Nella foto che accompagna questo articolo espongo un raro caso d'incontro tra la “street-art”, per lo più praticata da giovani writers, e la “land-art” di norma realizzata da artisti affermati.
Nello specifico Julieta, giovane spagnola riconoscibile per la costante originalità nelle sue opere, ha associato la sua “creazione” al Cretto di Burri, generando un collegamento concettuale fra le due forme d'arte che, in questo caso, dice molto più di tante parole.
Vedendo la mostra di Nino Giaramidaro e collegando la prima foto esposta con l'ultima ho personalmente colto una stessa sensazione; un collegamento diretto e una sintesi estrema rappresentata nella "genesi" del monumento finale testimone della catastrofe (Cretto, da tanti interpretato come un "sudario" calato da Burri sulla “Gibellina morta”).
Peraltro la foto d'insieme degli sfollati
all'addiaccio sintetizza in modo emblematico il dramma e lo smarrimento della
gente, il Cretto (che nella foto in bianco e nero di Nino ha un aspetto marmoreo, di tante tombe indistinte e continue, apparentemente uguali) con i ruderi che persistono sullo sfondo, testimonia
la desolazione che è rimasta e che nemmeno le ambiziose/onerose opere di lenta ricostruzione sono riuscite a scalfire.
La narrazione dell'evento, nonostante siano trascorsi ben cinquanta anni, attraverso le foto di Nino documenta una Sicilia che fu e suscita sensazioni che rendono, in molti di noi che hanno pochi capelli bianchi, le immagini rappresentate attuali e coinvolgenti.
Una mostra che merita a pieno titolo di essere visitata ed ammirata con molta attenzione, anche perchè, con un'apparente semplicità, descrive luoghi, persone e tante sfaccettature di una catastrofe che ha accomunato uomini e livellato (almeno temporaneamente) i ruoli.
Drammi che periodicamente purtroppo vediamo ripetersi per i labili equilibri del nostro pianeta Terra e che rivela la fragilità del nostro essere uomini (leggi: http://laquartadimensionescritti.blogspot.it/2014/02/laquila-giugno-2013.html).
Per chi non avrà modo di visitare la mostra in essere a Palermo, presso la Libreria del Mare di Maurizio Albanese, dal 19 al 25 gennaio, segnalo la pubblicazione della stessa postata su You Tube raggiungibile attraverso il seguente link https://youtu.be/BF_qFEbmMmE
Nei prossimi giorni seguirà un video della inaugurazione della mostra di Giaramidaro presentata dall'amico Aurelio Pes (già Direttore regionale dei Beni culturali della Regione Siciliana).
La narrazione dell'evento, nonostante siano trascorsi ben cinquanta anni, attraverso le foto di Nino documenta una Sicilia che fu e suscita sensazioni che rendono, in molti di noi che hanno pochi capelli bianchi, le immagini rappresentate attuali e coinvolgenti.
Una mostra che merita a pieno titolo di essere visitata ed ammirata con molta attenzione, anche perchè, con un'apparente semplicità, descrive luoghi, persone e tante sfaccettature di una catastrofe che ha accomunato uomini e livellato (almeno temporaneamente) i ruoli.
Drammi che periodicamente purtroppo vediamo ripetersi per i labili equilibri del nostro pianeta Terra e che rivela la fragilità del nostro essere uomini (leggi: http://laquartadimensionescritti.blogspot.it/2014/02/laquila-giugno-2013.html).
Per chi non avrà modo di visitare la mostra in essere a Palermo, presso la Libreria del Mare di Maurizio Albanese, dal 19 al 25 gennaio, segnalo la pubblicazione della stessa postata su You Tube raggiungibile attraverso il seguente link https://youtu.be/BF_qFEbmMmE
Nei prossimi giorni seguirà un video della inaugurazione della mostra di Giaramidaro presentata dall'amico Aurelio Pes (già Direttore regionale dei Beni culturali della Regione Siciliana).
© Essec
Ricevo da Pippo Pappalardo e pubblico con piacere:
RispondiElimina" Cinquant’anni sono tanti.
Cinquant’anni sono tanti. Ne avevo solo sedici quando mi bloccarono, dalle parti di Caltanissetta, con il gruppo di volenterosi amici che, in una Fiat Giardinetta 5oo colma di coperte, provava a dare, senza guida e senza assistenza, un possibile conforto a chi tutto aveva perduto.
Finì li la mia presenza solidale; cominciò li la mia curiosità fotografica; e oggi guardando quelle fotografie penso solo alla giovinezza, al nostro 68, alla morte del nostro paesaggio, alle utopie della sua ricostruzione e ai tanti propositi fotografici ai quali fu affidato ed ho affidato quella Conversazione in Sicilia.
E’ venuto il Presidente, sono riemerse le storiche eccellentissime fotografie di tanti grandi, e Pepi Giaramidaro, da fotografo e giornalista onesto (un Walker Evans ritornato tra noi) , pazientemente ha rimemorato il freddo di quei giorni non chiedendone nulla alle immagini ma pretendendo molto dai loro lettori. Perchè?
Perchè “le fotografie mostrano e non dimostrano”; e confrontando quel paesaggio con quello presente (“e vivo e il suon di lui”, direbbe Leopardi) ebbene, dico che la situazione è irredimibilmente uguale, al di là delle speranze, dei sogni e delle utopie.
C’era un paesaggio da redimere, anche fotograficamente, e ci siamo bloccati nel tempo e nello spazio: non siamo stai capaci di parlare in termini propositivi, apocalittici, rivoluzionari. Sdegnati, ci siamo e ci stiamo rifugiando nel political correct.
I fotografi che successivamente ci hanno spiegato questo equivoco ce li siamo fatti passare addosso come acqua fresca: ora il discorso diventa più difficile, più tormentato; tutto si avvita sulla miseria, sulle disgrazie e sulla buona, quanto rassegnata, volontà degli abitanti di questa terra.
Questa Terra, e con essa il paesaggio, vera scena teatrale della nostra umanità, va redenta e non solo benedetta dal senso della memoria: nel vuoto di questa redenzione si annida solo il senso tragico della maledizione-
Questo linguaggio potrà apparirti duro ( e te ne chiedo perdono) ma se provi a leggere l’amico Giovanni Chiaramonte “Interno perduto”, o “Sequenza sismica”, Skira, a cura di Filippo Maggia, converrai che i siciliani si sono vestiti di pianto con troppa fretta senza capire quanto era successo e, paradossalmente, affidandosi agli altri per comprenderlo.
Avremo un anno di confronti, di rimeditazioni, di mea culpa ma, spero, anche di nuove immagini dove, ne sono convinto, “non ci sarà nulla di antico sotto il sole”.
Nella storia della fotografia mai ci fu un risultato duraturo ed esemplare come l’esperienza della Farm Security Administration (il solo riflesso che quelle immagini e quei fotografi ha saputo riverberare sulla letteratura e sulla cinematografia statunitense ci dovrebbe far pensare ancora). E i risultati, economicamente e politicamente, ci furono (ad onor del vero ci fu anche una guerra).
©PiP"