Non è
esattamente una passeggiata di salute quella che Grillo e Casaleggio si sono fatti
sulla Grand Place di Bruxelles. Nel breve, ridicolo e clamoroso avanti e indietro tra gli antieuropeisti di
Farage e i liberali di Verhofstadt si radunano infatti tutti i demoni irrisolti
di un movimento perennemente allo stato gassoso che non riesce a consolidare
alcunché, perché non avendo storia e tradizione (il che non è certo una colpa)
non ha nemmeno saputo costruirsi un deposito culturale di riferimento a cui
ancorare le trovate estemporanee del leader, abituato ad uscire da una quinta
per cambiarsi d'abito e ricomparire dall'altra con uno sberleffo.
La politica
è un po' più complicata, a lungo andare, soprattutto negli intervalli tra una
campagna elettorale e l'altra: per fortuna non tutto è performance, blog,
comizio, una volta ogni tanto bisogna trasmettere l'idea che oltre a
distruggere si è capaci anche di costruire qualcosa. L'Europa, poi, è
complicata ancor di più. Esistono famiglie politiche, perché esistono vicende
storiche e civili che hanno selezionato interessi, valori e persino personalità
producendo cultura politica (mi scuso per l'espressione fuori moda): e da
quella cultura, semplicemente, sono nate le costituzioni e le istituzioni nelle
quali viviamo - potremmo dire - nelle difficoltà degli uomini ma nella libertà
del sistema, in questo nostro lungo dopoguerra europeo di pace.
Bene, se
questa è la cornice, il quadro non è solo un infortunio senza precedenti, da
inserire per anni nei repertori comici in teatro, per far ridere la platea. È
la conferma di una mancanza di sostanza, di qualità e addirittura di
significato politico. Qui succede che un movimento nasce contro l'euro e contro
l'Europa, oltre che contro tutte le inefficienze, le disfunzioni e le
corruzioni della nostra democrazia indigena. Entra nel gruppo antieuropeista di
Farage, campione della Brexit e dell'insularità britannica. Poi, dopo uno stage
sul bordo-piscina di Briatore a Malindi, ecco la rivelazione keniota del
fondatore, l'idea che per prepararsi a governare conviene abbandonare alleati
così radicali, e spostarsi in un'area più tranquillizzante. I liberali? Perché
no, vanno bene come qualsiasi opzione che non costringa a scegliere davvero tra
destra e sinistra, per non dividere il fascio di consensi. La post-modernità
della post-politica è questa: mani libere, destra e sinistra sono superate, il
nuovo vive in un altrove indistinto che si può manipolare a piacere e abitare
con comodo, interpretandolo come una pièce che si aggiorna di piazza in piazza,
secondo l'estro del capocomico.
Il fatto di
aver ironizzato sui liberali per anni e di aver polemizzato ripetutamente con
loro non conta, perché tanto nell'altrove non esiste un'opinione pubblica
interna, cui rendere conto. Anzi, la giravolta è diversità, la diversità è
libertà, e libertà significa semplicemente che il Capo fa quel che vuole.
Nessuna discussione, nessun dibattito, soprattutto nessuna passione: politica,
storica, culturale, capace di dare anima e corpo ai diversi apparentamenti
europei del movimento, di delineare una visione, una prospettiva identitaria,
qualcosa di riconoscibile e riconosciuto, un modello di riferimento. L'altrove
non ha modelli, se non l'idea originaria del leader, soggetta a colpi di vento
o di sole africani, ma per definizione esatta, innocente, intatta nel cerchio
perfetto del carisma perenne e soprattutto autosufficiente per spiegare ogni
cosa.
Poi
naturalmente c'è il referendum, strumento perfetto di ogni meccanismo sommario.
Come chiamarlo? Confermativo? Plebiscitario? Laudativo? Io direi gregario. Un
sistema di acquiescenza e ratifica che governa meccanicamente un surrogato di
consenso, richiesto e ottenuto in automatico ogni volta che c'è bisogno di dare
una vernice comunitaria postuma alle improvvisazioni solitarie del Supremo
Garante. Un referendum convocato in quattro e quattr'otto, svolto su due piedi
come al circolo nautico o al club degli scacchi, attorno alla trovata di uno
solo. Senza una discussione preparatoria, un confronto di idee, un dibattito
aperto che consenta agli interni e agli esterni di conoscere non solo l'esito e
il saldo finale, ma le ragioni di una proposta, il percorso di una scelta,
rischi e opportunità, alternative possibili e i riflessi che tutte queste
diverse opzioni possono avere sulla fisionomia pubblica del movimento.
Tutto questo
in nome di un altro demone originario: il segreto, figlio del complotto e della
grande congiura, che naturalmente è sempre in atto e con tutto quel che succede
nel mondo è concentrata sempre e solamente su Raggi e su Di Maio, e li fa
perfidamente inciampare sui frigoriferi, sul Cile e il Venezuela. L'ultima
invenzione è la congiura dell'"establishment" che
Grillo ha evocato per dargli la colpa del trappolone europeo, in realtà
fabbricato in casa. Come se in Italia esistesse una classe dirigente capace di
coniugare gli interessi particolari legittimi con l'interesse generale, invece
di singoli network gregari, concessionari e autogarantiti. Ma la congiura e il
segreto fortificano lo spirito, trasformano la politica in fede, il movimento
in setta, la trasparenza in confisca. Il referendum avviene su una piattaforma
software privata di una società privata che gestisce la cosa più pubblica che
c'è, vale a dire la proposta politica di un movimento, e conserva nomi e
password degli iscritti nella mitica fondazione Rousseau come in uno scrigno
segreto. Il segreto giustifica il vulnus di trasparenza, le decisioni europee
prese in Kenya alle spalle dei deputati europei, perché gli eletti nel
movimento hanno nei fatti un preciso e anticostituzionale vincolo di mandato,
nei confronti del partito-moloch. Lo dice su Facebook l'eurodeputato
Tamburrano: "Hanno preparato un accordo schifoso sulla testa della
maggioranza di noi portavoce (di chi?) europei facendo piombare una domenica
mattina una votazione farlocca, prendendo per i fondelli noi, milioni di
elettori e lo stesso Beppe Grillo". E la senatrice Nugnes denuncia
"la scarsità della partecipazione" ai referendum, "che si
attesta intorno al 30 per cento, di solito al di sotto". "Dovevamo
essere il popolo dell'intelligenza critica e della democrazia diretta - spiega
- invece è successo qualcosa che per il momento ha bloccato completamente il
processo". Cosa? "Una democrazia carismatica con affettività
malata". Naturalmente la miseria impaurita e impotente del dibattito
interno al Pd dopo la clamorosa sconfitta al referendum non è una
giustificazione per il M5S: se mai poteva essere uno stimolo e un'occasione
politica di diversità.
Invece
direttorio, garanti, portavoce: tutta un'intercapedine procedurale che è il
contrario della democrazia diretta, e che consente alla Casaleggio di veicolare
contenuti a piacere dall'alto al basso, come memorandum aziendali, e al leader
di rivoltare il calzino a piacere dalla terrazze dell'Hotel Forum ogni volta
che gli serve. Nell'altrove, tutti gli eletti, tutti i dirigenti, tutti gli
uomini nuovi sono in realtà semplicemente dei fiduciari del Capo: in altre
epoche li avremmo chiamati portaborse, sottopancia, boiardi minori e
periferici, con in più la sovrastruttura burocratico-statutaria della multa di
250 mila euro per chi dissente, come fanno le società di calcio con un
qualsiasi centravanti chiacchierone o indisciplinato.
Questo
evidente pasticcio che parla di democrazia e pratica la teocrazia ha portato al
capitombolo europeo con la ribellione dei liberali, convinti che la "cheap
politics" di Grillo cozzi con tutto il loro armamentario ideale, visto che
loro ne hanno uno, a cui tengono. Segue il ritorno a Canossa da Farage, le
condizioni umilianti del leader Ukip per riammetterli in casa dalla porta di
servizio, la velocità di Di Maio che un minuto dopo il ritorno nel gruppo
antieuropeista si dice pronto a votare contro l'euro, senza nemmeno togliersi
il vestito liberale che il movimento aveva indossato da due giorni per
l'occasione. Ma la brutta figura davanti all'intera Europa non è ciò che conta
davvero. Conta l'anomalia del grillismo, rivelata da questa vicenda.
Attenzione, non la diversità, benvenuta in un sistema politico stagnante: ma
l'anomalia. In sostanza, la strozzatura di un meccanismo chiuso in sé, che come
rivela questa storia non è contendibile, prima e suprema condizione della
trasparenza, della libertà e della democrazia. Il resto purtroppo è
chiacchiera. Tanto che in Europa basta evocare un minimo di cultura liberale
per scioglierla come una bolla di sapone.
Ezio Mauro
(La Repubblica, 12 gennaio 2017)
Nessun commento:
Posta un commento
Tutto quanto pubblicato in questo blog è coperto da copyright. E' quindi proibito riprodurre, copiare, utilizzare le fotografie e i testi senza il consenso dell'autore.