Una
settimana fa la polizia del generale Al Sisi ha compiuto l'ennesimo
massacro uccidendo 17 persone che manifestavano contro il regime. Questa
volta la notizia ha trovato posto nei giornali occidentali, sia pur ben
occultata nelle pagine interne, perché fra le vittime, anche se in una
circostanza parallela, c'è Shaima Al Sabbagh, una donna di 32 anni,
esponente dell'Alleanza socialista, laica, e quindi non sospettabile di
appartenere alla Fratellanza musulmana. Ma questa non è che l'ultima
delle nefandezze, e nemmeno la peggiore, commesse dal generale
tagliagole Al Sisi che nel luglio del 2013 spodestò con un colpo di
Stato Mohamed Morsi, il leader dei Fratelli musulmani che avevano vinto
le prime elezioni libere in Egitto con 13 milioni di voti. Subito dopo
mise in galera Morsi, tutti i dirigenti della Fratellanza e la mise
fuori legge come movimento terrorista. A seguire vennero i massacri dei
Fratelli. Prendendo come pretesto la morte di un poliziotto ne furono
uccisi poco meno di un migliaio. Altri 16 mila stanno in galera. Nel
maggio del 2014 Al Sisi si autoproclamò presidente attraverso delle
elezioni farsa. Nonostante tutte le agevolazioni, voto prolungato di un
giorno, treni gratis, vacanze e soprattutto le intimidazioni, multe di
50 euro per chi non andava a votare (una cifra enorme in Egitto),
l'elettricità tolta nelle abitazioni per costringere la gente a uscire
per sottrarsi al gran caldo, le minacce, mentre qualche anchorman
particolarmente zelante (i Vespa della situazione) proponeva di «sparare
a chi resta a casa», ai seggi si presentò solo il 20% della popolazione
(per l'elezione di Morsi l'affluenza era stata del 52%). Poi sono
venuti i processi, ancora più farseschi. 529 presunti Fratelli
musulmani, o comunque colpevoli solo d'essere tali, sono stati
condannati a morte in udienze che duravano non più di cinque minuti, con
la presenza dell'accusa ma non della difesa. Poi il regime, bontà sua,
ha confermato la pena capitale 'solo' per 37 imputati, per tutti gli
altri l'ergastolo. In Egitto è proibita per legge qualsiasi
manifestazione di protesta, anche la più pacifica. La censura è totale e
decine di giornalisti sono in galera.
Nonostante
queste credenziali il generale Al Sisi (che era già capo dell'esercito
all'epoca di Mubarak, paradosso dei paradossi della 'primavera
egiziana') è molto gradito in Occidente. Si è proposto ed è stato
accettato come intermediario nell'eterna questione israelo-palestinese.
Ma soprattutto è ritenuto un valido alleato contro l'Isis e gli
americani, che riforniscono l'esercito egiziano dai tempi di Mubarak,
gli hanno dato altri elicotteri Apache che molto probabilmente Al Sisi
più che contro i guerriglieri del Califfato userà per altri stermini sui
Fratelli.
Intanto
a furia di essere trattati come terroristi una parte dei Fratelli lo è
diventata davvero e diecimila egiziani sono accorsi a ingrossare le file
dell'Isis. La gente non è scema. E gli slamici radicali meno degli
altri. Chiunque può vedere che i cosiddetti 'diritti umani' sempre
sbandierati dall'Occidente per andare a ficcare il naso, anzi le armi,
in casa altrui, quando questa casa non ci aggrada, scompaiono dalla
vista quando sono massacrati da regimi amici. Stiamo facendo da 13 anni
una guerra assassina in Afghanistan perché i Talebani avevano imposto la
sharia, ma in Arabia Saudita, nostro alleato, le lapidazioni delle
adultere sono all'ordine del giorno (per quanto ne so io nei sei anni di
governo del Mullah Omar non ci furono lapidazioni).
Continuiamo
pure con la politica dei 'due pesi e due misure'. E fra non molto
avremo contro non solo le popolazioni islamiche, ma anche quelle
occidentali che non riescono a riconoscersi nell'ipocrisia, violenta e
sanguinaria, dell'Occidente.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2015)
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