In un recente commento
postato dopo aver letto un articolo di un’amica, ottima fotografa oltre che
fortemente impegnata nel sociale, ho scritto che "la fotografia come forma
d'arte, attraverso il suo strumento costituito anche da una macchinetta fotografica
o da un comunissimo cellulare, consente dialoghi e espressività universali che
abbattono ogni barriera linguistica e focalizzano i valori culturali che
accomunano gli abitanti del mondo.”
Partirei da questo per
indurre a riflettere sul fatto che la semplicità e la sintesi costituiscono da
sempre i fondamenti essenziali della cultura nel nostro vivere.
Al giorno d’oggi però
l’evoluzione tecnologica ci spinge sempre più verso orizzonti mai troppo
lontani, che si susseguono in una frenetica corsa e che ci consentono di
raggiungere sempre più spesso l’inverosimile. L’inimmaginabile d’ieri oggi
costituisce quasi quasi una banale realtà.
In fotografia sono tante
le scuole di pensiero e le correnti ma se per un attimo proviamo ad immaginare
e filtriamo il tutto attraverso quel linguaggio “minimalista” - aspetto mai
sufficientemente attenzionato - traspare il "dna" della fotografia
moderna, che non abbisogna di alchimie, che è trasversale e che accomuna tanti
generi.
Ma oggi sembriamo tutti
quanti più interessati ai pixel, agli iso, ai risultati ad effetto, magari
anche a stravolgere le regole per renderci in qualche modo visibili, mentre il
mercato, interessato esclusivamente nello spingere al consumismo, gongola sfornando
e proponendo nuovi modelli di fotocamere.
In questo scenario
critici d’arte si moltiplicano e talvolta sbrodolano letture e teorie
improbabili che ci inducono sempre più all’emulazione; per rispondere alla
richiesta/domanda di diventare dei "fotografi" nascono ovunque work shop, concorsi
nazionali e internazionali, appaganti per tutte le taglie, che alimentano il
desiderio di esserci e magari di essere riconosciuti da qualcuno in qualche
modo.
E tutto diventa una
ruota che gira, come in un luna park; c’è chi sale e chi scende, chi entra nei
tunnel, chi vola sul tappeto elastico e fa le capriole: ce n’è per tutti, basta
pagare il biglietto ……. e apparentemente ritorniamo tutti festosi come
accade ai bambini d'oggi che accompagniamo ai palloni gonfiabili che simulano castelli e tante alchimie da trastullo, ma diversamente da loro
noi siamo smaliziati, indotti sempre più in giochi perversi incentrati sempre nella
competizione.
Da qualche tempo è
esplosa la "fotografia democratica", che è la benvenuta per permettere
a tutti propri modi di esprimersi, di raccontare e conservare
ricordi, di inviare cartoline, di allietare gli altri e di divertirsi al contempo.
Mostre fisiche e
virtuali propongono quindi immagini appena “verniciate” ed i “like” nei social
piovono nella speranza di essere a nostra volta notati e magari di riceverne
qualcuno di ritorno.
Nonostante tutto, però,
sono portato a non scadere nel pessimismo, perché nel marasma si nascondono
sempre i fotografi bravi che, magari rimasti volontariamente relegati alla
semplice fotoamatorialità, sono indiscutibilmente dei validi attori che riescono
a saper raccontare limpidamente anche in questo mondo confuso.
Per questo continuo ed
invito tutti a visionare tante e tante immagini e magari cercare di conoscere sempre
nuovi autori e di generi diversi: a prescindere dall’età e dal loro percorso
formativo ……. e se osservi con attenzione avrai modo di leggere, nelle produzioni
di taluni, un "dna" che li accende.
Buona luce a tutti e
comunque proviamo a divertirci in queste linee metropolitane affollate
d’opportunità che ci consentono di produrre e proporre ininterrottamente tante
istantanee ..... anche belle.
© Essec
Ricevo da Pippo Pappalardo e pubblico con piacere:
RispondiElimina"Ebbene: P.P.Pasolini fa dire (non so più in quale opera) all’ombra di Socrate questa frase: “non potrai dire di conoscere la realtà fino a quando non sarai stato capace di rappresentarla”.
Io sto dentro questa esperienza.
Con le parole, con i suoni, con i colori, con i volumi, con le equazioni, persino con le ricette, noi proviamo a rappresentare il mondo dentro, di noi e fuori di noi, par capirlo e farlo capire.
Abbiamo inventato e inventeremo mezzi sempre nuovi, mai dimenticando il suono della nostra voce, mai dimenticando il graffito sulla parete della nostra caverna; perchè c’è sempre un altro e un altrove che ci aspettano.
Il giorno in cui mio padre (classe 1909) provò una penna Biro esclamò semplicemente: si scrive meglio e di più.
Non mi lamenterò della babele delle immagini; ben vengano le contaminazioni nella cultura visuale; dovrò solo attrezzare i miei occhi, stando attento affinchè ciò che adesso chiamiamo democrazia fotografica non diventi cecità fotografica.
Per troppa visibilità si diventa ciechi (Macbeth); e, poi, Ghirri ci ricordava che dalla Luna tutte le immagini dell’umanità si risolvono in una “biglia blu”
©PiP"