Il
Procuratore di Roma Giuseppe Pignatone si è preso una notte. "Perché le
cose si vedono meglio con la testa fredda".
E il giorno
dopo la fu "Mafia Capitale" cosa vede, dunque?
"Che la
sentenza del Tribunale ha riconosciuto che a Roma ha operato una associazione
criminale che si è resa responsabile di una pluralità di fatti di violenza,
corruzione, intimidazione. Che l'indagine di questo ufficio ha svelato un
sistema criminale capace di infiltrare il tessuto amministrativo e politico
della città fino al punto di avere a libro paga amministratori della cosa
pubblica. Questo vedo. E questo dice tre cose. La prima: che abbiamo lavorato
bene e che hanno lavorato bene i carabinieri del Ros, che per questo ringrazio.
La seconda: che la sentenza apre uno spazio per una riflessione non solo
giudiziaria su questa città, che però non spetta a me. La terza: non si è
trattato di una fiction".
Procuratore,
questo è il bicchiere mezzo pieno. Converrà che la notizia è quello mezzo
vuoto. Il suo ufficio perde il processo sulla questione dirimente. La mafiosità
di quel sistema criminale.
"Non
c'è dubbio. È il dato negativo di questa sentenza".
Quindi ha
ragione chi dice che questo processo ha un solo sconfitto e che quello
sconfitto è lei?
"Io non
ho una concezione agonistica della giustizia. Né, aggiungo, una cultura
dell'insulto. Osservo che ogni giorno, in questo palazzo, ci sono giudici che
trattano, con grandissimo impegno procedimenti che hanno ad oggetto fatti di
416 bis o in cui si contesta l'aggravante mafiosa. Accade di vedere accolte le
proprie tesi e di vederle respinte. Insomma, per quanto importante, questa
sentenza di primo grado non riassume una stagione giudiziaria e quello che ha
fotografato in questa città in materia di criminalità organizzata".
Non può
negare che su "Mafia Capitale" lei e il suo ufficio avete giocato una
scommessa ambiziosa. Il che rende questo processo diverso, non fosse altro per
le risorse che ha assorbito.
"Mondo
di Mezzo, come l'abbiamo chiamata noi, non è stata una scommessa. Perché sono
un magistrato e non scommetto sulla libertà delle persone. Detto questo, è
vero. Con questa indagine intendevamo proporre un ragionamento avanzato sul
rapporto tra mafia e corruzione. Per altro, muovendoci nel solco della più
recente giurisprudenza di Cassazione sull'articolo 416 bis. Ora, il tribunale
ha espresso un parere diverso e dunque aspettiamo le motivazioni per
comprendere quale è stato il percorso logico della decisione. Se si tratta di
questioni che riguardano l'interpretazione del reato di associazione a
delinquere di stampo mafioso, o, al contrario, di una diversa lettura e
qualificazione del fatto storico che il dibattimento ha provato. Dopodiché, se
il tribunale ci convincerà, non faremo appello, altrimenti
impugneremo".
E va bene.
Ma, con il senno di poi, tornerebbe a qualificare l'associazione criminale di
Buzzi e Carminati come mafia?
"Non ho
cambiato idea stanotte. E sa perché? Perché la nostra imputazione di mafia, sin
qui, ha trovato il conforto di due pronunce della Cassazione nella fase
incidentale dei ricorsi alla custodia cautelare di alcuni degli imputati, di un
gip, di un tribunale del Riesame. Quanto alla "sconfitta", mi lasci
dire che, premesso il profondo rispetto che ho per l'informazione, ho letto
stamani semplificazioni che ci attribuiscono cose che non abbiamo mai detto e
conseguenze dei nostri atti che esulano dalla nostra disponibilità".
Quali?
"Ho
sempre detto in tutte le sedi ufficiali, da ultimo, nel luglio 2015 nella mia
audizione in Commissione antimafia, che "Mafia Capitale" era una
"piccola mafia". Che non dominava Roma. Che Roma non è né Palermo, né
Reggio Calabria. Inoltre, ed è un atto ufficiale anche questo, ho messo per
iscritto nel parere che mi venne chiesto quando si pose il problema dello
scioglimento o meno del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose che non
c'erano le condizioni. Quindi, dire che con le nostre inchieste abbiamo
cambiato il corso politico degli eventi a Roma, che abbiamo esposto la città al
ludibrio del mondo, significa attribuirci un uso politico della giustizia
penale che non abbiamo in alcun modo esercitato. Insomma, non penso debba
rispondere il mio ufficio di chi ha usato politicamente i fatti che la nostra
inchiesta ha fatto emergere".
È successo
però.
"È
successo. Ma non siamo noi i responsabili dell'effetto mediatico di
un'inchiesta. E, come magistrato, non lavoro per il plauso o il consenso
dell'opinione pubblica. Mi permetto, piuttosto, di proporre al dibattito
qualche elemento diverso. Oggettivo e meno ozioso".
Cioè?
"A Roma
le mafie esistono. E lavorano incessantemente nel traffico di stupefacenti, nel
riciclaggio di capitali illeciti, nell'usura. Solo lo scorso giugno abbiamo
sequestrato beni di provenienza mafiosa per 520 milioni di euro. Sono mafie che
incidono pesantemente nella qualità della vita dei cittadini, nella libertà
delle loro scelte. Non solo. Roma ha un'emergenza altrettanto grave, se non più
grave della mafia. E sono la corruzione e i reati economici. Noi trattiamo
bancarotte per centinaia di milioni di euro. Frodi all'erario ed evasioni
fiscali per miliardi. E su questo vorrei fosse chiaro a tutti che il mio
ufficio non accetta, né intende rassegnarsi all'idea che tutto questo sia
normale. Faccia parte del paesaggio. Addirittura ne sia componente
necessaria".
A proposito
di "paesaggio", quanto crede abbia pesato o pesi la resistenza
culturale di questa città ad accettare l'idea, per dirla con le sue parole, di
una mafia "autoctona", "originale" e originaria"?
Insomma, il "Mondo di Mezzo" è Roma. E se lei dice che il "Mondo
di Mezzo" è mafia, sta dicendo che Roma è mafia.
"Un'affermazione
del genere sarebbe assurda. Però il problema mafia esiste ed esiste da tempo.
Basterebbe ricordare che sulla mafiosità della Banda della Magliana esistono
due sentenze della Cassazione che giungono a conclusioni opposte. E comunque,
in questi anni dei passi avanti nella consapevolezza che la mafia non sia un
fenomeno soltanto meridionale ci sono stati in tutta Italia. Anche a Roma, come
ho detto prima".
Luca
Odevaine è stato l'unico degli imputati di Mafia Capitale ad aver collaborato
con la Procura. Avevate per questo chiesto una condanna mite, di poco superiore
ai due anni. Il tribunale ha fissato una pena superiore ai 6. Che messaggio
arriva a una città dove, storicamente, nessuno si pente?
"È un
altro dei punti su cui il Tribunale ha espresso una visione diversa. Anche qui,
dunque, leggeremo le motivazioni. Posso solo dire che sono convinto che nella
lotta alla corruzione si debba utilizzare ogni strumento consentito dalla
legge. Riconoscere un trattamento sanzionatorio diverso a chi ha ammesso le
proprie responsabilità, sia pure parzialmente, e aiutato l'indagine a fare dei
passi avanti è uno di questi strumenti".
Carlo Bonini (La Repubblica – 22 luglio 2017)
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