Il trend è evidente:
le banche italiane continuano a vendere titoli del nostro debito e la
Bce continua a comprarli. Gli istituto di credito nostrani hanno
infatti ceduto titoli di Stato domestici in quantità record nell’ultimo
trimestre dello scorso anno, pari a 40 miliardi di euro.
Perché si sta verificando questa migrazione?
La settimana scorsa
abbiamo affrontato il tema
riguardante l’indice NSFR (Net Stable Funding Ratio) che dal 2018
dovrebbe rappresentare un “indicatore” della liquidità (e quindi solidità) del
sistema delle banche e della intrinseca capacità di reagire a eventi
traumatici, su un orizzonte di tempo limitato (un anno). Ma, come abbiamo
dimostrato, si tratta di una spia “truccata” alla fonte. Ma perché Basilea ha
voluto edulcorare questo indicatore? Perché consentire alle banche di
“annacquare” – o se preferite “edulcorare” – l’indice
con quella parte di somme che hanno una scadenza minore ai 12 mesi?
Semplice: perché le banche private hanno nei loro portafogli decine di miliardi
di titoli di Stato. Gli istituti di credito privati sono da sempre i primi che
vanno in soccorso e incontro allo Stato per finanziare il debito
pubblico. Se gli organi di vigilanza non “aggiustassero” in quel modo
la normativa del Nsfr, le banche potrebbero, per esempio, per mettersi “in
regola” con la questione delle scadenze, sbarazzarsi, come sta avvenendo, di
tutti i titoli di Stato (soprattutto Btp a tre o cinque anni, che non rendono
praticamente nulla), e sostituirli con altri titoli, più a breve termine. E
questo, all’Autorità europea centrale, non conviene. Ecco perché poi
“aggiustano” le normative a vantaggio delle banche.
Il
dramma dell’Europa è il finanziamento del debito pubblico, che oggi possono
e devono fare soltanto le banche. Perché i risparmiatori il debito pubblico non
se lo “comprano” più (solo il 6%). E tra poco più di un anno
(quando l’indice NSFR sarà a pieno regime) anche la Bce smetterà di acquistare
i nostri BTp. Cosa succederà a quel punto? Servirà trovare
nuovi acquirenti e i sostituti saranno di nuovo le banche e le
assicurazioni italiane. E allora la relazione incestuosa
proseguirà, con le conseguenze che sappiamo.
Quella tra le banche
private e lo Stato è davvero una relazione pericolosa. Con il finanziamento del
debito pubblico sappiamo infatti che le banche forniscono una
“stampella” allo Stato. Così facendo, i governi finanziano il proprio
debito – anche se non gratuitamente, certo – e le banche, acquistando titoli a
“rischio zero”, raggiungono gli obiettivi di solidità patrimoniale richiesti
dalla vigilanza.
All’inizio della
crisi, nel 2011, quando gli indicatori macro-economici si sono
fatti tutti negativi, le banche italiane avevano nelle loro casse 240
miliardi di euro in Btp e in altri titoli di Stato, diventati 340
miliardi alla fine del 2017. Un mare di soldi,
dunque. Come mai così tanta generosa “accoglienza” delle banche nei confronti
dello Stato? Il mio dubbio è che, lungi dall’essere paladine di una causa
sociale o morale, le banche siano più prosaicamente interessate,
per convenienza e per opportunismo, a tenere una poltrona riservata nel salotto
buono delle lobby. Patti chiari, amicizia lunga: la banca compra i titoli di
Stato e in cambio lo Stato, cioè anche Bce, Banca d’Italia, Consob e
commissioni parlamentari varie, non
rompe le scatole sugli affari meno nobili, chiamiamoli così, dell’istituto.
Ad ogni modo
un’alternativa , come acquirente dei titoli di Stato, ci sarebbe: le
banche d’affari straniere.
Vincenzo Imperatore (Il Fatto Quotidiano, 19 maggio 2018)
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