sabato 22 luglio 2017

Pignatone: "E' vero, ho perso, ma a Roma i clan esistono e io non mi rassegnerò mai"




Il Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone si è preso una notte. "Perché le cose si vedono meglio con la testa fredda". 

E il giorno dopo la fu "Mafia Capitale" cosa vede, dunque?
"Che la sentenza del Tribunale ha riconosciuto che a Roma ha operato una associazione criminale che si è resa responsabile di una pluralità di fatti di violenza, corruzione, intimidazione. Che l'indagine di questo ufficio ha svelato un sistema criminale capace di infiltrare il tessuto amministrativo e politico della città fino al punto di avere a libro paga amministratori della cosa pubblica. Questo vedo. E questo dice tre cose. La prima: che abbiamo lavorato bene e che hanno lavorato bene i carabinieri del Ros, che per questo ringrazio. La seconda: che la sentenza apre uno spazio per una riflessione non solo giudiziaria su questa città, che però non spetta a me. La terza: non si è trattato di una fiction". 

Procuratore, questo è il bicchiere mezzo pieno. Converrà che la notizia è quello mezzo vuoto. Il suo ufficio perde il processo sulla questione dirimente. La mafiosità di quel sistema criminale. 
"Non c'è dubbio. È il dato negativo di questa sentenza". 

Quindi ha ragione chi dice che questo processo ha un solo sconfitto e che quello sconfitto è lei?
"Io non ho una concezione agonistica della giustizia. Né, aggiungo, una cultura dell'insulto. Osservo che ogni giorno, in questo palazzo, ci sono giudici che trattano, con grandissimo impegno procedimenti che hanno ad oggetto fatti di 416 bis o in cui si contesta l'aggravante mafiosa. Accade di vedere accolte le proprie tesi e di vederle respinte. Insomma, per quanto importante, questa sentenza di primo grado non riassume una stagione giudiziaria e quello che ha fotografato in questa città in materia di criminalità organizzata". 

Non può negare che su "Mafia Capitale" lei e il suo ufficio avete giocato una scommessa ambiziosa. Il che rende questo processo diverso, non fosse altro per le risorse che ha assorbito.
"Mondo di Mezzo, come l'abbiamo chiamata noi, non è stata una scommessa. Perché sono un magistrato e non scommetto sulla libertà delle persone. Detto questo, è vero. Con questa indagine intendevamo proporre un ragionamento avanzato sul rapporto tra mafia e corruzione. Per altro, muovendoci nel solco della più recente giurisprudenza di Cassazione sull'articolo 416 bis. Ora, il tribunale ha espresso un parere diverso e dunque aspettiamo le motivazioni per comprendere quale è stato il percorso logico della decisione. Se si tratta di questioni che riguardano l'interpretazione del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, o, al contrario, di una diversa lettura e qualificazione del fatto storico che il dibattimento ha provato. Dopodiché, se il tribunale ci convincerà, non faremo appello, altrimenti impugneremo". 

E va bene. Ma, con il senno di poi, tornerebbe a qualificare l'associazione criminale di Buzzi e Carminati come mafia?
"Non ho cambiato idea stanotte. E sa perché? Perché la nostra imputazione di mafia, sin qui, ha trovato il conforto di due pronunce della Cassazione nella fase incidentale dei ricorsi alla custodia cautelare di alcuni degli imputati, di un gip, di un tribunale del Riesame. Quanto alla "sconfitta", mi lasci dire che, premesso il profondo rispetto che ho per l'informazione, ho letto stamani semplificazioni che ci attribuiscono cose che non abbiamo mai detto e conseguenze dei nostri atti che esulano dalla nostra disponibilità". 

Quali?
"Ho sempre detto in tutte le sedi ufficiali, da ultimo, nel luglio 2015 nella mia audizione in Commissione antimafia, che "Mafia Capitale" era una "piccola mafia". Che non dominava Roma. Che Roma non è né Palermo, né Reggio Calabria. Inoltre, ed è un atto ufficiale anche questo, ho messo per iscritto nel parere che mi venne chiesto quando si pose il problema dello scioglimento o meno del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose che non c'erano le condizioni. Quindi, dire che con le nostre inchieste abbiamo cambiato il corso politico degli eventi a Roma, che abbiamo esposto la città al ludibrio del mondo, significa attribuirci un uso politico della giustizia penale che non abbiamo in alcun modo esercitato. Insomma, non penso debba rispondere il mio ufficio di chi ha usato politicamente i fatti che la nostra inchiesta ha fatto emergere". 

È successo però.
"È successo. Ma non siamo noi i responsabili dell'effetto mediatico di un'inchiesta. E, come magistrato, non lavoro per il plauso o il consenso dell'opinione pubblica. Mi permetto, piuttosto, di proporre al dibattito qualche elemento diverso. Oggettivo e meno ozioso". 

Cioè?
"A Roma le mafie esistono. E lavorano incessantemente nel traffico di stupefacenti, nel riciclaggio di capitali illeciti, nell'usura. Solo lo scorso giugno abbiamo sequestrato beni di provenienza mafiosa per 520 milioni di euro. Sono mafie che incidono pesantemente nella qualità della vita dei cittadini, nella libertà delle loro scelte. Non solo. Roma ha un'emergenza altrettanto grave, se non più grave della mafia. E sono la corruzione e i reati economici. Noi trattiamo bancarotte per centinaia di milioni di euro. Frodi all'erario ed evasioni fiscali per miliardi. E su questo vorrei fosse chiaro a tutti che il mio ufficio non accetta, né intende rassegnarsi all'idea che tutto questo sia normale. Faccia parte del paesaggio. Addirittura ne sia componente necessaria". 

A proposito di "paesaggio", quanto crede abbia pesato o pesi la resistenza culturale di questa città ad accettare l'idea, per dirla con le sue parole, di una mafia "autoctona", "originale" e originaria"? Insomma, il "Mondo di Mezzo" è Roma. E se lei dice che il "Mondo di Mezzo" è mafia, sta dicendo che Roma è mafia.
"Un'affermazione del genere sarebbe assurda. Però il problema mafia esiste ed esiste da tempo. Basterebbe ricordare che sulla mafiosità della Banda della Magliana esistono due sentenze della Cassazione che giungono a conclusioni opposte. E comunque, in questi anni dei passi avanti nella consapevolezza che la mafia non sia un fenomeno soltanto meridionale ci sono stati in tutta Italia. Anche a Roma, come ho detto prima". 

Luca Odevaine è stato l'unico degli imputati di Mafia Capitale ad aver collaborato con la Procura. Avevate per questo chiesto una condanna mite, di poco superiore ai due anni. Il tribunale ha fissato una pena superiore ai 6. Che messaggio arriva a una città dove, storicamente, nessuno si pente?
"È un altro dei punti su cui il Tribunale ha espresso una visione diversa. Anche qui, dunque, leggeremo le motivazioni. Posso solo dire che sono convinto che nella lotta alla corruzione si debba utilizzare ogni strumento consentito dalla legge. Riconoscere un trattamento sanzionatorio diverso a chi ha ammesso le proprie responsabilità, sia pure parzialmente, e aiutato l'indagine a fare dei passi avanti è uno di questi strumenti".



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