Perché il PdR,
dopo le comunali del 2016, il referendum costituzionale e il governo, ha perso
pure le comunali del 2017? La risposta è nel tweet di Renzi: il Pd ha vinto in
67 città, contro le 59 del centrodestra e le 8 dei 5Stelle, e le elezioni
politiche saranno un’altra storia, cioè vincerà lui perché lo dice lui.
Analisi lucida come quelle di Hitler nel bunker, circondato da Eva Braun e da pochi servi
rimasti, che davano retta ai suoi delirii sull’“arma segreta” e sull’imminente vittoria in una
guerra già persa. O quelle di Alì il Chimico, il ministro di Saddam Hussein che diramava bollettini vittoriosi mentre il dittatore era in fuga e le truppe
angloamericane nel palazzo presidenziale. Ieri, appena uscito il tweet, i pochi
che ancora vogliono bene a Matteo avrebbero dovuto chiamare l’ambulanza per farlo
visitare d’urgenza da uno bravo (possibilmente non Recalcàzzola). Ma non l’han fatto né lo faranno: il
Giglio Magico non contempla esseri pensanti, solo pecore belanti e leccanti. Altrimenti un partito che colleziona più fiaschi di una cantina sociale si sarebbe già riunito per analizzare le cause e invertire la rotta (ammesso e non concesso che ne abbia una), possibilmente prima di estinguersi
definitivamente come i dinosauri. Invece, a ogni rovescio, si sente dire che la
prossima volta andrà meglio e non è l’ora di discutere. Pensando di fare cosa gradita, riassumiamo ciò che ci pare
di aver capito.
1. Già Re Mida della politica che trasformava in oro tutto ciò che toccava, Renzi è oggi un imbolsito Re Merda. Il gufo di se stesso. Nel giro di tre anni è riuscito nell’impresa che B.
impiegò più di 20 anni a centrare: stare sulle palle a tutti gli italiani, di destra, di
centro e soprattutto di sinistra, salvo a quelli che gli devono il posto
(qualche centinaio di parlamentari, cacicchi locali e giornalisti, della Rai e
non solo). Questione di arroganza,
antipatia e soprattutto disastri di governo che è inutile
riepilogare. Così, al referendum e ai ballottaggi, è “tutti contro Renzi”.
2. Non bastando lui, Renzi ha mandato
in giro – soprattutto in tv e sul web, essendo le piazze luoghi plebei e
populisti, roba da volgari grillini e leghisti – una classe dirigente inguardabile: facce patibolari, ma senza la grandezza criminale di B.&C.; o
mediocri replicanti e marionette del Capo, che ne ripetono a pappagallo il
verbuccio e fanno le faccine se parlano gli altri.
3. A furia di copiare il programma di B., e persino della Lega, molti
elettori di sinistra sono rimasti a casa (come un tempo quelli di destra), mentre quelli di destra, umiliati per 20
anni dalla sinistra, si son detti: “Vuoi vedere che avevamo ragione noi?”. E si
sono precipitati a votare financo i sindaci (come un tempo quelli di sinistra).
Intanto l’elettorato flottante e non ideologico, fra l’originale B. e la brutta
copia R., è tornato a preferire il primo. Non per convinzione: per sfinimento.
4. Alle cause strutturali della crisi, si sono aggiunti alcuni autogol freschi freschi, astutamente messi a segno da Renzi & C. fra primo turno e ballottaggi. Tipo la gestione del caso Consip, con la cacciata del testimone Marroni per salvare le poltrone degli indagati e il culetto del babbo. L’idea che a pagare sia l’unico non inquisito, nel partito che un tempo faceva della questione morale una bandiera, fa ancora un certo ribrezzo.
5. Geniale la trovata di consacrare il fiasco della Rai renziana nominando nuovo capo supremo tal Mario Orfeo al posto del pericoloso gufo Campo Dall’Orto (scelto sempre da Renzi). Il quale Orfeo, come prima mossa, ha l’ideona di fregarsene della legge (votata dal Pd di Renzi) sul tetto alle star. E non solo conferma il mega-stipendio a Fabio Fazio, ma gliel’aumenta un altro po’ (da 1,8 a 2,8 milioni l’anno). Delirio nelle periferie metropolitane e alle catene di montaggio.
6. Casomai qualcuno non si fosse ancora incazzato abbastanza, ecco il decreto banche: una spesuccia di 17 miliardi pubblici per salvare due istituti veneti, regalando la parte sana a Banca Intesa (al prezzo di 1 euro) e quella marcia allo Stato, con un salasso che si sarebbe evitato intervenendo uno o due anni fa. I 17 miliardi per il reddito di cittadinanza a chi non ha nulla non ci sono mai: per le banche, si trovano sempre.
7. Siccome un sondaggio Ipr Marketing-il Fatto rivela che una sinistra unita guidata da Stefano Rodotà raggiungerebbe il 16% dei voti, quando muore Rodotà lo piangono milioni di italiani, ma Renzi no: neppure un tweet (e meno male: c’era pure il caso che lo chiamasse “solone, professorone e gufo” un’altra volta).
8. Il boss Giuseppe Graviano, intercettato in carcere, si sfoga contro B. che ai tempi delle stragi gli chiese “cortesie” e poi si è scordato di pagare il conto. Ma Renzi & C. non dicono una parola, sennò quello s’incazza e niente governo Renzusconi. In compenso si scatenano contro la Raggi, per accuse molto più lievi di quelle di Sala, difeso a spada tratta contro la “giustizia a orologeria”. Così, tra i due litiganti, la destra gode.
9. A un passo dal varo di una legge elettorale decente sul modello tedesco, finalmente condivisa con le opposizioni, prima Pd&B. la imbottiscono di nominati (niente voto disgiunto), poi Renzi la fa saltare per un emendamento sul Trentino-Alto Adige.
10. Nell’eventualità che gli incerti non siano ancora fuggiti tutti, il Pd riesuma dopo due anni di letargo la legge sullo Ius soli, la più generosa d’Europa. Principio giusto, applicazione discutibile, spiegazioni balbettate e tempismo demenziale, in pieno panico da attentati. Salvini non poteva sperare di meglio. Anzi, se ora gliel’approvano così com’è, dal 1° settembre riempie le piazze di gazebo per raccogliere firme sul referendum abrogativo e ha le elezioni politiche in tasca. Gratis.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano - 27 luglio 2017)
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