Dopo i fasti di Berlusconi, Monti e Letta avevano
imposto una cura dimagrante che aveva iniziato a dare i suoi frutti, col
taglio di varie centinaia di milioni. Ma con l'insediamento di Renzi le cifre
impegnate da Palazzo Chigi sono tornate a crescere, fino a sfiorare i 3,7
miliardi.
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Matteo Renzi
lo ripete come un mantra: «La fiducia è fondamentale». Di certo il suo governo
ne sa qualcosa: in due anni appena l’ha chiesta alle Camere 50 volte. In media
ogni due settimane. Nessuno nella Seconda Repubblica è ricorso così tanto al
voto blindato che, pena la caduta dell’esecutivo, tronca il dibattito
parlamentare, fa decadere gli emendamenti e impone di approvare un
provvedimento così com’è, prendere o lasciare. L’unica eccezione è quella di
Mario Monti, che però era alle prese con inedite larghe intese e una crisi
senza precedenti: 51 volte in un anno e mezzo. Con la notevole differenza,
inoltre, che moltissime fiducie furono necessarie per varare leggi difficili da
digerire come la riforma Fornero (che ne richiese otto), la Severino e il Salva
Italia (cinque ciascuna), il decreto Sviluppo e la riforma fiscale (quattro).
Tranne
alcuni casi particolarmente delicati come l’Italicum o il Jobs, il governo
Renzi l’ha invece utilizzata per una vasta platea di provvedimenti, dal
Milleproroghe alle missioni internazionali, dal decreto Stadi al Giubileo,
dalle carceri all’Ilva. Spesso unicamente per fare prima, dal momento che la
"blindatura" è stata posta 24 volte alla Camera, dove pure la
maggioranza è amplissima. In pratica un terzo delle leggi sono state approvate
in questo modo, come si evince dal dossier che Openpolis ha realizzato per l’occasione
e che l’Espresso presenta in anteprima.
FIDUCIA DA RECORD - CLASSIFICA DELLA SECONDA REPUBBLICA
Dopo le
critiche mosse, va tuttavia riconosciuto all'esecutivo di esservi ricorso molto
meno in questo secondo anno di vita: "solo" 20 volte a fronte di 91
leggi. Ma nel complesso, se si escludono le decine di trattati internazionali
ratificati, una mera formalità, la percentuale supera il 50 per cento.
Stesso
discorso per i decreti, che da strumento di straordinaria necessità e urgenza
da tempo si sono trasformati in un mezzo ordinario. Anche in questo caso, il
governo Renzi è in linea con tutti i più recenti inquilini di Palazzo Chigi,
avendone sfornato in media uno ogni due settimane. Proprio come l’ultimo di
Berlusconi (2008-2011), all’epoca criticato duramente dal centrosinistra.
QUANTI DECRETI
Malgrado gli
annunci rottamatori rispetto alle pratiche del passato, insomma, con Renzi è
aumentato lo squilibrio di poteri a favore del governo. A tutto discapito del
Parlamento, che riesce a mandare in porto meno dell’1 per cento delle proposte
(impiegandoci peraltro più di un anno), contro il 29 per cento dell'esecutivo.
Al quale bastano invece cinque mesi per veder approvato un ddl.
TEMPO MEDIO DI APPROVAZIONE DELLE LEGGI
Contrariamente
alla vulgata sulla lentezza dovuta al bicameralismo, però, le Camere hanno
dimostrato di saper lavorare assai celermente sui disegni di legge del governo.
Dando il via libera, quando si trattava di temi caldi come le imprese o la
giustizia, nel giro di un mese e mezzo appena.
DDL DEL GOVERNO - TEMPO MEDIO DI APPROVAZIONE DEL PARLAMENTO
In ogni caso
il Parlamento non riesce ad avere voce in capitolo nemmeno quando un
provvedimento non è blindato. Difatti solo una minima parte degli emendamenti
vengono approvati, anche come conseguenza dell’ostruzionismo, che porta a
presentarne migliaia (vedi la riforma Boschi): meno del 3 per cento hanno
successo se sono presentati da deputati o senatori, contro il 47 per cento di
quelli del governo.
IN ALTO LE SPESE
Dopo i fasti
di Silvio Berlusconi, Mario Monti ed Enrico Letta avevano imposto una cura
dimagrante che aveva iniziato a dare i suoi frutti, col taglio di varie
centinaia di milioni. Nel primo anno di insediamento di Renzi (il dato più
recente disponibile) le cifre impegnate da Palazzo Chigi sono tornate a
crescere, fino a sfiorare i 3,7 miliardi.
SPESE DI PALAZZO CHIGI
Ad aver registrato un autentico boom è il Segretariato generale, il cuore pulsante della Presidenza del Consiglio, che svolge opera di coordinamento e raccordo organizzativo tra le varie strutture: nel 2014 è costato 755 milioni, quasi il doppio rispetto a un anno prima. Fra chi è sceso in misura più significativa c'è invece la Protezione civile, con 2 miliardi e 288 milioni (168 milioni in meno, pari al 7 per cento).
UNA POLTRONA È PER SEMPRE
È tuttavia
sul fronte dei posti occupati che si misurano i rapporti di forza all'interno
del governo, passato in due anni da 61 a 63 poltrone fra ministri, vice e
sottosegretari. E l'exploit maggiore va riconosciuto al Nuovo centrodestra,
salito a 14 incarichi proprio col rimpasto attuato a ridosso del voto sulle
unioni civili: due in più di due anni fa.
Un ruolo
"governista a prescindere", quello di Ncd, confermato dal fatto che
una gran parte dei suoi esponenti ha avuto almeno un altro incarico durante
l'ultimo esecutivo Berlusconi, con Letta o con entrambi: il ministro della
Salute Beatrice Lorenzin, l'ex Maurizio Lupi (Infrastrutture), i
viceministri Luigi Casero (Economia) e Antonio Gentile (Sviluppo
economico), i sottosegretari Simona Vicari (Infrastrutture), Alberto
Giorgetti (Economia), Gabriele Toccafondi (Istruzione), Gioacchino
Alfano (Difesa) e Giuseppe Castiglione (Agricoltura).
Del resto lo
stesso Angelino Alfano è stato ministro in tre degli ultimi quattro
governi: alla Giustizia con Berlusconi e al Viminale con Renzi e Letta, di cui
è stato anche vicepremier. Non male, per un partito che i sondaggi indicano a
rischio sopravvivenza in caso di elezioni.
Paolo
Fantauzzi (L’Espresso16febbraio 2016)
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