaste. Tra la conferenza stampa in cui lo stesso premier annuncia le misure e le misure effettivamente varate di tempo ne passa: e così è molto difficile per l’opinione pubblica distinguere tra promesse e realtà.
Nel frattempo, la verticalizzazione
delle decisioni diventa massima. Perché il Parlamento, tra una fiducia e
l’altra, è di fatto espropriato. E il Consiglio dei ministri ratifica
spesso cose sulle quali non ha l’ultima parola. Affidata a chi, invece,
le leggi poi le stende materialmente: il Dipartimento per gli affari
giuridici e legislativi, guidato da Antonella Manzione. La fedelissima
ex vigilessa di Firenze, che Renzi ha voluto ad ogni costo a Palazzo
Chigi, nonostante la bocciatura della Corte dei Conti. Che ha il compito
di eseguire materialmente le direttive del Capo. Ovvero tradurre in
leggi le sue intenzioni. Alla fine, insomma, chi decide? Matteo Renzi.
Wanda Marra (Jack's Blog - Il Fatto Quotidiano - 8 gennaio 2014)
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