mercoledì 29 agosto 2018

Cesare Pavese lo scrisse nella metà del novecento.


 

La cultura e la padronanza della tecnica sono importanti, ma la fantasia creativa di più, anche se la “casualità” incide fortemente in moltissimi aspetti dell’esistenza umana.
Ho finito di leggere in questi giorni un libro incentrato sulla matematica, che illustrava le complessità e le diverse sfaccettature che caratterizzano l’intera materia.
Ho registrato una commistione di filosofia, religione, combinazioni ed evoluzioni geometriche che esplicitano in modo chiaro come sia lontanissima dalla nostra portata ogni possibile esito positivo nella spasmodica eterna nostra ricerca di verità.
Molte sono le interdipendenze che ci condizionano e in tutto questo, quindi è assolutamente impensabile di poter razionalizzare materie complesse, che noi ci rendiamo “in qualche modo comprensibili” ricorrendo financo ad approssimazioni forzate, a tante convenzioni e compromessi.
Eppure sappiamo bene che ciascuna scuola di pensiero si fonda e continua sempre a rispondere a dei canoni ben precisi, che corrispondono spesso a tesi precostituite e comunque a una serie di giudizi classificati che, seppur ampliati da aperture culturali, riducono molti aspetti e delimitano le possibili visioni.
Se per esempio pensiamo all’uomo primitivo e lo accostiamo al nostro attuale modo di vivere ci sembra di cavalcare un sogno; ma sono tante le barriere e tabù che ancora persistono, che dividono, che limitano il pensiero umano, che obbligano a visioni parziali, ancorchè sviluppatesi progressivamente nella evoluzione della storia.
Eppure l’intervento occasionale della “casualità” ha sempre aiutato - e costantemente - la nostra dimensione limitata e, con tanti progressivi “eureka”, ci continua a svelare evidenze che il regolare vivere manteneva offuscate nella nebbia.
Di fatto scopriamo sempre cose che in qualche modo esistevano già in natura e che fino a un attimo prima non riuscivamo a percepire nella nostra visione del quotidiano.
Fortunatamente l’intuizione di pochi visionari genialoidi o pazzoidi ha sempre aperto, di tanto in tanto, nuovi percorsi che, accendendo fari, hanno palesato delle nuove scoperte.
In questo la sperimentazione diventa quindi un valore aggiunto e, anche se il più delle volte porta a conclusioni infelici, in taluni casi, rivela cose imprevedibili o solo lontanamente ipotizzate.
In un mondo a palla, si nascondevano fino a ieri interi continenti; nelle foreste stavano a noi nascoste etnie sperdute; nel fondo degli abissi si occultano ancor oggi esseri sconosciuti: questo, mentre nell’universo navighiamo in un mondo che per comodità crediamo possa essere eterno. E qui subentrerebbero anche le concezioni della relatività, del tempo e dello spazio.
Ma se tutto è relativo, la correlazione è anche ciò che condiziona il nostro vivere; e per comodità molti stabiliscono che il tutto è frutto di un miracolo, creato da un Dio; da un’entità utopica divina, furbescamente creata a nostra immagine e dimensione, per gestire con utile compiacimento il potere umanoide e governare furbescamente le sorti dei singoli, soggiogando così interi popoli.
Con queste evidenti premesse quindi, ogni considerazione o critica volta a spiegare con assoluta certezza esternazioni dichiaratamente di parte, acclara l’assoluta parzialità di qualsivoglia opinione e l’inevitabile instabilità o messa in discussione di una qualsiasi certezza.
La presunzione dell’uomo però continua a non avere limiti e le sue partigianerie, affermate come ideologie, velocizzano sempre più delle sfrenate corse che avviano e accomunano verso i percorsi più semplici.
Fortuna per tutti noi è che continuiamo a essere comunque degli esseri limitati e fondamentalmente dei comuni soggetti mortali!
Nella sua famosa poesia Cesare Pavese scrisse, infatti, la più semplice delle certezze del nostro “essere uomini” ovvero che: “verrà la morte ed avrà i tuoi occhi”.  

Essec


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi -
questa morte che ti accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.



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