Lungi da noi il proposito di infierire su Maria Elena Boschi,
che ha già il grave handicap di essere Maria Elena Boschi. Però forse, e
sottolineo forse, persino in Italia c’è ancora un limite alle bugie.
Parliamo della famigerata mozione del Pd che chiedeva l’eventuale testa del governatore di Bankitalia. Famigerata non per le critiche a Ignazio Visco,
meritatissime, ma per il pulpito da cui piovono: il Giglio Magico
renziano, che sulle banche ne ha combinate più di Bertoldo in Francia.
Siccome la mozione ha fatto infuriare tutti, non trova uno straccio di
prestanome che ne rivendichi la paternità. A parte il capogruppo alla
Camera, rag. Ettore Rosato, che però l’ha solo fatta propria per ragioni di ufficio; e la deputata ignota ai più Silvia Fregolent,
che ci ha messo la prima firma, ma tutti sanno che non s’è mai occupata
di Bankitalia in vita sua né mai prenderebbe una simile iniziativa
senza che qualcuno gliela commissioni.
Ieri il nostro Marco Palombi ha scritto che l’autrice del capolavoro è la stessa Boschi,
unendo i puntini: la Fregolent è una fedelissima della Boschi; la
Boschi era l’unico membro del governo a conoscere la mozione fin da
subito, quando tutti gli altri big (a parte Renzi, si capisce) la
ignoravano; la mozione non è mai passata per l’ufficio legislativo Pd
alla Camera; era ignota al coordinatore delle mozioni Pd, l’orlandiano
Martella; mai è stata discussa dagli organi ufficiali del partito; e
soprattutto è stata trasmessa last minute al sottosegretario Baretta,
che seguiva la cosa a Montecitorio per conto del governo, da una e-mail
proveniente da Palazzo Chigi. Ieri abbiamo atteso per tutto il giorno
una smentita della sottosegretaria, invano. Del resto, appena la Boschi
smentisce qualcosa, si capisce subito che quel qualcosa è vero: tipo
quando smentì Ferruccio de Bortoli sulla sua telefonata all’ad di Unicredit per il salvataggio di Banca Etruria, annunciando una querela poi mai vista. Infatti poi evitò di smentire il nostro Giorgio Meletti
quando rivelò che nel 2014 aveva incontrato nella villa di Laterina
(Arezzo) -assieme a suo padre Pierluigi, allora nel Cda di Etruria, e al
presidente della banca aretina Giuseppe Fornasari – il presidente e
l’ad di Veneto Banca, Flavio Trinca e Vincenzo Consoli: forse perché
anche quel fatto era vero. E non volle commentare la telefonata
intercettata il 3.2.2015 del suo babbo che diceva a Consoli: “Io ne
parlo con mia figlia, col presidente (Renzi, ndr) domani e ci si sente
in serata”.
Forse perché non c’era niente da smentire, salvo il suo giuramento
alla Camera dei Deputati, il 18.12.2015, di non essere in conflitto di
interessi per non essersi mai occupata di Etruria. Il 20 giugno il Fatto le inviò quattro domande
su quei fatti e quel giuramento, ma in quattro mesi la sottosegretaria
non ha trovato neppure il tempo per dirci che non avrebbe risposto. Ma
mentire al Parlamento è ancor più grave che nascondersi alla stampa e
all’opinione pubblica. E dal 18.12.2015 sono trascorsi 20 mesi ed emersi
molti fatti nuovi. Dunque è il caso che le opposizioni riconvochino la
statista di Laterina in Parlamento. E le domandino se ripeterebbe di non
essere in conflitto di interessi per non essersi mai occupata di
Etruria.
Ora M5S e Mdp annunciano un’interrogazione al governo,
a cui speriamo che risponda la diretta interessata. Spiegando, oltre a
tutte le entrate a gamba tesa nell’affare Etruria, cosa le sia saltato
in mente di dar l’assalto al governatore di Bankitalia che ha multato
per ben due volte il suo babbo per la malagestione di Etruria; o, in
subordine, smentire di averlo fatto e rivelarci – prove alla mano – chi è
il vero autore della mozione della discordia. Se non andiamo errati,
uno dei refrain delle “Leopolde” renziane ai tempi della scalata al Pd
era il “principio di responsabilità”: bisogna sempre
sapere chi fa cosa, perché i cittadini possono giudicarlo e poi
premiarlo o punirlo nelle urne. Poi l’allegra brigata andò al governo e
se ne scordò, tant’è che mai, neppure ai tempi di B., si videro tante
leggi di incerta paternità, in cerca d’autore, figlie di NN.
Siccome le leggi, come le mozioni, non si scrivono da sole, attendiamo ancora di sapere chi, a Natale del 2014,
infilò nella riforma fiscale il condono “salva-B.” per le frodi. Chi
inserì nella Manovra 2015 l’emendamento pro petrolieri tanto caro al
fidanzato lobbista della ministra Guidi. Chi, nella primavera scorsa,
ebbe l’ideona di dare ai derubati la licenza di uccidere i ladri in
casa, ma solo nelle ore notturne. Chi, un mese fa, ha introdotto nel
decreto del ministro Orlando la demenziale pretesa che la polizia
giudiziaria e i pm non riportino più negli atti d’indagine le
trascrizioni delle intercettazioni, ma solo i riassunti. E chi ha
scritto la mozione anti-Visco. Dinanzi al fondato sospetto che la
sottosegretaria abbia mentito al Parlamento per nascondere il suo
conflitto d’interessi e conservare la cadrega, vale un principio etico
che non sapremmo riassumere meglio di così: “Questa vicenda mi lascia un senso di tristezza addosso…
è in gioco la fiducia verso le istituzioni. Io al suo posto mi sarei
dimessa, c’è un punto grave in questa vicenda: che ancora una volta si è
data l’immagine di un Paese in cui sono delle corsie preferenziali per
gli amici degli amici. Abbiamo perso un’altra occasione di fronte ai
cittadini… Non è un problema giudiziario, ma politico”. Così parlò Maria
Elena Boschi, a Ballarò e al Corriere, il 16 e il 24.112013.
Formalmente ce l’aveva col conflitto d’interessi della ministra Cancellieri con la famiglia Ligresti. Ma, sotto sotto, stava già confessando il suo con la famiglia Boschi.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano - 22 ottobre 2017)
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