A
fine marzo partirà su Sky la fiction «1992», in dieci puntate.
L'oggetto è naturalmente Mani Pulite e la fiction inizia con l'arresto,
il 19 febbraio 1992, di Mario Chiesa un parvenu socialista che il
partito di Craxi aveva messo alla presidenza del Pio Albergo Trivulzio
perché lucrasse anche sui vecchietti. Mani Pulite avrebbe potuto essere
per la classe politica l'occasione per emendarsi, per prendere coscienza
che la propria corruzione era diventata insostenibile, economicamente
quanto moralmente. E forse anche per salvarsi. Invece Craxi, segretario
dell'allora potentissimo Psi, definì Chiesa
«un mariulo» facendo intendere che si trattava di un'occasionale mela
marcia in un cesto di mele intonse. E quando il 3 luglio del 1992 Craxi
fece il famoso discorso alla Camera chiamando in correità tutti i
partiti, non solo era troppo tardi ma quel discorso, contrariamente a
quanto quasi tutti hanno sostenuto scambiandolo per un atto di coraggio,
era particolarmente vile perché il segretario del Psi lo fece quando
era stato colto a sua volta con le mani sul tagliere. Quello che Craxi
disse in luglio avrebbe dovuto dirlo nel febbraio del 1992. Allora
avrebbe avuto un minimo di credibilità.
Il
periodo 1992-94 fu per una parte esaltante e per l'altra penoso.
Esaltante perché per la prima volta anche la classe dirigente era
chiamata al rispetto di quelle leggi che tutti noi cittadini siamo
tenuti a osservare. Penoso perché l'esercizio di paraculismo dei
giornali che avevano sostenuto le nefandezze della Prima Repubblica
raggiunse livelli acrobatici da sport estremi. Abbandonato rapidamente
il vecchio idolo, Craxi, tutti si stesero come sogliole ai piedi di
quello nuovo, Antonio Di Pietro, il leader del pool di Mani Pulite. Mi
ricordo in particolare, per lussuria laudatoria, un editoriale di Paolo
Mieli, direttore del Corriere, intitolato «Dieci domande a Tonino».
Ma durò poco.
Passata la buriana i partiti si rimisero in pista con le seconde linee e
i giornaloni, come li chiama Travaglio, tornarono a rigar dritto. In un
paio di anni vedemmo con stupore rovesciare le carte in tavola: i
colpevoli erano diventati i magistrati, le vittime i ladri e giudici dei
loro giudici.
Berlusconi si inserì abilmente nella grande confusione. Prima cercò di
cavalcare Mani Pulite offrendo a Di Pietro (definito in seguito «un
uomo che mi fa orrore») il ministero della Difesa. Poi, indagato a sua
volta, con una costante, capillare, tambureggiante campagna condotta dai
suoi giornali, dalle sue Tv, private e pubbliche, e da 'lui meme', fece
di tutto per delegittimare la Magistratura.
La
lunga stagione berlusconiana ha questo di diverso: mentre nella Prima
Repubblica i partiti rispettavano almeno la forma della legalità (sei
ministri del governo Amato si dimisero per aver ricevuto un avviso di
garanzia, cosa, a mio parere, anche eccessiva), dopo l'illegalità
divenne sfacciata, spudorata, un titolo di merito.
Cito
a titolo di puro esempio Luigi Bisignani. Piduista, in seguito
condannato a due anni di carcere nell'ambito delle inchieste di Mani
Pulite, radiato dall'Ordine dei giornalisti, divenne il principale
consigliere dell'amministratore delegato delle Ferrovie, Lorenzo Necci, e
poi di quello dell'Eni Paolo Scaroni. Oggi è un'opinionista molto
richiesto dalle maggiori Tv. Nella sua parabola si riassume, in
miniatura, la storia italiana degli ultimi trent'anni.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2015)
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