Sempre più, la croce del governo, si chiama banche. La mossa di
Matteo Renzi divide il governo, fa arrabbiare una parte del Pd e fa
infuriare la Federcasse, che parla di "incostituzionalità e disparità".
La riforma delle Banche di credito cooperativo (Bcc) si avvia su un
percorso accidentato. Approvata nella tarda notte di mercoledì scorso,
concede ad alcune di esse, una decina in tutto su 376, la possibilità di
non entrare a far parte della holding unica, prevista dal decreto.
Requisiti richiesti? 200 milioni di patrimonio e il pagamento del 20%
all'erario per trasformare la banca da pubblica in società per azioni.
Secondo dei calcoli presto fatti, molte delle dieci banche sarebbe
toscane. Sta di fatto che la proposta di non far confluire tutte la
banche in una stessa holding era stata avanzata da alcuni segmenti della
cooperazione, che nei mesi scorsi si erano mostrati piuttosto critici.
La
decisione di accontentarli è stata presa poco prima dell'inizio della
riunione. Ed è così che durante il Consiglio dei ministri è scoppiato un
confronto piuttosto animato andato avanti per tre ore. Capofila contro
il paracadute concesso dal premier è il ministro all'Ambiente, Gian Luca
Galletti, di Area Popolare, spalleggiato dal collega di partito
Angelino Alfano. Anche il ministro dei Trasporti Graziano Delrio (Pd)
avrebbe avanzato qualche dubbio, salvo poi adeguarsi alla decisione
presa dal Cdm. Non è un caso, tuttavia - fa notare qualcuno - se i più
critici nei confronti della riforma siano dell'Emilia Romagna (dove si
concentrano molte altre Bcc) come il ministro Galletti e l'ex segretario
del Pd, Pierluigi Bersani. Quest'ultimo in post su Facebook, ha
bocciato l'intero impianto: "Sulla riforma delle Bcc è il caso di
riflettere bene. Liberare le riserve di una cooperativa creerebbe un
precedente molto serio. Si tratta infatti di colpire al cuore il
concetto stesso di cooperazione".
La battaglia prende l'aspetto di
un conflitto territoriale tosco-emiliano. Con emiliani da una parte e
toscani dall'altra, non solo nel governo ma anche nel Pd. Anche se la
riforma è stata approvata "salvo intese", ciò significa che potrebbero
esserci anche alcune modifiche, non ci saranno stravolgimenti e la
sostanza, come conferma il sottosegretario Luca Lotti, braccio destro e
sinistro del premier, resterà tale: "A me sembra una riforma che aiuta
il sistema e che aiuta a consolidare il sistema delle Bcc". Via libera
quindi anche a quella parte del provvedimento che consente alle banche
sopra i 200 milioni di patrimonio di non entrare nella holding. E tra
queste ce n'è una in particolare. Mauro Benigni, direttore generale
della Banca di Pisa e Fornacetta, gruppo Cabel, ha spiegato infatti che
"l'unica banca del gruppo che potrebbe farlo è quella di Cambiano". Non
si tratta di una Bcc qualunque, ma è la banca dove lavora e ha ricoperto
ruoli dirigenziali Marco Lotti, padre del sottosegretario. Il
presidente della banca di Cambiano, Paolo Regini, in un'intervista al
Corriere fiorentino, nel dicembre scorso aveva parlato proprio di
"riforma inevitabile" ma aveva detto chiaro e tondo: "Mi aspetto che
vengano salvaguardate le autonomie delle banche sul territorio. In
Toscana ci sono banche robuste e sane come la nostra, mescolarle con chi
non ha esperienza non mi sembra virtuoso". Un messaggio molto chiaro
rivolto al governo.
La battaglia, comunque sia, si sposta in
Parlamento, oltre a una parte del Pd anche Forza Italia con Maria Stella
Gelmini e Renato Brunetta è contraria. Saranno le Aule di Camera e
Senato a decidere se modificare o meno il testo. Ma viene fatto presente
da alcuni deputati, che conosco bene questi dossier, che sarà
complicato cambiare il testo: "Nella holding dovevano confluire tutte le
banche, nessuna esclusa. Adesso ciò che è possibile fare è alzare la
tassa per scoraggiare le Bcc a rendersi indipendenti".
L'urlo
d'allarme viene lanciato a metà pomeriggio, quando ormai Lotti ha
confermato che si andrà avanti, anche dal presidente dell'associazione
nazionale delle Bcc, Alessandro Azzi, che si è detto sorpreso dalla
decisione presa dal governo: "La soglia di 200 milioni non va bene,
perché ci sono disparità nel trattamento e possibili rilievi di
costituzionalità". Oltre alla battaglia parlamentare, all'orizzonte
potrebbero esserci anche ricorsi.
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