Il mio dissenso
nei confronti della riforma costituzionale è dovuto a vari motivi che, per
ragioni di tempo, potrò esplicare solo in piccola parte.
In primo luogo
perché questa riforma non è affatto una revisione della Costituzione vigente,
cioè un aggiustamento di alcuni meccanismi della macchina statale per renderla
più funzionale, ma con i suoi 47 articoli su 139 introduce una diversa
Costituzione, alternativa e antagonista nel suo disegno globale a quella
vigente, mutando in profondità l’organizzazione dello Stato, i rapporti tra i
poteri ed il rapporto tra il potere ed i cittadini.
Una diversa
Costituzione che modificando il modo in cui il potere è organizzato, ha
inevitabili e rilevanti ricadute sui diritti politici e sociali dei cittadini,
garantiti nella prima parte della Costituzione.
Basti considerare
che, ad esempio, la riforma abroga l’articolo 58 della Costituzione vigente che
sancisce il diritto dei cittadini di eleggere i senatori, e con ciò stesso
svuota di contenuto l’art. 1 della Costituzione, norma cardine del sistema
democratico che stabilisce che la sovranità appartiene al popolo che la
esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Nella diversa
organizzazione del potere prevista dalla riforma, questo potere sovrano
fondamentale per la vita democratica, viene tolto ai cittadini e attributo alle
oligarchie di partito che controllano i consigli regionali.
Poiché, come
diceva Hegel, il demonio si cela nel dettaglio, questo dettaglio – se così
vogliamo impropriamente definirlo – racchiude in se e disvela l’animus
oligarchico e antipopolare che – a mio parere – attraversa sottotraccia tutta
la riforma costituzionale, celandosi nei meandri di articoli la cui
comprensione sfugge al cittadino medio, cioè a dire alla generalità dei
cittadini che il 4 dicembre saranno chiamati a votare.
I fautori della
riforma focalizzano l’attenzione e il dibattito pubblico sulla necessità di
ridimensionare i poteri del Senato eliminando il bicameralismo paritario,
questione sulla quale si può concordare in linea di principio, ma glissano su
un punto essenziale: Perché pur riformando il Senato avete ritenuto
indispensabile espropriare i cittadini del diritto – potere di eleggere i
senatori?
Il bicameralismo
così come lo volete riformare non poteva funzionare altrettanto bene lasciando
intatto il diritto costituzionale dei cittadini di eleggere i senatori?
Perché questo specifico punto della riforma è stato ritenuto tanto essenziale da determinare addirittura l’epurazione dalla Commissione affari costituzionali dei senatori del Pd – Corradino Mineo e Vannino Chiti – che si battevano per mantenere in vita il diritto dei cittadini di eleggere i senatori?
Perché questo specifico punto della riforma è stato ritenuto tanto essenziale da determinare addirittura l’epurazione dalla Commissione affari costituzionali dei senatori del Pd – Corradino Mineo e Vannino Chiti – che si battevano per mantenere in vita il diritto dei cittadini di eleggere i senatori?
Forse uno degli
obiettivi che si volevano perseguire, ma che non possono essere esplicitati
alla pubblica opinione, era proprio quello di restringere gli spazi di
partecipazione democratica e di estromettere il popolo dalla macchina dello
Stato?
Dunque secondo voi la ricetta migliore per curare la crisi della democrazia e della rappresentanza, è quella di restringere ancor di più gli spazi di democrazia e di rappresentanza?
Dunque secondo voi la ricetta migliore per curare la crisi della democrazia e della rappresentanza, è quella di restringere ancor di più gli spazi di democrazia e di rappresentanza?
Questo travaso di
potere dai cittadini alle oligarchie di partito non riguarda solo il Senato, ma
anche la Camera dei Deputati e viene realizzato mediante sofisticati meccanismi
che sfuggono alla comprensione del cittadino medio.
La nuova legge
elettorale nota come l’Italicum, che costituisce una delle chiavi di volta
della riforma, attribuisce infatti ai capi partito e ai loro entourage il
potere di nominare ben cento deputati della Camera, imponendoli dall’alto senza
il voto popolare.
Questo risultato
viene conseguito mediante il sistema dei capilista bloccati inseriti di
autorità nelle liste elettorali presentate nei 100 collegi nei quali cui si
suddivide il paese, e che vengono eletti automaticamente con i voti riportati
dalla lista, senza che nessun elettore li abbia indicati.
Gli elettori
potranno esprimere un voto di preferenza per un altro candidato oltre il capo
lista, ma i voti di preferenza così espressi saranno presi in considerazione
solo se la lista da loro votata avrà ottenuto più di cento deputati in campo
nazionale, perché i primi cento posti sono bloccati per le persone “nominate”
dai gruppi dirigenti del partito in base a particolari vincoli di fedeltà.
Così, per
formulare un esempio, se una lista ottiene un totale nazionale di voti pari a
100 deputati, nessuno dei candidati scelti dagli elettori dal 101 in poi con il
voto di preferenza potrà essere eletto alla Camera, perché tutti i posti
disponibili sono stati esauriti.
Ora poiché il
premio di maggioranza previsto dall’Italicum attribuisce al partito vincitore
delle elezioni 340 deputati su 630, tutti i partiti della minoranza potranno
portare alla Camera nel loro insieme complessivamente 290 deputati, e, quindi,
ciascuno solo una quota di deputati intorno a 100 o ad un sottomultiplo di
cento.
Il che significa che entreranno alla Camera per le minoranze solo i capilista bloccati, nominati dai capi partiti. Nessuno o quasi dei candidati scelti dagli elettori oltre i cento con i voti di preferenza, farà ingresso in Parlamento.
Il che significa che entreranno alla Camera per le minoranze solo i capilista bloccati, nominati dai capi partiti. Nessuno o quasi dei candidati scelti dagli elettori oltre i cento con i voti di preferenza, farà ingresso in Parlamento.
Ne consegue che
ben due terzi dei cittadini italiani votanti, tanti quanti sono rappresentati
dalla somma dei partiti della minoranza nell’attuale panorama tripolare
nazionale, saranno di fatto privati del diritto di scegliere i propri
rappresentanti alla Camera.
Se questa è la
sorte riservata ai cittadini elettori delle minoranze, è interessante notare
come il congegno dei cento capilista bloccati, unito ad altri, consegua poi
l’ulteriore risultato antidemocratico di determinare una distorsione della
rappresentanza parlamentare anche nel partito di maggioranza, e di realizzare
una sostanziale abolizione della separazione dei poteri tra legislativo ed
esecutivo.
Per spiegare come
ciò si verifichi, occorre comprendere come opera il combinato disposto della
riforma e dell’Italicum.
L’articolo 2 comma 8 dell’Italicum stabilisce: “I partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e il cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica”. In questo modo il voto per la forza politica “che si candida a governare” è anche il voto per il “capo della forza politica” che si candida a divenire il capo del governo, in contrasto con l’art. 92 della Costituzione, rimasto inalterato, che ne affida la nomina al Presidente della Repubblica sulla base delle indicazioni dei gruppi parlamentari. Come è stato osservato, sarà ben difficile non solo la nomina di una persona diversa, ma perfino la sfiducia, destinata inevitabilmente a provocare lo scioglimento della Camera.
L’articolo 2 comma 8 dell’Italicum stabilisce: “I partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e il cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica”. In questo modo il voto per la forza politica “che si candida a governare” è anche il voto per il “capo della forza politica” che si candida a divenire il capo del governo, in contrasto con l’art. 92 della Costituzione, rimasto inalterato, che ne affida la nomina al Presidente della Repubblica sulla base delle indicazioni dei gruppi parlamentari. Come è stato osservato, sarà ben difficile non solo la nomina di una persona diversa, ma perfino la sfiducia, destinata inevitabilmente a provocare lo scioglimento della Camera.
Ciò posto, tenuto
conto che, come accennato, l’Italicum attribuisce alla medesima oligarchia di
partito che esprime il leader della forza politica candidato a capo del
governo, la possibilità di nominare cento deputati della Camera, è evidente che
tale gruppo oligarchico nominerà capilista, e quindi deputati ipso facto, tutti
i componenti del gruppo ed i fedelissimi del leader.
Si tratta di un numero di deputati che già di per se attribuisce al futuro capo del governo la Golden share per il controllo della maggioranza alla Camera dei deputati, perché equivale a circa un terzo dei deputati eleggibili dal partito.
Si tratta di un numero di deputati che già di per se attribuisce al futuro capo del governo la Golden share per il controllo della maggioranza alla Camera dei deputati, perché equivale a circa un terzo dei deputati eleggibili dal partito.
Qualunque studioso
di diritto societario sa bene che l’amministratore delegato di una azienda che
detiene un terzo della quota azionaria, è in grado di controllare l’intera
azienda. Ma non finisce qui. Il leader futuro capo del governo ed il suo
entourage dopo avere nominato 100 deputati, tanti quanti sono i collegi
elettorali del paese, sono gli stessi che formano la lista degli altri
candidati non bloccati, per i quali gli elettori hanno la possibilità di
esprimere una preferenza o due a condizione che si votino candidati di sesso
diverso.
La riforma
costituzionale non prevede alcuna norma che imponga (così come, ad esempio,
l’art. 21 della Costituzione tedesca) che l’ordinamento interno dei partiti
debba essere conforme ai princìpi fondamentali della democrazia e che
garantisca, di conseguenza, una selezione democratica dei candidati da inserire
nelle liste elettorali. Dunque la stessa oligarchia partitica che elegge se
stessa con il sistema dei 100 capilista bloccati, ha la possibilità di
cooptare, inserendoli nella lista dei candidati votabili, solo personaggi
ritenuti affidabili e obbedienti, escludendo dalla lista gli indipendenti e gli
esponenti delle opposizioni interne, oppure relegandoli in posizioni marginali.
Ma non finisce qui.
L’Italicum ha in serbo un altro congegno a disposizione delle oligarchie di
partito per selezionare persone da cooptare nella maggioranza parlamentare del
futuro capo del governo. Si tratta della possibilità di candidare la stessa
persona in ben dieci diversi collegi contemporaneamente. Il candidato eletto in
più collegi deve scegliere il collegio che preferisce. In quello in cui
rinuncia, al suo posto viene eletto il candidato che ha ottenuto più voti di
preferenza dopo di lui. Il gruppo oligarchico che esprime il leader futuro capo
del governo ha in questo modo la possibilità di neutralizzare eventuali
candidati espressi dai territori e ritenuti non affidabili, stabilendo che il
candidato eletto in più circoscrizioni e fedele alla leadership, scelga la
circoscrizione nella quale altrimenti al suo posto verrebbe eletto il candidato
non gradito, che viene così escluso dalla Camera.
Grazie a questi
congegni elettorali, lo stesso gruppo oligarchico che designa come capo del
Governo il capo della partito di maggioranza, acquisisce la possibilità di
controllare contemporaneamente sia il Governo che la Camera dei deputati.
Si realizza così un continuum tra Camera dei deputati e Governo espressione entrambi dello stesso gruppo oligarchico che abolisce di fatto la separazione dei poteri tra legislativo ed esecutivo, e la Camera si trasforma da organo espressione della sovranità popolare che controlla il governo dando e revocando la fiducia, in Camera di ratifica delle iniziative legislative promosse dal Capo del Governo, il quale è allo stesso tempo capo del partito di maggioranza.
Si realizza così un continuum tra Camera dei deputati e Governo espressione entrambi dello stesso gruppo oligarchico che abolisce di fatto la separazione dei poteri tra legislativo ed esecutivo, e la Camera si trasforma da organo espressione della sovranità popolare che controlla il governo dando e revocando la fiducia, in Camera di ratifica delle iniziative legislative promosse dal Capo del Governo, il quale è allo stesso tempo capo del partito di maggioranza.
Il capo del
Governo/capopartito oltre ad avere una supremazia di fatto sulla Camera nei
modi accennati, ha anche una supremazia istituzionale in quanto la riforma gli
attribuisce il potere di dettare l’agenda dei lavori parlamentari con il
meccanismo delle leggi dichiarate dal Governo di urgenza che devono essere
approvate entro 70 giorni.
Interessante
notare che la stessa corsia preferenziale non è prevista per le leggi di
iniziativa parlamentare, così che il governo è in grado di colonizzare ancor di
più l’attività legislativa del parlamento.
Alla sostanziale
desovranizzazione del popolo, alla disattivazione della separazione tra potere
esecutivo e potere legislativo e, quindi, del ruolo di controllo di
quest’ultimo sul primo, si somma poi la disattivazione del ruolo delle
minoranze che, sempre grazie all’Italicum, sono condannate per tutta la
legislatura alla più totale impotenza, avendo a disposizione in totale solo 290
deputati rispetto ai 340 della maggioranza governativa.
E ciò nonostante
che nell’attuale panorama politico multipolare, le minoranze siano in realtà la
maggioranza reale nel paese, assommando i voti di due terzi dei votanti a
fronte del residuo terzo circa, ottenuto dal partito del capo del governo.
Grazie alla lampada di Aladino del combinato disposto della riforma costituzionale e dell’Italicum, un ristretto gruppo oligarchico autoreferenziale in grado di auto cooptarsi prescindendo in buona misura nei modi accennati dai voti di preferenza espressi da una minoranza del paese, pari a circa un terzo dei votanti, che lo porta al potere, è in grado di divenire il gestore oligopolistico delle leve strategiche dello stato, cioè della Camera e del Governo.
Grazie alla lampada di Aladino del combinato disposto della riforma costituzionale e dell’Italicum, un ristretto gruppo oligarchico autoreferenziale in grado di auto cooptarsi prescindendo in buona misura nei modi accennati dai voti di preferenza espressi da una minoranza del paese, pari a circa un terzo dei votanti, che lo porta al potere, è in grado di divenire il gestore oligopolistico delle leve strategiche dello stato, cioè della Camera e del Governo.
Azionando sinergicamente
tali leve, il gruppo nell’assenza di ogni valido contro bilanciamento è in
grado di esercitare un potere politico-istituzionale di supremazia sugli
apparati istituzionali nei quali si articola lo stato: dalla Rai, alle
Partecipate pubbliche, agli enti pubblici economici, alle varie Authority, ai
vertici delle Forze di Polizia, dei Servizi segreti, e via elencando. Si
pongono così le premesse per realizzare uno spoil system generalizzato,
finalizzato a garantire l’autoriproduzione del gruppo oligarchico mediante la
nomina ai vertici degli apparati che contano solo persone di provata consonanza
politica e fedeltà.
Tramite questi e
molti altri sofisticati meccanismi che per ragioni di tempo non posso spiegare,
si pongono così a mio parere le premesse per una transizione occulta da un
repubblica parlamentare imperniata sulla sovranità popolare, sulla centralità
del Parlamento e sulla separazione dei poteri, ad un regime oligarchico nel
quale il potere reale si concentra nelle mani di una oligarchia che occupa il
cuore nevralgico dello stato.
Per giustificare
la sostituzione della Costituzione vigente con una nuova Costituzione, i
promotori della riforma si sono appellati ad argomenti che si rivelano non
ancorati alla realtà e che, proprio per questo motivo, suscitano, a mio parere,
serie perplessità, giacché se le ragioni della riforma dichiarate non sono
radicate nella realtà, se ne deve dedurre che vi sono altre ragioni che non si
ritiene politicamente pagante esplicitare.
Si sostiene
infatti che questa riforma sarebbe finalizzata a tagliare i costi della
politica e sarebbe necessaria ed urgente per risolvere i problemi del paese.
Quanto all’inconsistenza del primo argomento – cioè lo scopo di tagliare i
costi della politica – non ritengo di dovermi soffermare. La Ragioneria dello
Stato in una relazione trasmessa al Ministro per le riforme in data 28 ottobre
2014 ha stimato il risparmio di spesa conseguente alla riforma del Senato pari
a 57,7 milioni di euro, una cifra ridicola rispetto al bilancio statale, e che
potrebbe essere risparmiata in mille altri modi con leggi ordinarie senza
alcuna necessità di stravolgere la Costituzione. Per esempio tagliando i costi
della corruzione, i costi della evasione fiscale, invece di tagliare la
democrazia.
Il secondo
argomento dei sostenitori del Si è – come accennavo – che la riforma è
necessaria ed urgente per risolvere i problemi del paese, in quanto il
bicameralismo paritario determina una patologico rallentamento del processo
legislativo, ed in quanto l’attuale assetto costituzionale impedisce una
governabilità del paese agile, flessibile, necessaria per reggere le sfide
della globalizzazione.
Se questo è lo
scopo dichiarato, non risulta che siano stati indicati dai fautori del Si i
problemi del paese che sarebbero stati causati in passato dalla farraginosità
dei meccanismi istituzionali previsti dalla Costituzione vigente e che, invece,
troverebbero immediata soluzione con la riforma della Costituzione.
Forse la completa
assenza di una politica industriale che perdura da oltre un quarto di secolo e
a causa della quale dal 2008 ad oggi sono passati al capitale straniero più di
500 marchi storici di tutti i settori strategici dell’industria nazionale?
Dall’elettronica,
alle automobili, alle comunicazioni, agli elettrodomestici, alle ferrovie,
all’aerospaziale, all’agroalimentare, alla moda, l’elenco dei marchi passati al
capitale straniero da la sensazione di una silenziosa Caporetto nazionale:
Pirelli, Pininfarina, Indesit, Ansaldo Breda, Italcementi, Edison, Buitoni,
Parmalat, Fendi, Bulgari, Gucci, Valentino, etc.
Forse la
disoccupazione giovanile che raggiunge livelli record in ambito europeo e
l’emigrazione all’estero di centinaia di migliaia di giovani laureati che nel
nostro paese non hanno alcun futuro?
Forse la gigantesca evasione fiscale (la terza del mondo dopo Messico e Turchia) con un mancato introito per le casse dello stato che mette in ginocchio l’erogazione dei servizi sociali?
Forse la gigantesca evasione fiscale (la terza del mondo dopo Messico e Turchia) con un mancato introito per le casse dello stato che mette in ginocchio l’erogazione dei servizi sociali?
Ciascuno può
allungare a piacimento la lista dei gravi problemi nei quali versa il paese e
che lo stanno avvitando in una spirale di declino che sembra senza fine, e
stilare dal suo punto di vista una diversa gerarchia della gravità di tali
problemi.
Ma pur nella diversità delle opzioni, un fatto è certo: nessuno di questi problemi è addebitabile al bicameralismo paritario e alla Costituzione del 1948. Una classe dirigente che si è rivelata inadeguata a reggere le sfide della complessità e che si è resa responsabile del declassamento economico e sociale del paese, ora tenta di scaricare le proprie responsabilità sul capro espiatorio di una Costituzione del 1948 che nulla ha da spartire con le cause della crisi economica.
Ma pur nella diversità delle opzioni, un fatto è certo: nessuno di questi problemi è addebitabile al bicameralismo paritario e alla Costituzione del 1948. Una classe dirigente che si è rivelata inadeguata a reggere le sfide della complessità e che si è resa responsabile del declassamento economico e sociale del paese, ora tenta di scaricare le proprie responsabilità sul capro espiatorio di una Costituzione del 1948 che nulla ha da spartire con le cause della crisi economica.
Non basta. Gli
uffici studi del Parlamento hanno documentato quanto sia priva di fondamento
nella realtà la narrazione dei sostenitori del Sì secondo cui il bicameralismo
paritario avrebbe enormemente dilatato i tempi di approvazione delle leggi a
causa della navetta tra la Camera dei Deputati ed il Senato, quando una delle due
camere apporta modifiche ai progetti di legge approvati dall’altra.
In questa
legislatura sono state sino ad oggi approvare 250 leggi di cui ben 200, pari
all’80%, senza navetta parlamentare e solo 50 pari al 20% con rinvio di una
Camera all’altra, a seguito di modifiche. I tempi medi approvazione delle leggi
sono i seguenti: ogni legge ordinaria viene approvata in media fra Camera e
Senato in 53 giorni; ogni decreto viene convertito in legge dalle due Camere in
46 giorni; e ogni legge finanziaria passa, con la "doppia conforme",
in 88 giorni.
Se una legge si
incaglia in parlamento non è per colpa del pur discutibile bicameralismo
paritario: ma dei dissensi politici dentro le coalizioni di maggioranza. È pur
vero che vi sono leggi che invece sono state approvate in tempi molto lunghi.
Ma se si approfondisce l’analisi si comprende bene che le ragioni di questi
tempi lunghi non sono attribuibili al bicameralismo paritario, ma a ben altre
ragioni di ordine politico non sempre commendevoli. La legge sulla corruzione,
per esempio, ha ottenuto il via libera dal Parlamento dopo ben 1546 giorni.
Dunque
ricapitolando le ragioni addotte dai sostenitori del Si per sostenere la
necessità di questa riforma non trovano riscontro nella realtà.
Possiamo
concludere che non è affatto vero che esiste una crisi di governabilità del
paese che è una concausa importante della grave crisi economica nella quale
ristagniamo? Non possiamo affatto
sostenerlo. Anzi dobbiamo ammettere che esiste certamente una reale grave crisi
di governabilità che ha causato ed aggrava la crisi.
Quel che merita
riflessione, dal mio punto di vista, è che si addebita la crisi di
governabilità alla Costituzione vigente e si tacciono invece alla pubblica
opinione le vere cause strutturali di tale crisi di governabilità, che possono
essere ignote al cittadino comune, che possono essere sconosciute ai tanti
giuristi in buona fede che non conoscono quale sia il reale funzionamento della
macchina del potere oggi, ma che, invece, non possono essere ignote a coloro
che hanno ideato questa riforma.
Quali sono dunque
le reali cause che ostacolano la governabilità nel nuovo scenario macro
politico e macroeconomico venutosi a creare nella seconda repubblica per
fattori nazionali e internazionali verificatisi dalla seconda metà degli anni
Novanta del secolo scorso?
La risposta a
questa domanda presuppone che si abbia ben chiaro quali siano gli strumenti
indispensabili per governare la politica economica di un paese e che sono
essenzialmente tre. La potestà monetaria, cioè il potere di emettere moneta e
obbligazioni di Stato. La potestà valutaria, cioè il potere di svalutare la
moneta nazionale in modo da fare recuperare margini di competitività
all’economia nazionale nei periodi di crisi. La potestà di bilancio, cioè il
potere di finanziare il rilancio dell’economia mediante spesa pubblica in
deficit, senza attenersi alla regola del pareggio tra entrate ed uscite. In
assenza di questa fondamentale cassetta degli attrezzi, non è possibile
governare la politica economica di un paese.
L’esempio più
evidente si trae dall’esperienza degli strumenti messi in campo
dall’amministrazione americana per gestire e superare la crisi sistemica
verificatasi dopo l’esplosione della bolla dei mutui subprime.
L’amministrazione
statunitense ha contemporaneamente azionato la leva della potestà monetaria
autorizzando la Fed ad iniettare ogni mese 80 miliardi di liquidità
nell’economia reale, la leva della sovranità valutaria svalutando il dollaro
rispetto ad altre monete, la leva infine della potestà di bilancio, finanziando
con il deficit di bilancio statale politiche di spesa per il rilancio
dell’economia. Solo grazie a telai manovre, l’economia statunitense è uscita
dal guado. Veniamo ora al nostro paese. Perché il governo italiano nello stesso
periodo non ha azionato le stesse leve felicemente azionate
dall’amministrazione statunitense? Forse perché ha commesso un errore di
diagnosi?
Perché ha ritenuto
di dovere seguire un’altra strategia? No, semplicemente perché non ha potuto.
Non ha potuto
perché le tre potestà fondamentali per gestire il governo dell’economia del
sistema Italia – potestà monetaria, potestà valutaria, potestà di bilancio –
non sono più azionabili dal governo italiano essendo state cedute ad organi
sovranazionali: la Commissione europea e la Bce, componenti insieme al Fondo
monetario internazionale della c.d. Troika, santuario del pensiero unico
neoliberista.
In altri termini
il governo non ha potuto azionare quelle leve per un deficit di governabilità
nazionale determinato non dalla Costituzione del 1948, come sostengono i
fautori del Si, ma dai trattati europei firmati dal 1992 in poi. Il deficit di
governabilità così venutosi a determinare è a sua volta il frutto di un grave
deficit di democrazia. Infatti le leve fondamentali per governare la politica
economica nazionale, non sono state cedute al Parlamento europeo o ad altro
organo espressione della sovranità popolare, ma sono state cedute agli organi
prima menzionati – la Commissione europea, la Bce (e per certi versi il Fondo
monetario internazionale) – privi di legittimazione e rappresentanza
democratica, disconnessi dalla sovranità popolare ma fortemente connessi invece
ai grandi centri del potere economico e finanziario.
Connessione questa
dimostrata in modo inequivocabile dalla biografia di tanti soggetti che in tali
organi hanno rivestito e rivestono ruoli decisionali strategici e che
provengono dalle strutture apicali delle più grandi banche di affari
internazionali, o che a fine del loro mandato vengono assunti da tali banche e
da potenti multinazionali come consulenti o top manager.
Non risponde a realtà dunque, come affermano i sostenitori del Si, che la politica ha perduto il controllo sull’economia a causa dell’ inefficienza delle procedure decisionali previste dall’attuale Costituzione che, dunque, sarebbe bene riformare votando Si al prossimo referendum del 4 dicembre.
Non risponde a realtà dunque, come affermano i sostenitori del Si, che la politica ha perduto il controllo sull’economia a causa dell’ inefficienza delle procedure decisionali previste dall’attuale Costituzione che, dunque, sarebbe bene riformare votando Si al prossimo referendum del 4 dicembre.
La politica, o
meglio la democrazia, ha abdicato al suo ruolo, quando ha consegnato gli
strumenti della sovranità a ristrette oligarchie arroccate in centri
decisionali impermeabili alla volontà popolare, ma fortemente permeabili ai
diktat dei mercati, o meglio alle potenze economiche che governano i mercati.
Una
esemplificazione concreta e recente dei risultati di questa abdicazione della
politica al potere economico e dei modi nei quali oggi viene gestito il potere
reale si ricava dall’esame della lettera strettamente riservata che in data 5
agosto 2011, il Presidente della Bce inviò al Presidente del Consiglio dei
Ministri italiano, dettandogli una analitica agenda politica delle riforme che
il governo ed il Parlamento italiano dovevano approvare, specificando anche i
tempi e gli strumenti legislativi da adottare.
Dalla riforma
della legislazione sul lavoro, alla riforma della contrattazione collettiva,
alla riforma delle pensioni sino alle privatizzazioni e alla riforma della
Costituzione, è una summa del pensiero e delle strategie neoliberiste.
È impressionante
verificare a posteriori come quell’agenda politica sia stata puntualmente
realizzata – dalla riforma Fornero sino al Jobs Act – dai tre governi che si
sono susseguiti dal 2011 ad oggi, e da maggioranze parlamentari composte in
larga misura da persone nominate da ristretti vertici di partito.
Quel che appare
ancor più significativo è che in quella stessa lettera del 5 agosto 2011, il
Presidente della Bce sollecitava anche una riforma della seconda parte della
Costituzione che è stata realizzata nel 2012 nella indifferenza e nella
inconsapevolezza della sua reale portata, della opinione pubblica e del mondo
dei giuristi.
Mi riferisco a
quell’art. 81 della Costituzione che ha introdotto l’obbligo del pareggio di
bilancio, norma di matrice culturale neoliberista.
Una norma che ha
introdotto un vero e proprio cavallo di Troia all’interno della cittadella
costituzionale, perché impedisce di finanziare in deficit politiche economiche
espansive di tipo keinesiano per superare le fasi di crisi aumentando la spesa
pubblica, ed impone quindi come unica soluzione alternativa obbligata il taglio
della spesa pubblica ai servizi dello Stato sociale, determinando così
l’impoverimento delle masse popolari, la riduzione della loro capacità di
spesa, la caduta della domanda aggregata interna e l’avvitamento della spirale
recessiva.
La vicenda in
parola dimostra quanto siano infondate tutte le argomentazioni dei sostenitori
del Si secondo cui la Costituzione va riformata perché quella attuale rallenta
l’iter legislativo e impedisce la governabilità.
Tutte le leggi
indicate dalla BCE sono state approvate in tempi rapidissimi con un doppio
passaggio parlamentare. La Salva-Italia di Monti e Fornero fu approvata in
appena 16 giorni.
La legge costituzionale sul pareggio di bilancio obbligatorio fu approvata addirittura in cinque mesi (con quattro votazioni Camera-Senato-Camera-Senato).
La legge costituzionale sul pareggio di bilancio obbligatorio fu approvata addirittura in cinque mesi (con quattro votazioni Camera-Senato-Camera-Senato).
La vicenda esposta
costituisce una concreta esemplificazione del reale modo di essere del potere
oggi e di come oligarchie partitiche insediate al governo e in grado di
controllare il parlamento, possano divenire la cinghia di trasmissione della
volontà politica di centri decisionali esterni ai luoghi della rappresentanza
popolare, attraverso itinerari informali che si sottraggono alla visibilità
democratica.
Quella che ho
appena esposto non è solo una vicenda del passato ma è una simulazione di come
sarà esercitato il potere in futuro se questa riforma costituzionale dovesse
essere definitivamente approvata.
Non si tratta di
un processo alle intenzioni, non si tratta di dietrologia.
Nella relazione
che accompagna il disegno di legge di riforma costituzionale, si legge
testualmente che questa riforma risolverà tutti i problemi del paese,
rimediando:
“l’esigenza di
adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance
economica europea e alle relative stringenti regole di bilancio”
“le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale”
“le sfide derivanti dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale”
In altri termini
l’abrogazione del diritto dei cittadini di eleggere i senatori e, in buona
misura, i deputati, nonché il travaso di potere dal Parlamento al Governo che
costituiscono il cuore e il nerbo della riforma, vengono invocati per
assicurare la migliore consonanza ai diktat della Commissione europea, della
Bce e alle pretese dei mercati.
In nome della
esigenza di una totale subordinazione della politica all’economia. Il migliore
inequivocabile riscontro che questo sia il reale obiettivo della riforma
costituzionale, viene dalla sua sponsorizzazione entusiastica da parte delle
più potenti banche di affari internazionali e delle altre cattedrali della
finanza internazionale che in questi ultimi mesi sono scese in campo con tutta
la loro forza di pressione per sostenere il fronte del si, e per intimidire gli
indecisi minacciando sfracelli economici se la riforma dovesse essere bocciata
dai cittadini il 4 dicembre. E mi pare meritevole di riflessione che queste
finalità della riforma benché siano state dichiarate nella relazione che
accompagna il disegno di legge di riforma costituzionale, non siano mai state
utilizzate per sostenere le ragioni del Si nel corso di tutta questa campagna
referendaria. Evidentemente i promotori politici della riforma ritengono
controproducente proclamare a reti unificate che la riforma costituzionale
risolverà tutti i problemi del paese, grazie al fedele esecuzione delle
indicazioni provenienti dalla governance europea.
I Riformatori
affermano di essere proiettati nel futuro, ma a me sembra che con questa
riforma si rischi di riportare indietro l’orologio della Storia all’epoca del
primo Novecento quando prima dell’ avvento della Costituzione del 1948, il
potere politico era concentrato nelle mani di ristrette oligarchie, le stesse
che detenevano il potere economico.
Era il tempo in
cui lo Stato non godeva di alcuna considerazione perché era considerato un
instrumentum regni nelle mani dei potenti e la legge, come insegnava Gaetano
Salvemini, non godeva di alcun rispetto perché era percepita come la voce del
padrone.
Quella triste
stagione della storia è stata archiviata grazie alla Costituzione del 1948 che
resta, oggi come ieri, l’ultima linea Maginot per la difesa della democrazia e
dei diritti. Una Costituzione che nessuno ci ha regalato, che è costata lacrime
e sangue, come ci ricorda Piero Calamandrei, uno dei padri della Costituzione
del 1948, le cui parole pronunciate durante i lavori della Costituente nella
seduta del 7 marzo 1947, sono da tenere bene a mente in questo delicato
frangente della storia nel quale dovremo decidere sul futuro del paese, e mi sembrano
le migliori per concludere il mio intervento:
“Io mi domando,
onorevoli colleghi, come i nostri posteri tra cento anni giudicheranno questa
nostra Assemblea costituente… credo che i nostri posteri sentiranno più di noi,
tra un secolo, che da questa nostra Costituente è nata veramente una nuova
storia: e si immagineranno… che in questa nostra Assemblea, mentre si discuteva
della nuova Costituzione Repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati
noi, uomini effimeri i cui i nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia
stato tutto un popolo di morti, di quei morti, che noi conosciamo ad uno ad
uno, caduti nelle nostre file, nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle
pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti, da
Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovinetti partigiani [….]
Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si
trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva
per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata
la parte più dura e più difficile: quella di morire, di testimoniare con la
resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento
volte più agevole: quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro
sogno: di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli
uomini, alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono i nostri
morti. Non dobbiamo tradirli”.
* Procuratore Generale presso la Corte
d'Appello di Palermo. Intervento al Seminario di studi sulla Riforma della
Costituzione svoltosi al Palazzo di Giustizia di Palermo il 22 novembre 2016 .
Roberto Scarpinato (MicroMega, 24 novembre 2016)
Roberto Scarpinato (MicroMega, 24 novembre 2016)
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