Mentre festeggiano il decimo anniversario del
battesimo al V-Day, i 5Stelle sembrano nati
ieri. Dovrebbero essere in quarta elementare, sono ancora all’asilo nido. Molti
si son fatti le ossa in Comuni, Regioni e Parlamento. Ma il Movimento continua
a gattonare e inciampare come un infante un
po’ ritardato. Con regole o non-regole che andavano bene agli albori, per una
piccola forza locale di opposizione, protesta e disturbo, ma non hanno più
senso per quello che è – nonostante tutto – il primo partito nazionale.
La figuraccia delle primarie con Di Maio candidato unico e l’ennesimo intoppo leguleio in Sicilia non sono indice di
scarsa democrazia. Ma qualcosa di peggio: la prova dell’eterna
immaturità, impreparazione, improvvisazione, inadeguatezza di un movimento che cresce
fuori, ma non dentro.
La scelta del candidato premier era
l’appuntamento più atteso dopo la lunga corsa avviata 10 anni fa in piazza
Maggiore a Bologna dalla lucida follia di Grillo e Casaleggio.
Alle prossime elezioni il M5S si gioca tutto: se resta il
proporzionale, è possibile che Mattarella chiami un grillino
per il nuovo governo (anche se difficilmente il malcapitato troverà una
maggioranza). Da mesi i militanti attendevano questo traguardo: eppure i
vertici sono giunti impreparati, con regole abborracciate last
minute e senza una rosa di candidati che rendesse la gara non dico
imprevedibile, ma almeno credibile. Invece quello che doveva
essere un momento di festa e orgoglio grillino diventa una pochade che fa
ridere tutti. Intendiamoci. Anche le primarie per la
leadership o la premiership Pd sono sempre state prevedibili e
scontate, con un sicuro vincitore e alcuni sicuri sconfitti
messi lì per perdere, mentre quelle più aperte per i sindaci e i governatori
bisognava truccarle per farle vincere a chi di dovere. Ma nel Pd si confrontano
capi di correnti diverse o portatori di
programmi differenti. Invece i 5Stelle mettono al primo posto il programma –
unico e immutabile perché “votato dalla Rete” – e all’ultimo il
portavoce-esecutore che dovrà realizzarlo senza fiatare. Bastava essere
conseguenti e stabilire che il candidato premier lo decide il capo politico,
cioè Grillo. O prevedere le primarie solo se si candida più di un parlamentare.
O evitare le autocandidature e votare in due turni: il primo
su una lista con i 130 parlamentari, poi il ballottaggio (dopo
le eventuali rinunce) fra i primi classificati. Come nelle Quirinarie
del 2013, quando la democrazia diretta pentastellata sfornò nomi di
prim’ordine: Gabanelli, Strada, Rodotà e Zagrebelsky.
Qualunque altro sistema era meglio di quello
adottato. Avrebbe ugualmente vinto Di Maio: perché è il più visibile e
istituzionale, è vicepresidente della Camera, da tempo studia da
candidato premier e l’unico suo rivale in popolarità, Di Battista,
è dalla sua parte. Ma si sarebbe evitata un’inutile e imbarazzante
figuraccia. Che peraltro è destinata a evaporare in pochi giorni,
anche perché non ha alcuna conseguenza pratica: il “candidato premier”, con
questa legge elettorale, non esiste se non all’interno dei partiti. Ma nei
5Stelle è più importante perché deve scegliere e annunciare prima del voto la
squadra degli eventuali ministri. E lì, molto più che nelle primarie, si parrà
la loro nobilitate o ignobilitate. Il risultato elettorale dipende da quella
squadra. Oltreché dalle Regionali in Sicilia. E anche qui la
cronica immaturità grillina ha dato il peggio di sé, sempre per le regole
inadeguate. Il Tribunale ha annullato le Regionarie vinte da Cancelleri
accogliendo il ricorso di tal Giulivi, escluso perché
sottoposto a un procedimento disciplinare (non avrebbe sottoscritto il codice
etico) notificato con una email dell’Associazione Rousseau.
Posto che ogni forza politica può decidere i criteri che vuole per ammettere o
escludere qualcuno dalle sue primarie, dovrebbe usare strumenti un po’ più seri
e rispettosi del diritto alla difesa di una email.
Ormai in Sicilia la frittata è fatta
(anche qui più per il danno d’immagine che per le effettive conseguenze del
giudizio). Ma, se non si cambiano le regole, casi come questo (e quello di
Genova) si moltiplicheranno nella selezione dei candidati alle Politiche.
Stavolta il M5S dovrebbe portare almeno 250 parlamentari, di cui 150 nuovi di
zecca. Davvero si pensa di sceglierli con le solite primarie online, città per
città, con i videoprovini e il voto di poche decine di iscritti per ciascuno? O
non è meglio un sistema misto che salvi il voto degli iscritti
(magari facendoli votare su scala regionale, per evitare scalate di ambienti
lobbistici, partitici e malavitosi con poche centinaia di voti), ma lo
sottoponga poi al filtro di delegati provinciali che tengano fuori matti,
improvvisatori e soprattutto infiltrati? Nel 2013 i 5Stelle erano outsider
alla prima esperienza e senz’alcuna speranza di prendere il potere, dunque
attiravano al massimo qualche spostato, ma non i mascalzoni. Ora i posti in
palio sono quasi il doppio. La prospettiva del governo è meno improbabile. I
partiti sono già a caccia di voti per il governissimo dell’inciucio.
E il sistema di selezione grillino è troppo noto e permeabile perché qualcuno
non ne abbia studiati i punti deboli per infilarci i suoi portatori d’acqua,
pronti a cambiare cavallo alla prima chiamata. Basta iscrivere a Rousseau
qualche decina di infiltrati da ogni città – un po’ alla volta, senza dare
nell’occhio – per avere i clic necessari a far eleggere chi si vuole. E questo,
per i 5Stelle, sarebbe molto peggio di una figuraccia: sarebbe il
fallimento definitivo. Il tempo per cambiare c’è, ma è poco.
L’alternativa, come cantava Jacques Brel, è continuare a invecchiare
senza diventare adulti.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano - 20 settembre 2017)
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