giovedì 14 settembre 2017

Impariamo dall'America l'unità nei disastri


Trovo squallide, vergognose, ripugnanti, le polemiche politiche che si scatenano ogni volta che il nostro territorio viene colpito da eventi naturali. Partiamo da Roma. Roma, come quasi tutta l’Italia, ha vissuto un lungo periodo di siccità tanto da mettere in pericolo, anche se solo parzialmente, l’approvvigionamento idrico della Capitale. Di chi la colpa? Naturalmente del sindaco Virginia Raggi per cui si è dovuto cambiare il vecchio brocardo popolare “piove, governo ladro” in “non piove, governo ladro”. Nei giorni scorsi a Roma è piovuto. In realtà non è successo assolutamente niente se non i soliti ingorghi che ci sono in presenza di un temporale e qualche strada che si è screpolata. Tant’è che la partita Lazio-Milan si è giocata regolarmente e l’ulteriore ritardo su quello già stabilito di un’ora è stato dovuto al fatto che la pioggia rendeva difficoltosi i collegamenti fra l’arbitro e il famigerato VAR. Di chi è la colpa? Di Virginia Raggi naturalmente.
I fatti gravi sono successi a Livorno dove ci sono state sette vittime. Che ci poteva fare il sindaco Nogarin, la cui appartenenza ai Cinque Stelle è stata sottolineata con forza e anche un pizzico di libidine, se il Servizio Metereologico aveva sbagliato le previsioni e il fortunale invece di colpire Genova (dove si erano attrezzati rinviando fra l’altro la partita Sampdoria-Roma) si è invece diretto sulla costa toscana? Il Servizio Meteorologico non è infallibile come si è visto negli Stati Uniti dove l’uragano Irma doveva colpire Miami Beach invece si è abbattuto soprattutto sulle isole caraibiche (perché, è proprio il caso di dirlo, piove sempre sul bagnato) facendo 27 vittime. Il fatto è che nonostante gli straordinari mezzi tecnologici che abbiamo oggi, come i satelliti, la Natura sfugge alla nostra ossessione del controllo.
Nel dopoguerra in Italia, a parte quella eccezionale del Polesine nel novembre 1951che causò circa 100 vittime e più di180.000 senzatetto, le alluvioni a ottobre e novembre, che è la nostra stagione delle piogge, ci sono sempre state senza provocare gravi danni. Da qualche decennio invece assistiamo regolarmente a uno stillicidio continuo di fenomeni naturali con conseguenze devastanti. Basta che non un torrente e nemmeno un rivo ma un rigagnolo, come scrive Ferruccio Sansa, sia bloccato da un albero o faccia esplodere il cemento che lo ricopre, e abbiamo la tragedia. Cos’è successo nel frattempo? Si coniugano qui due fenomeni. L’indubbio cambiamento del clima che coinvolge l’intero pianeta dovuto alle emissioni di Co2, ma sarebbe meglio dire dovuto all’ossessione della produzione ai fini della crescita economica, illimitata e infinita. E, parlando solo dell’Italia, all’altrettanto inarrestabile cementificazione, sempre allo stesso scopo. Insomma: il mito della crescita.
Non ci voleva molto a capire che l’attuale modello di sviluppo non solo ci avrebbe portato dove ci ha portato ma finirà in un disastro planetario di cui quello ambientale è solo una parte e non la più importante. E chi lo diceva e magari lo scriveva, quando forse si era ancora in tempo per innestare la retromarcia, era bollato come un folle, un antilluminista, un bieco antimodernista.
Adesso col progredire dell’autunno ci aspettano altre vicende come quella di Livorno. E rimontare la china non è questione di questo o di quel sindaco o del Presidente di una regione e nemmeno del Governo, della Protezione Civile, del Servizio Meteorologico. Qualora s’intendesse realmente farlo, ma ciò comporterebbe un cambio radicale di un modello di sviluppo che non è più occidentale ma è riuscito a coinvolgere Paesi con culture fortissime, e in tutt’altro senso orientate, come la Cina e l’India, non basterà un anno o dieci anni e forse nemmeno un mezzo secolo.
Ritornando alle polemiche politiche cui, ce ne rendiamo conto, partecipiamo anche noi proprio nel momento in cui le contestiamo, dovremmo imparare, una volta tanto, dagli Stati Uniti dove queste polemiche non ci sono state e la Nazione è restata unita e compatta.



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