Puntualmente alla vittoria di Trump, di Le Pen, del Brexit, della
Lega o Cinquestelle, opinionisti e giornali analizzano il voto con
valutazione quasi infantile. I popoli sceglierebbero i “partiti della
paura”, della sicurezza, spesso sottintendendo che il popolo, votando
per nuove formazioni politiche, sia irrazionale, voti con la pancia e
non sia capace di intendere e di volere, accecato dalla crisi.
Probabilmente, senza nemmeno essercene accorti, da qualche anno c’è una
parola che è tornata di moda e attorno alla quale si è creata
un’ambiguità pericolosa: il “populismo”. Un’analisi di questa parola
permette di capire molto del mondo politico attuale nell’era
post-ideologica del superamento della logica “destra-sinistra”.
Populismo è un concetto che ha varie accezioni a seconda del periodo
storico e che occorre riprendere per potere comprendere a fondo la
logica dell’utilizzo attuale.
I primi ad essere definiti “populisti” furono nei primi del Novecento
i membri di un movimento contadino e popolare russo che esaltava il
carattere tradizionale delle campagne russe e promuoveva tendenze
socialiste contro il mondo occidentale industriale, ben lontano quindi
dal significato attuale. Poi fu il momento di un’accezione più vaga di
populista, che dagli anni’30 indicava ciò che era destinato in favore
del popolo: il “premio populista” in Francia era un premio destinato a
scrittori che, stanchi di rappresentare un mondo borghese di élites
cittadine, davano spazio a personaggi e a vicende popolari.
Infine da qualche decennio l’uso del termine si riferisce ad un atteggiamento politico volto a soddisfare e ad ammaliare il popolo tradito da una “casta” o “classe dirigente” a lui ostile. La confusione con il termine demagogia è lampante.
Infine da qualche decennio l’uso del termine si riferisce ad un atteggiamento politico volto a soddisfare e ad ammaliare il popolo tradito da una “casta” o “classe dirigente” a lui ostile. La confusione con il termine demagogia è lampante.
L’uso di questo termine comporta una serie di conseguenze solitamente ignorate.
In primo luogo viene utilizzato come un’ “insulto gentile” nei
confronti di qualsiasi movimento politico che non faccia parte dello
schieramento tradizionale: i primi furono i leghisti ad essere additati
di questo “crimine”, poi i Cinquestelle che vennero definiti come
“l’anti-politica”.
In pratica secondo il sottotesto di questa etichetta il mondo sarebbe diviso, da un lato da un gruppo di “politici ragionevoli” (liberali di centro sinistra e di centro destra) contro, dall’altro, i populisti che sarebbero agli estremi ovvero gli incompetenti che parlano alla pancia del paese, all’irrazionalità o che, peggio ancora, creano paure per sfruttare l’odio in veste elettorale.
Nel caso specifico italiano se è vero che la Lega appartiene ad un populismo di destra, i Cinquestelle si mantengono in maniera ambigua in un contesto post-ideologico che rassicura la popolazione educata dai tempi del dopoguerra alla paura degli estremi e del totalitarismo.
Insomma, secondo questa logica, l’elettore è ragionevole se accetta l’economia di mercato, oppure è demente e si fa abbindolare dai populisti.
In pratica secondo il sottotesto di questa etichetta il mondo sarebbe diviso, da un lato da un gruppo di “politici ragionevoli” (liberali di centro sinistra e di centro destra) contro, dall’altro, i populisti che sarebbero agli estremi ovvero gli incompetenti che parlano alla pancia del paese, all’irrazionalità o che, peggio ancora, creano paure per sfruttare l’odio in veste elettorale.
Nel caso specifico italiano se è vero che la Lega appartiene ad un populismo di destra, i Cinquestelle si mantengono in maniera ambigua in un contesto post-ideologico che rassicura la popolazione educata dai tempi del dopoguerra alla paura degli estremi e del totalitarismo.
Insomma, secondo questa logica, l’elettore è ragionevole se accetta l’economia di mercato, oppure è demente e si fa abbindolare dai populisti.
Se la conseguenza dell’uso di questo termine fosse soltanto quella di
rappresentare i lamenti di una vecchia classe dirigente che si sente
insidiata da quella nuova e che la sottovaluta, questa analisi sarebbe
piuttosto velleitaria. Le conseguenze, senza voler essere catastrofista,
si possono spingere fino alla legittimazione di comportamenti
estremisti.
Se è vero che l’Italia è un paese di analfabeti funzionali,
l’argomento di un popolo stupido incapace di votare non permetterebbe di
far luce su alcune dinamiche importanti, e questo atteggiamento
paternalistico nei confronti del popolo non fa altro che allontanare non
solo la politica dalla gente, ma certa sinistra sempre più radical-chic
dalla realtà e dalle masse.
L’abuso di questo termine, per screditare il nemico politico, ha ed avrà delle conseguenze pericolose.
La più importante, come scrive Guillaume Roubaud Quashie, membro
della direzione del PCF (Partito Comunista Francese) e autore della
rivista “Cause Commune“, è che si rinuncia a definire l’estrema
destra come tale e gli si fa un regalo enorme poiché non sarà più
qualificata come “estrema” e spesso non sarà nemmeno qualificata di
“destra”. Spogliarla di questi due termini significa non solo
legittimarla costituzionalmente, ma anche vestirla di un aggettivo,
quello “populista” sul quale la gente, seppur rappresenti qualcosa di
negativo agli occhi dei media espressione di una classe liberale, sente
vicino e in un certo senso capito dal politico “populista”.
L’abuso di “populista” viene poi allargato come accusa anche ad
istanze politiche di sinistra: Syriza, Podemos e Mélenchon, che in
Francia ha provocatoriamente affermato “Se populista significa
denunciare le collusioni, allora chiamatemi pure populista”.
Ora, si parla tanto della perdita di identità della sinistra, a
seguito delle sue sconfitte in moltissimi paesi, ma non si è fatto altro
che alimentare questa perdita di identità, dimenticando o non
riadattando un vocabolario vetusto come quello di “lotta di classe” e si
è invece adottato un vocabolario che era creato ad arte per cancellare
le differenze tra sinistra e destra, perché tendenzialmente estreme e
quindi negative.
Il populismo attuale non solo nasconde in sé la vecchia “lotta di
classe”, ma ne è diventato l’erede mascherato e depotenziato perché
privo di una “coscienza di classe”. Parlare poi di una classe risulta
antistorico poiché occorrerebbe parlare di una serie di classi sociali
subalterne alla ragione economica, con grande sdegno della sinistra che
oltre ad aver tradito i contenuti politici di uguaglianza e lavoro, ha
anche abbandonato la retorica e il vocabolario degli “esclusi” e degli
“ultimi” che non si sentono così più rappresentati. Vocabolario che è
stato ripreso dai partiti anti-casta ed anti-sistema. Se è scomparsa
quindi la differenza tra destra e sinistra, non è scomparsa quella tra
chi è escluso dalla mondializzazione e chi invece ne trae benefici.
Un esempio analogo a quello dell’abuso della parola “populista” vale per parole come “complottista” o “totalitarismo”.
Complottista è diventato un insulto nei confronti di qualsiasi
persona si opponga ad una verità costituita, quali che siano gli
elementi di prova portati. Se ci sono elementi di denuncia all’interno
delle informazioni che talvolta circolano, queste sono facilmente
qualificate come “fake news“, permettendo così ai media
tradizionali di tenersi stretto un posto sempre più precario, ma con il
rischio per l’opinione pubblica di gettare il bambino con l’acqua
sporca.
La nozione, imparata o meno a scuola, di totalitarismo invece è stata
una nozione coniata per equiparare gli elementi comuni di fenomeni
storici completamente diversi come comunismo, fascismo e nazismo. Così
facendo, la nostra tradizione del dopo guerra filo-americana e
democristiana ci allontanava dalle tentazioni sovietiche ricordando
quanti morti avesse fatto il comunismo in pieno clima di guerra fredda. E
quante volte recentemente abbiamo letto commenti sui social di gente
che, a proposito delle marce antifasciste e del ritorno di atti violenti
e di clima da “anni di piombo”, voleva l’equiparazione del divieto di
costituzione del partito fascista a quello comunista o più in generale
un atteggiamento politico di odio degli estremismi.
Tutte queste parole hanno una carica politica latente che condiziona il modo in cui vediamo il mondo politico stesso.
Gli italiani, stufi delle ideologie del XX secolo, prima ancora che della politica, hanno abbracciato la neutralità ideologica del populismo pentastellato. Questi potrà prendere la strada delle correnti in stile DC o, molto più probabilmente, la strada delle correnti in stile fascista, data la portata rivoluzionaria iniziale del movimento, senza per forza diventare un partito unico o una dittatura.
Gli italiani, stufi delle ideologie del XX secolo, prima ancora che della politica, hanno abbracciato la neutralità ideologica del populismo pentastellato. Questi potrà prendere la strada delle correnti in stile DC o, molto più probabilmente, la strada delle correnti in stile fascista, data la portata rivoluzionaria iniziale del movimento, senza per forza diventare un partito unico o una dittatura.
Ma, quello che appare evidente, nonostante sia sempre
scientificamente scorretto fare paragoni storici decontestualizzando i
fenomeni, è che ad un’ideologia nazionalista nel caso dei 5S si è
sostituita una ideologia anti-casta digitale, in cui la ricerca del
consenso non si manifesta attraverso la mobilitazione continua delle
masse nelle piazze (come sostiene De Felice nel caso del fascismo) ma
come mobilitazione continua della “rete” attraverso la piattaforma
Rousseau, che mira a legittimare la nuova “democrazia liquida”. De
Felice sosteneva che la caratteristica peculiare del fascismo italiano
rispetto ad altri totalitarismi fosse proprio questa necessaria
mobilitazione continua della base per la creazione del consenso.
Alla piccola e media borghesia postbellica che aveva fatto
l’esperienza della violenza, che quindi imparava ad incidere nella
realtà con i muscoli, e che intendeva proiettarsi come nuova classe
dirigente che soppiantava quella post-unitaria, si sostituisce ora una
massa di haters che hanno fatto l’esperienza del commento sul
social, fiera di avere contribuito ad una decisione del movimento. Il
fascismo si proponeva di applicare una “terza via” tra capitalismo e
socialismo, i Cinquestelle vogliono lasciare intendere che la loro
post-ideologia, oltre a permettere di acchiappare consensi qua e là,
permette di riproporre una visione pragmatica della politica che piace
agli italiani, poiché permette di unirli attorno ad un progetto, una
visione, indipendentemente dal contenuto ideologico che spesso fuggono. O
meglio, il contenuto ideologico è lo strale lanciato alla vecchia
classe dirigente, privo della difesa di un valore specifico se non
quello della legalità, che è pur sempre qualcosa, anche se insufficiente
e che difficilmente resisterà di fronte ad un popolo corrotto per
definizione e natura dalla sua storia.
Chiaramente nel passaggio da “movimento”, come espressione dei ceti medi emergenti e portatore di forti istanze di rinnovamento, a “regime”, in quanto prodotto dei compromessi con i poteri tradizionali, si vedrà poi la vera natura del populismo pentastellato che ha già strizzato l’occhio all’Europa e a Confindustria.
Chiaramente nel passaggio da “movimento”, come espressione dei ceti medi emergenti e portatore di forti istanze di rinnovamento, a “regime”, in quanto prodotto dei compromessi con i poteri tradizionali, si vedrà poi la vera natura del populismo pentastellato che ha già strizzato l’occhio all’Europa e a Confindustria.
Infine il confine tra demagogia (attuale accezione della parola
populismo) e democrazia è sottilissimo e passa attraverso la
realizzazione concreta di punti programmatici con un contenuto politico
preciso. Dubito che un progetto politico possa essere vuoto di contenuti
ideologici: essi possono essere nascosti, taciuti o smussati ma devono
necessariamente essere presenti, perché la politica è scelta, non solo
raccolta del consenso, altrimenti, come dice Emilio Gentile, diventa
“democrazia recitativa”.
Il problema è che oggi il tecnico si è spesso sostituito al politico,
che dovrebbe indicare obiettivi e scelte. Il tecnico invece dovrebbe
indicare il come si arriva all’obiettivo stabilito dal politico. Il
centro di sinistra e destra, non compiendo più scelte politiche, si è
limitato al “governo tecnico” e la sinistra raggiungendo la destra nella
politica economica e soprattutto nei diritti sociali e del lavoro, ai
quali ha sostituito quelli civili (trattasi di “populismo culturale”),
ha perso completamente la sua identità. Ed insieme alla sinistra,
l’autorità statuale appare vanificarsi rispetto a quello europea.
Da anni ormai, si fa sentire la voce di coloro che rimangono esclusi
dalla mondializzazione e non vedendo effetti benefici nell’immigrazione e
nella Unione europea hanno deciso di inseguire nuove forme politiche,
nuovi rappresentanti che effettuino scelte in loro nome.
Essere demagogici non è un male, purché si è in tanti: in fondo,
secondo la Teoria della scelta pubblica i politici non sarebbero altro
che dei mercanti di idee.
La democrazia non è altro che la “concorrenza delle demagogie”
(Marcel Gauchet), l’importante è non farla diventare un monopolio,
poiché in quel caso saremmo di fronte ad un totalitarismo.
Tobia Savoca (Pressenza - International Press Agency - 12 marzo 2018)
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