Il
presidente emerito della Corte costituzionale e presidente onorario di Libertà
e Giustizia Gustavo Zagrebelsky rivolge un appello ai legislatori alla vigilia
dell’ultima lettura della riforma costituzionale promossa dal governo.
Sostengono l’appello il presidente Alberto Vannucci, l’ex presidente Sandra
Bonsanti e tutto il Consiglio di Presidenza di Libertà e Giustizia
Il
funzionamento della democrazia è cosa difficile, stretto tra
l’inconcludenza e la forza. Chi crede che si tratti di una battaglia che
si combatte una volta ogni cinque anni in occasione delle elezioni
politiche e che, nell’intervallo, tutto ti è concesso perché sei il
“Vincitore”, si sbaglia di grosso ed è destinato a essere travolto, prima o
poi, dal suo orgoglio, o dalla sua ingenuità, mal posti. La prima vittima
dell’illusione trionfalistica è il Parlamento. Se pensiamo che si
tratti soltanto di garantire l’azione di chi “ha vinto le elezioni”, il Parlamento
deve essere il supporto ubbidiente di costui o di costoro: deve essere un
organo esecutore della volontà del governo. Altrimenti, è non solo inutile, ma
anche controproducente.
Le riforme
in campo, infatti, sono tutte orientate all’umiliazione del Parlamento, nella
sua prima funzione, la funzione rappresentativa. Che cosa significano le leggi
elettorali, che prevedono la scelta dei candidati attraverso le “liste
bloccate” stilate direttamente dai capi dei partiti o attraverso la farsa
delle cosiddette “primarie”, se non l’umiliazione di quella funzione nazionale:
trionfo dello spirito gregario o del mercato dei voti. Il prodotto degradato,
se non avariato, è davanti agli occhi di tutti. Così, mentre dalle istituzioni
ci si aspetterebbe ch’esse tirassero fuori da chi le occupa il meglio di loro
stessi, o almeno non il peggio, di fatto avviene il contrario.
Queste istituzioni
inducono alla piaggeria, alla sottomissione, all’assenza di idee, alla
disponibilità nei confronti dei potenti, alla vigliaccheria interessata
o alla propria carriera o all’autorizzazione ad avere mano libera nei
propri affari sul territorio di riferimento. Per essere eletti, queste sono le
doti funzionali al partito nel quale ti arruoli. Non devi pensare di poter
“fare politica”. Non è più il tempo: il tempo è esecutivo!
Una prova
evidente, e umiliante, dell’inanità parlamentare è la vicenda che ha agitato la
vita politica negli ultimi due anni: la degradazione del Senato in Camera
secondaria che dovrebbe avvenire col consenso dei Senatori. Si dice
loro: siete un costo, cui non corrisponde nessun beneficio; siete un
appesantimento dei processi decisionali, cui corrisponde non il miglioramento,
ma il peggioramento della qualità della legislazione. Sì, risponde il Senato:
è così. Finora siamo stati dei parassiti inutili e dannosi e siamo grati a chi
ce ne ha resi consapevoli! Sopprimeteci!
Vediamo più
da vicino questo caso da manuale di morte pietosa o suicidio assistito
nella vita costituzionale.
A un
osservatore non superficiale che non si fermi alla retorica esecutiva e “governabilitativa”,
cioè ai costi (“Senato gratis”, è stato detto) e alla velocità (una
deliberazione per ogni legge, invece di due), l’esistenza di una “seconda
Camera” risulta bene fondata su “ragioni conservative”. Non conservative
rispetto al passato, come fu al tempo delle Monarchie rappresentative,
quando si pose la questione del bilanciamento delle tendenze anarcoidi e
dissipatrici della Camera elettiva, propensa a causa della sua stessa
natura a sperperare denaro e tradizioni per accattivarsi gli elettori.
Allora ciò che si voleva conservare era il retaggio del passato. Oggi, di
fronte alla catastrofe della società dello spreco, si tratterebbe dell’opposto,
cioè di ragioni conservative di risorse e opportunità per il futuro, a garanzia
delle generazioni a venire.
Il Senato
come concepito nella riforma moltiplica la dissipazione. Se ne vuole fare
un’incongrua proiezione amministrativistica di secondo grado di enti
locali, a loro volta affamati di risorse pubbliche. A questa prospettiva
“amministrativistica” se ne sarebbe potuta opporre una “costituzionalistica”.
Nei Senati storici, le ragioni conservative corrispondevano alla nomina
regia e alla durata vitalizia della carica: due soluzioni, oggi,
evidentemente improponibili, ma facilmente sostituibili con l’elezione per una
durata adeguata, superiore a quella ordinaria della Camera dei deputati,
e con la regola tassativa della non rieleggibilità, come garanzia
d’indipendenza da interessi particolari contingenti.
A ciò si
sarebbero potuti accompagnare requisiti d’esperienza, competenza e moralità
particolarmente rigorosi, contenuti in regole di incandidabilità,
incompatibilità e ineleggibilità misurate sulla natura dei compiti
assegnati agli eletti. Fantasie. I riformatori costituzionali pensano ad
altro: a eliminare un contrappeso politico, ad accelerare i tempi. Non
riuscendo a eliminare, puramente e semplicemente, un organo, che così come è si
ritiene inutile, anzi dannoso, si sono persi in un marchingegno la cui assurda
complicazione strutturale – le modalità di estrazione dei nuovi “senatori”
dalle assemblee locali – e procedimentale – i rapporti con l’altra Camera
– verrà alla luce quando se ne dovesse sperimentare il funzionamento.
Gustavo
Zagrebelsky (IlFatto quotidiano dell’8 settembre 2015)
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