Si può chiamarla
come si vuole: voluntary disclosure, concordato fiscale, emersione del
sommerso, rottamazione delle cartelle, definizione agevolata, ravvedimento
operoso e altri sinonimi alla vaselina, come facevano i paraculi di
destra e di sinistra; oppure pace fiscale, come fanno i
paraculi giallo-verdi. Ma se una legge consente a chi non ha pagato le
tasse di cavarsela versandone una parte, senza multe né conseguenze penali, condono
è e condono rimane. Quindi un “governo del cambiamento”
che si rispetti dovrebbe partire di qui: chiamando le cose col loro nome senza
prendere in giro gli italiani. La pace presuppone una guerra e noi – parlo a
nome di quei pirla che pagano le tasse fino all’ultimo euro – non ne abbiamo
mai vista una. O meglio, una la combattiamo da sempre: contro gli evasori, che
ci costringono a pagare molto più della media europea. Purtroppo l’abbiamo
sempre persa, ma siamo un po’ stufi di continuare a perdere. Cioè a
pagare anche per chi non paga. Anche perché non sapremmo proprio con
chi farla, la pace. E ci girano vorticosamente le palle se la pace la fa chi
non paga, trattato da pacifista anziché da evasore. Ciò premesso, non
è ancora chiaro quanti saranno i neo-condonati, per quali importi evasi, in
cambio di quali importi e per quale durata. Noi avevamo capito che M5S e
Lega fossero vincolati a un contratto di governo. E, a scanso
di equivoci, siamo andati a rileggerlo. Sull’evasione dice due
cose.
1)
“È opportuno instaurare una ‘pace fiscale’ con i contribuenti per rimuovere lo
squilibrio economico delle obbligazioni assunte e favorire l’estinzione del
debito mediante un saldo e stralcio dell’importo dovuto, in
tutte quelle situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà
economica. Esclusa ogni finalità condonistica, la misura può diventare
un efficace aiuto ai cittadini in difficoltà ed il primo passo verso
una ‘riscossione amica’ dei contribuenti”.
2)
“Anche in considerazione della drastica riduzione del carico tributario grazie
alla flat tax e alle altre misure… sul piano della lotta
all’evasione fiscale, l’azione è volta a inasprire l’esistente quadro
sanzionatorio, amministrativo e penale, per assicurare il ‘carcere
vero’ per i grandi evasori”.
Nella
sua prima intervista (al Fatto) e in quella di ieri alla Verità,
il premier Conte ha raccontato la favola “pace fiscale non è condono”,
senza sbottonarsi sulle cifre. Poi però si è attenuto al contratto: “La pace
fiscale è imprescindibile”, ma solo nell’ambito di “un progetto organico di
riforma (del fisco, ndr), basato su una nuova alleanza tra cittadino e
fisco”.
Insomma
“l’azzeramento delle pendenze” sotto una certa soglia “è funzionale per
ripartire con un nuovo rapporto con il fisco”, che prevede le manette per chi
poi sgarra: “L’inasprimento delle pene è un tassello fondamentale della nostra
riforma fiscale… significa che chi commette reato deve andare in carcere”.
Siccome il prof. è esperto di diritto privato e civile, ma non
tributario, gli ricordiamo un piccolo dettaglio: aumentare le pene è
sacrosanto, perché le attuali non consentono né custodia cautelare né
intercettazioni e garantiscono la prescrizione assicurata; ma per commettere
reato e dunque rischiare di finire sotto processo (per poi
farla franca 99 volte su 100) bisogna superare soglie di evasione talmente alte
che, anche volendo, possono farcela soltanto pochissimi miliardari. Quelle
soglie, introdotte dal centrosinistra, furono poi abbassate da Tremonti
(incredibile a dirsi) nel 2010 e rialzate a dismisura da Renzi. Quindi, prima
di inasprire le pene, bisogna abbattere quei tetti e fare come nei Paesi
civili: chi non paga le tasse commette reato, a prescindere da quante ne ha
evase. E bisogna farlo subito, contestualmente allo sciagurato condono. Che si
spera sia quello previsto dal contratto, limitato esclusivamente alle
“situazioni eccezionali e involontarie di dimostrata difficoltà economica”,
cioè a chi non ha pagato fino a un certo importo le cartelle Equitalia perché
non aveva soldi, mentre prima della crisi aveva sempre pagato fino all’ultimo
cent. E l’importo massimo non può essere 1 milione l’anno,
come vorrebbe la Lega (che parla addirittura di una riapertura della voluntary
disclosure, cioè del mega-scudo per i capitali all’estero), ma poche
centinaia di migliaia di euro, non di più.
Solo così il condono
(a quel punto mini) potrà essere digerito dai contribuenti onesti,
che sono tanti e non ne possono più di veder premiati i ladri. E solo così si
ridurrà al minimo quel devastante effetto-deterrente che ogni condono produce
sulla fedeltà fiscale. In questi giorni, al solo evocare la “pace fiscale”, gli
studi dei commercialisti sono presi d’assalto da clienti che domandano se sia
proprio il caso di pagare le imposte (e anche l’ultima rata della rottamazione
delle cartelle voluta da Renzi&C.). Se nessuno, dal governo, farà chiarezza
sui limiti del condono di qui all’approvazione della manovra, si rischia un
crollo del gettito che finirebbe per elidere gli eventuali introiti da
evasione condonata (peraltro tutti da verificare: più condoni si fanno, più gli
evasori evitano di aderirvi in attesa del successivo, sempre più conveniente
del precedente).
E quel pericolo si
può evitare in un solo modo: inserendo subito nella manovra
anche la parte organica della riforma fiscale: nuovo reato di evasione
e di frode senza più soglie di impunità; e raddoppio delle
pene. È l’unico modo per spaventare e dissuadere chi oggi è tentato di
non pagare, en attendant la pace fiscale. Conte dice che “il fisco non
dev’essere visto come nemico”. Ma dovrebbe aggiungere “dai contribuenti
onesti”. Per gli evasori, invece, il fisco dev’essere un nemico
acerrimo. E fare la guerra, non la pace.
Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano - 20 settembre 2018)
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