“Mentre
il governo e le leggi provvedono alla sicurezza e al benessere degli
uomini consociati, le scienze, le lettere e le arti, meno dispotiche e
forse più potenti, stendono ghirlande di fiori sulle catene di ferro
ond’essi son carichi, soffocano il loro sentimento di quella libertà
originaria per la quale sembravan nati, fan loro amare la loro schiavitù
e ne formano i così detti ‘popoli civili’”.
“Se le nostre scienze son vane nell’oggetto che si propongono, sono ancor più pericolose per gli effetti che producono”.
“Quanti pericoli, quante false vie nella ricerca scientifica!”.
“Era antica tradizione, passata d’Egitto in Grecia, che un Dio nemico della quiete degli uomini fosse l’inventore delle scienze”.
“Popoli, sappiate dunque una buona volta che la natura ha voluto preservarvi dalla scienza, come una madre strappa un’arma pericolosa dalle mani del figlio”.
“Le apparenze di tutte le virtù, pur senza il possesso di alcuna…La preferenza degli ingegni piacevoli sugli utili…Hanno messo una gioventù frivola in grado di dare il tono alla vita”.
“Che penseremo mai di quei compilatori di opere, che hanno indiscretamente infranta la porta delle scienze e introdotto nel loro santuario una plebaglia indegna d’accostarvisi…Socrate non aiuterebbe mai ad accrescere questa folla di libri che ci inonda d’ogni parte…I disordini orribili che la stampa ha già prodotto in Europa”.
“Da che i sapienti han cominciato ad apparir fra noi, dicevan i loro propri filosofi, le persone dabbene sono scomparse…Senza saper discernere l’errore dalla verità, possederanno l’arte di renderli irriconoscibili agli altri con argomenti speciosi…A sentirli non li si piglierebbe per un branco di ciarlatani, gridanti ognuno dal canto suo sopra una piazza pubblica: ‘Venite da me, io solo non inganno nessuno’?...Il falso è suscettibile d’una infinità di combinazioni; ma la verità non ha che un sol modo di essere”.
“Oggi, che le ricerche più sottili e un gusto più fine hanno ridotto a princìpi l’arte di piacere, regna nei nostri costumi una vile e ingannevole uniformità, e tutti gli spiriti sembrano esser stati fusi in uno stesso stampo: senza posa la civiltà esige, la convenienza ordina; senza posa si seguono gli usi e mai il proprio genio. Non si osa più apparire ciò che si è…Che se per caso, fra gli uomini straordinari per il loro ingegno, se ne trovi qualcuno che abbia fermezza nell’anima e che rifiuti di prestarsi al genio del suo secolo e di avvilirsi con produzioni puerili, guai a lui! Morrà nell’indigenza e nell’oblio”.
“Gli antichi politici parlavano senza posa di costumi e di virtù: i nostri non parlano che di commercio e di danaro…un uomo non vale per lo Stato che il consumo che vi fa…i Principi sanno benissimo che tutti i bisogni che il popolo si dà, sono altrettante catene di cui si carica… qual giogo potrebbe imporsi ad uomini che non han bisogno di nulla?...L’anima si proporziona insensibilmente agli oggetti che l’occupano”.
“O Dio onnipotente tu che tieni nelle tue mani gli spiriti, liberaci dai lumi e dalle funeste arti e rendici l’ignoranza, l’innocenza e la povertà, i soli beni che possan fare la nostra felicità e che sian preziosi al tuo cospetto”.
Queste espressioni sono tratte dal Discorso sulle scienze e sulle arti di Rousseau del 1750. Rousseau è un illuminista –perché Il contratto sociale
è uno dei fondamenti della Democrazia, peraltro intesa come democrazia
diretta, in spazi limitati- ma è un illuminista molto, molto
particolare.
In questo straordinario Discorso sulle scienze e sulle arti,
non a caso pochissimo richiamato ai giorni nostri, Rousseau anticipa
alcune delle conseguenze più devastanti della Democrazia. Si oppone alle
Scienze, idola che oggi dominano incontrastate, in quanto asserviscono a
sé gli uomini e invece di renderli liberi li fa schiavi (“soffocano il
loro sentimento di quella libertà originaria per la quale sembravan
nati, fan loro amare la loro schiavitù”). Anticipa la società dello
spettacolo con le sue futilità, il prevalere dell’apparire sull’essere
(“Le apparenze di tutte le virtù, pur senza il possesso di alcuna”).
Sottolinea come l’eccesso di comunicazione e di divulgazione abbia dato
spazio a ogni tipo di ciarlatani. E come la parola possa essere fonte di
ogni falsità (del resto lo stesso Cristo ha affermato: “Il tuo dire sia
sì, sì, no, no. Tutto il resto è farina del diavolo”). Quando Rousseau
afferma “a sentirli non li si piglierebbe per un branco di ciarlatani,
gridanti ognuno dal canto suo sopra una piazza pubblica: ‘Venite da me,
io solo non inganno nessuno’” non sembra di sentir parlar Renzi o
Berlusconi o qualsiasi altro leader politico, italiano e anche non
italiano? E, in aggiunta, c’è anche un accenno alle ‘fake news’(“Il
falso è suscettibile d’una infinità di combinazioni; ma la verità non ha
che un sol modo di essere”). Si scaglia contro l’omologazione –tema di
scottante attualità, portato al suo apice dalla globalizzazione- che
cancella il merito e annulla l’ingegno.
Nell’ultima parte del Discorso c’è
la considerazione che, forse, riguarda più da vicino la Modernità. Dopo
l’affermarsi della Rivoluzione industriale sono stati introdotti
bisogni di cui l’uomo non aveva mai sentito il bisogno. Si è affermata
la pazzesca legge di Say, “l’offerta crea la domanda”, su cui si regge
tutta la società di oggi. La stragrande maggioranza degli oggetti che
oggi ci circondano e che, come osserva Rousseau contribuiscono a formare
la nostra mentalità, sono del tutto superflui ma essenziali al
meccanismo che ci domina e che ormai è uscito fuori dal nostro
controllo: noi non produciamo più per consumare ma produciamo perché il
meccanismo possa costantemente autoriprodursi e autorafforzarsi.
Questa è la straordinaria modernità di Rousseau, l’antimoderno.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 25 luglio 2017)
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