Mussolini, altri tempi, fu sbrigativo:
«Attualmente risultano in uso 16 vetture: di esse 13 dovranno
dismettersi entro domani sera». Marianna Madia non pretende tanto. Dopo
mesi di tira e molla, però, ha deciso di dare un ultimatum: entro dieci
giorni tutti i ministeri e tutte le amministrazioni pubbliche devono
fare rapporto sulla drastica diminuzione delle autoblu decisa dal governo subito dopo il debutto.
Obiettivo dichiarato: «Calare nei ministeri da 1.600 a 95 auto».
Ambizioso. La stessa campagna lanciata dal Duce il 7 marzo 1923, con la
lettera inviata agli Interni dal ministro del Tesoro Alberto De Stefani
(«Per preciso ordine ricevuto dal presidente del Consiglio ho disposto
che rimangano in servizio presso codesto ministero 3 auto…») non diede
poi i frutti sperati. E proprio il timore che finisca come altre volte,
con l’evaporazione giorno dopo giorno delle buone intenzioni, deve aver
spinto Matteo Renzi e il ministro della Pubblica amministrazione a
tentare il braccio di ferro. Giurano a Palazzo Chigi che va già meglio di un tempo. Che «le
autoblu messe all’asta in varie tranche su eBay sono andate tutte
vendute» e che sono state bruscamente ridotte le macchine della
Presidenza del Consiglio e dei ministri senza portafoglio che intorno
alla presidenza gravitano. Le auto, che fino all’anno scorso sarebbero
state una quindicina nel cortile e nei parcheggi annessi più altre 115
in un autoparco, «sono state ridotte a 11: una per Renzi, tre per i tre
ministri, le altre gestite via via che servono per Graziano Delrio e gli
altri sottosegretari o dirigenti che ne abbiano bisogno per motivi
d’urgenza». Bastano? «Sì. Si è visto che bastano». Certo la scrematura è
appena cominciata: all’inizio del 2014 le autoblu vere e proprie, che
già Renato Brunetta aveva fatto censire avviando quando era ministro la
sua campagna di censimento e di riduzione del fabbisogno (c’è chi
contava come fossero auto di lusso anche la Panda delle guardie
forestali che girano per i boschi) risultavano essere 4.273. Adesso,
assicurano gli uffici della Madia, «sono scese a 3.510, delle quali
2.553 di proprietà e le altre in leasing».
Le resistenze, però, sono fortissime. E lo dimostra il tempo passato
dalla promessa iniziale dell’ex sindaco di Firenze. Dalla fine di marzo
l’attesissimo decreto della Presidenza del Consiglio con la
«Determinazione del numero massimo e delle modalità di utilizzo delle
autovetture di servizio con autista adibite al trasporto persone» è
arrivato solo il 25 settembre. Ed è stato pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale altri due mesi e mezzo dopo, l’11 dicembre scorso. Un mese
intero, per capirci, se ne sarebbe andato solo per la domanda e la
risposta a un quesito della Corte dei Conti: ma quando si parla di un
massimo di cinque autoblu per ogni ministero si intende compresa quella
del ministro?
Lì nel documento, le regole, sono chiare. Eccole: «L’articolo 2 dà attuazione al comma 2 del sopra citato articolo 15 del decreto-legge n. 66 del 2014. Il comma 1 prevede che le amministrazioni centrali dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, ivi comprese le strutture di cui si avvale ciascun Ministro senza portafoglio, le Forze di polizia, le Forze armate e le Agenzie governative nazionali, comprese le agenzie fiscali, possono disporre, in uso non esclusivo, di un numero massimo di 5 autovetture di servizio, secondo determinati criteri, ovvero:
a) 1 autovettura se il numero di dipendenti in servizio presso l’amministrazione è inferiore o pari a 50 unità;
b) 2 autovetture se il numero di dipendenti in servizio presso l’amministrazione è compreso tra 51 e 200 unità;
c) 3 autovetture se il numero di dipendenti in servizio presso l’amministrazione è compreso tra 201 e 400 unità;
d) 4 autovetture se il numero di dipendenti in servizio presso l’amministrazione è compreso tra 401 e 600 unità;
e) 5 autovetture se il numero di dipendenti in servizio presso l’amministrazione è superiore a 600 unità».
Unici calcolati a parte, i ministri: «In aggiunta alle autovetture in uso non esclusivo, può essere assegnata un’ulteriore autovettura, in uso esclusivo, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri». Di più, aggiunge il documento: «Al fine di conseguire il massimo risparmio di spesa, il comma 3 prevede che all’interno del numero massimo di autovetture concesse a ciascuna amministrazione sono computate anche quelle oggetto di contratto di locazione o noleggio, o a qualunque altro titolo utilizzate. I commi 4 e 5 prevedono le modalità e i tempi di dismissione delle autovetture in eccesso».
Va da sé che è ribadito «l’obbligo di utilizzare le auto di servizio solo per singoli spostamenti ed esclusivamente per ragioni di servizio», «il divieto di utilizzare le autovetture per gli spostamenti tra abitazione e luogo di lavoro», «il divieto di assegnare autovetture di servizio in uso esclusivo a soggetti diversi da quelli indicati». Una stretta al radicale. Decisa dopo molti anni in cui perfino alla Croce Rossa, nell’ottobre 2006, nonostante la metà delle ambulanze avessero «più di vent’anni» e fossero state usate per «più di 250.000 chilometri», c’erano a disposizione della direzione, denunciò un dossier, 28 autoblu nuove. Lussuose. Luccicanti. Un andazzo che andava stroncato. Ma che si sta rivelando, com’era prevedibile, complicato. Fatto sta che, contro le scadenze graduate sulla dimensione delle diverse amministrazioni è venuto giù un diluvio. Telefonate, lettere, email… Per chiedere rinvii, rinvii, rinvii… Un assedio tale da convincere la Madia a lanciare a tutti l’ultimatum che dicevamo: «Si richiede con la presente di comunicare ai miei uffici ogni misura adottata al fine di rispettare le scadenze previste dal decreto.
Lì nel documento, le regole, sono chiare. Eccole: «L’articolo 2 dà attuazione al comma 2 del sopra citato articolo 15 del decreto-legge n. 66 del 2014. Il comma 1 prevede che le amministrazioni centrali dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, ivi comprese le strutture di cui si avvale ciascun Ministro senza portafoglio, le Forze di polizia, le Forze armate e le Agenzie governative nazionali, comprese le agenzie fiscali, possono disporre, in uso non esclusivo, di un numero massimo di 5 autovetture di servizio, secondo determinati criteri, ovvero:
a) 1 autovettura se il numero di dipendenti in servizio presso l’amministrazione è inferiore o pari a 50 unità;
b) 2 autovetture se il numero di dipendenti in servizio presso l’amministrazione è compreso tra 51 e 200 unità;
c) 3 autovetture se il numero di dipendenti in servizio presso l’amministrazione è compreso tra 201 e 400 unità;
d) 4 autovetture se il numero di dipendenti in servizio presso l’amministrazione è compreso tra 401 e 600 unità;
e) 5 autovetture se il numero di dipendenti in servizio presso l’amministrazione è superiore a 600 unità».
Unici calcolati a parte, i ministri: «In aggiunta alle autovetture in uso non esclusivo, può essere assegnata un’ulteriore autovettura, in uso esclusivo, al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri». Di più, aggiunge il documento: «Al fine di conseguire il massimo risparmio di spesa, il comma 3 prevede che all’interno del numero massimo di autovetture concesse a ciascuna amministrazione sono computate anche quelle oggetto di contratto di locazione o noleggio, o a qualunque altro titolo utilizzate. I commi 4 e 5 prevedono le modalità e i tempi di dismissione delle autovetture in eccesso».
Va da sé che è ribadito «l’obbligo di utilizzare le auto di servizio solo per singoli spostamenti ed esclusivamente per ragioni di servizio», «il divieto di utilizzare le autovetture per gli spostamenti tra abitazione e luogo di lavoro», «il divieto di assegnare autovetture di servizio in uso esclusivo a soggetti diversi da quelli indicati». Una stretta al radicale. Decisa dopo molti anni in cui perfino alla Croce Rossa, nell’ottobre 2006, nonostante la metà delle ambulanze avessero «più di vent’anni» e fossero state usate per «più di 250.000 chilometri», c’erano a disposizione della direzione, denunciò un dossier, 28 autoblu nuove. Lussuose. Luccicanti. Un andazzo che andava stroncato. Ma che si sta rivelando, com’era prevedibile, complicato. Fatto sta che, contro le scadenze graduate sulla dimensione delle diverse amministrazioni è venuto giù un diluvio. Telefonate, lettere, email… Per chiedere rinvii, rinvii, rinvii… Un assedio tale da convincere la Madia a lanciare a tutti l’ultimatum che dicevamo: «Si richiede con la presente di comunicare ai miei uffici ogni misura adottata al fine di rispettare le scadenze previste dal decreto.
Si resta in attesa di una risposta entro
dieci giorni, al fine di formulare un documento di sintesi
sull’applicazione del DPCM da parte di ciascuna amministrazione, che
sarà presentato al Consiglio dei ministri entro la fine del mese». Sarà
preso sul serio o sarà vissuto da qualcuno come «il solito
penultimatum»?
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