Adesso
abbiamo una nuova categoria di fatatici: gli ‘specisti’. Sono un
ulteriore e più oltranzista specificazione, pardon corrente, dei vegani.
L’ideologo, anzi l’ideologa, degli ‘specisti’ è la psicologa americana
Melanie Joy che nel suo Manifesto per gli animali sostiene
che “tutte le forme di vita diventano tutte di nuovo importanti allo
stesso modo”. Chi non si adegua, e mangia poniamo una bistecca, è
bollato come un “carnista” da eliminare nel più breve tempo possibile.
L’animalismo
è la malattia infantile dell’ecologismo. Nello ‘specismo’ prende le
forme di un moralismo grottesco e contronatura. Il leone si
meraviglierebbe molto che qualcuno andasse a dirgli che non può sbranare
l’antilope e, già che c’è, sbranerebbe anche il coglione. Tutta la
storia del mondo animale, di cui noi facciamo parte, è una struggle for life
e per la sopravvivenza fra specie diverse e, nel caso degli esseri
umani, anche intraspecifica, cioè all’interno della stessa specie. In
origine quando le popolazioni erano ancora nomadi se lo spazio vitale
era diventato insufficiente, o per mancanza di cibo o per
sovrappopolazione, l’alternativa era: aggredire o perire. Il falco zompa
su volatili più deboli, il passerotto si nutre anche di zanzare, ogni
volta che respiriamo uccidiamo milioni di batteri che sono vita
anch’essi. Tutte le volte che ci caliamo uno Zimox, o qualsiasi altro
antibiotico, uccidiamo dei microbi che appartengono pur essi al ciclo
della vita. Dovremmo rinunciare a curarci in nome dello ‘specismo’
secondo il quale tutte le forme di vita sono ugualmente importanti? Con
tutta evidenza non è così. Chi di fronte alla scelta se salvare un
bambino o un gatto privilegerebbe il gatto? L’uomo ha diritto di essere
antropocentrico come il leone è leonecentrico, il gatto gattocentrico e
non si farebbe certo molti scrupoli nell’azzannare un topo. La Natura
non è né morale né immorale, è semplicemente amorale.
Ma
lo ‘specismo’ al di là dei suoi aspetti grotteschi denuncia un vizio
assai più grave e ben più esteso dell’era contemporanea: il
totalitarismo ideologico. Non c’è quasi corrente di pensiero che, sia in
campo laico che religioso, non si creda e non si proclami come l’unica
possibile. Questo totalitarismo è particolarmente presente, in modo
quasi sempre inconsapevole, cosa che lo rende ancor più grave e
pericoloso, nell’Occidente moderno e modernissimo (è quello che ho
chiamato, in un libro che ha avuto parecchia fortuna, Il vizio oscuro dell’Occidente).
Solo negli ultimi vent’anni abbiamo inanellato, in nome della “cultura
superiore”, una serie di guerre contro popoli che avevano, e cercano di
conservare, idee e stili di vita diversi dai nostri. Insomma non sono
“democratici”.
Come
siamo andati lontani dalla sapienza greca e latina. Erodoto descrive i
Persiani come barbari, feroci, crudeli, ma non si azzarderebbe mai ad
appioppar loro i costumi greci. I Greci sono greci, i Persiani persiani.
I Romani hanno conquistato tutto il mondo a noi allora conosciuto ma
hanno sempre lasciato che i popoli da loro sottomessi conservassero le
proprie culture e i propri costumi.
Ma
torniamo alla più modesta questione degli ‘specisti’. In una lettera
aperta al ministro dell’Interno francese i macellai, molti dei quali
sono stati vittime di violenze da parte degli ‘specisti’ o vegani che
dir si voglia, hanno scritto fra l’altro: “Siamo profondamente scioccati
che una parte della popolazione voglia imporre all’immensa maggioranza
il suo stile di vita, per non dire la sua ideologia”.
Nell’Occidente
viviamo nell’epoca della massima libertà individuale. Ma è solo
apparenza perché questa libertà è continuamente insidiata o compressa da
miriadi di minoranze, ma anche da maggioranze, di fanatici per cui non
dovremmo più fumare, non dovremmo più bere, non dovremmo più corteggiare
senza permesso scritto, non dovremmo fare atti contrari a quella che
altri considerano la nostra salute (il terrorismo diagnostico). E adesso
non dovremmo nemmeno più addentare una sacrosanta coscia di pollo.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 5 luglio 2018)
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