mercoledì 18 febbraio 2015

LO SPIRITO PROSTITUENTE

Chissà, forse con la guerra alle porte parlare di stile è un lusso che non possiamo permetterci. Eppure lo stile, in democrazia, non è solo estetica e apparenza: è sostanza. Ne abbiamo talmente bisogno da appassionarci persino alla notizia che il presidente della Repubblica per i suoi viaggi privati utilizza voli di linea, anziché l’aereo di Stato. E lo fa senz’annunciarlo in pompa magna, mentre Renzi ha promesso mille guerre ai privilegi della casta e poi è il primo a profittarne (l’ultima volta a Capodanno, quando si imbarcò su un volo militare da Roma ad Aosta, con scalo a Firenze per prelevare la famigliola e andare a sciare a Courmayeur). Così la notizia che in altri paesi sarebbe normale, come lo era in Italia ai tempi di Pertini, diventa eccezionale. E viene usata dai leccatori professionisti per santificare vieppiù Mattarella dopo aver beatificato Napolitano per il motivo opposto: prendeva sempre i voli blu e, quand’era eurodeputato, volava in low cost da Roma a Bruxelles ma si faceva rimborsare il decuplo come avesse volato Alitalia. Non sono questioni penali, né morali: solo di stile.
Ieri Renzi ha mostrato stile, dissociandosi dai tamburi di guerra che echeggiano a destra e a manca, beceri almeno come quelli contrari del felpato Salvini (lui la guerra vuol farla solo ai profughi e ai disperati in alto mare, così almeno è sicuro di vincere). Il premier ha detto, con Prodi: sentiamo l’Onu, gli alleati, gli organismi internazionali, poi decidiamo. Non sembra neppure lontano parente del Renzi che l’altra notte bulleggiava alla Camera, mani in tasca, panza in fuori e maglioncino fico (a quando in pigiama?). Bivaccava fra i banchi dell’emiciclo, dove non potrebbe metter piede perché nessuno l’ha eletto. Mandava la ministra Boschi a prendergli il caffè come faceva B. con Alfano perché sia chiaro chi comanda. Minacciava chi non vota le sue controriforme di andare alle elezioni, rubando il mestiere al capo dello Stato. Poi incassava la miseria di 308 voti (meno del 50% più uno, che corrisponde a un quorum di 316 voti) e trasformava il magro bottino con cui pretende di cambiare la Costituzione in un plebiscito oceanico. E faceva pure il ganassa con i tweet contro “gufi e sorci verdi” (che però hanno la maggioranza numerica sia alla Camera sia al Senato). Perché lui tira sempre diritto, “piaccia o non piaccia”. Ma che vuol dire “piaccia o non piaccia”? Se piace, ok. Ma se non piace, sarà un problema o no?
“Nel 1946 – ricorda Michele Ainis, finalmente denapolitanizzato, sul Corriere [leggi qui] – si tenevano comizi in piazze affollatissime, si discuteva nei partiti, c’era in edicola persino una rivista (La Costituente) che accompagnò i lavori dell’Assemblea. Anche nel 2005, durante il parto della Devolution, un fremito percorse gli italiani. Di qua i circoli di FI, di là i comitati Dossetti, le Acli, i sindacati. E l’anno dopo al referendum, benché senza quorum, votò il 53%. Ma adesso alla partecipazione, è subentrata l’astensione… Il Pd timbra la riforma in solitudine, perché le opposizioni escono dall’Aula. O meglio, non in solitudine: con i transfughi, con i 127 deputati eletti in virtù d’un premio annullato dalla Consulta. Totale, 308 voti. Curioso: gli stessi che, nel novembre 2011, incassò Berlusconi sul rendiconto dello Stato. Lui ci rimise la poltrona, ora quel numero basta per correggere 40 articoli della Costituzione”.
Tutto formalmente corretto, per carità. Ma dov’è lo stile? Nel 1947 Benedetto Croce invocò lo Spirito Santo sui 556 padri costituenti recitando il Veni Creator Spiritus. Lo spirito costituente. Oggi, al posto, abbiamo le guapparie del premier e i voltafaccia di B., che fino a un mese fa votava queste porcate peggiorandole vieppiù e ora grida alla svolta autoritaria fra i sorrisi soddisfatti della Boschi, le cui mani sante pochi mesi fa vennero immortalate nel celebre grattino alla schiena di Verdini. A proposito di mani: perché lorsignori, quando si parlano, si coprono la bocca? Cosa temono che leggiamo sulle loro labbra? Una barzelletta sporca o la prossima riforma? Speriamo la prima. 

 

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