I
recenti accadimenti che hanno interessato il sito archeologico mettono ancora
una volta in evidenza la barbarie che ha ciclicamente sempre caratterizzato le
comunità umane.
L’invito ricevuto a scrivere qualcosa al riguardo, per un luogo oggi assurto con la sua brutale distruzione all’indignazione mondiale, ha fatto riemergere in me ricordi di un viaggio in Siria - e della visita di Palmira in particolare - fatto nel lontano 1993.
Il
valore artistico dei resti di fantastici edifici, la bellezza delle colonne, i
ricchi capitelli, i basolati delle strade e le splendide torri cimiteriali, al
di là delle vetustà evidenti in parte restaurate, mostrano e dimostrano
l’importanza che il luogo ebbe nella storia, la superba e imponente vastità
della Palmira che fu.
Con un po’ di fantasia, poi, ognuno potrà anche immaginare le promiscuità etniche e la pacifica convivenza dei molti abitanti del tempo. Di certo potersi muovere fra monumenti così suggestivi ha sempre rappresentato una di quelle unicità che si possono ancora provare solo in pochi angoli del mondo, e ciò a prescindere della sensibilità emotiva e culturale di ciascuno.
La narrazione di valide guide che durante le visite illustrano i tanti eventi che hanno interessato il sito ci consente di conoscere i personaggi, più o meno illustri, che hanno percorso quei luoghi prima di noi.
Il
tutto consente di coronare il vero scopo culturale di questi viaggi, che
dovrebbero indurci a riflettere sulla profondità delle radici della nostra
modernità, a partire dalle più evolute realtà del passato. La fisicità stessa
dei luoghi costituisce prova della storica evidenza di queste monumentali
eredità.
Ai
miei occhi Palmira esteticamente si presentava anche come un felice connubio.
Infatti, lo scenario desertico che esaltava il castello islamico sovrastante
l’ampia valle, paradossalmente, lasciava intuire l’armoniosa coesistenza e la
perfetta plurisecolare sintonia tra il mondo dell’Islam e quello dell’Occidente
euroasiatico.
Il
posto, poi, in assenza totale di turisti, ebbe ad offrirmi l’opportunità di
godere sensazioni intime particolari.
Compatibilmente alle occasioni di volta in volta utilizzabili, anche per rispondere al gusto del reportage fotografico, un mio modo di viaggiare è sempre stato quello di associare alle programmate visite guidate la possibilità di muovermi in forma libera e autonoma nei luoghi e fra la gente.
Nel
caso specifico, il sito monumentale di Palmira è stato uno dei luoghi che mi ha
comunicato straordinarie esperienze emozionali, e di certo le più forti
sensazioni le ho potute provare durante una visita in solitaria della valle,
nelle ore fantastiche di un lento e lunghissimo tramonto.
Nessuno
dei miei compagni di viaggio volle seguirmi e, durante la solitaria
scorribanda, soltanto una berbera indigena infine mi accompagnò nella
suggestiva escursione. Passivamente, come un’ombra.
Alla
fine, per premiare anche la silenziosa presenza, acquistai una piccola borsetta
realizzata a mano con lana grezza, forse da lei stessa lavorata con l’utilizzo
di qualche rudimentale telaio.
Nel
silenzio assoluto, rotto solo dai miei passi, e nel gioco di luci di un sole
calante, ulteriore spettacolo fu quello offertomi dal colore aureo assunto ad
un certo momento dai ruderi e dalle loro lunghe ombre proiettate sulla
sabbia.
Indescrivibile
lo scenario crepuscolare materializzatasi con la luce dell’ora blu.
Se
consideriamo i nefasti recenti vandalismi, si può affermare con più amara
consapevolezza che la distruzione fisica di qualunque sito archeologico
costituisce solo la barbara regressione degli istinti animaleschi insiti
nell’uomo, la riproposizione di oscurantismi passati che non potranno comunque
mai cancellare la storia, consolidatasi nel tempo anche nel DNA culturale di
ciascun essere vivente.
Un
breve slide show di immagini analogiche è anche pubblicato su You Tube https://youtu.be/SfzT96aPu2M
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