domenica 14 ottobre 2018

"L'abito non fa il monaco"



Il famoso proverbio "l'abito non fa il monaco" in genere invita a diffidare dalle apparenze, ma non sempre abiti confezionati da sarti che non conoscono le misure di coloro che devono vestire risultano adeguati ai propositi.
Tralasciamo ogni considerazione che potrà riguardare la moda, i costumi del luogo, le tendenze del momento e concentriamoci sull'esigenza primaria che induce gli uomini a indossare abiti ovvero alla protezione dal freddo, non ultimo alla identificazione delle specie nei diversi ruoli.
Indossare, quindi, un perizoma in un clima freddo potrebbe risultare ridicolo ed esporrà chi lo porta a malattia sicura; di contro, vestire un capo con pelliccia che dia calore in equatore, comporterà sudori inauditi con le debite maleodoranti conseguenze.
Se prendiamo in considerazione l'adozione di una unica lingua in una società accomunata ma complessa ci troveremo limitati nel nostro modo di esprimerci.
Pertanto, con le dovute prudenze del caso, forme dialettali non meriteranno mai di essere eliminate se sapranno efficacemente sintetizzare concetti e senza ombra di dubbi o equivoci.
Al riguardo, in questo campo, l'Italia è ricca di appropriati motti, proverbi, ingiurie, poesie.
In qualche modo mi viene anche in mente quella scenetta di Massimo Troisi dove, in quel famoso film, disquisiva sulla scelta del nome da attribuire al futuro nascituro: Massimiliano o Ugo. Famosa la esilarante e al contempo sapiente discettazione. Dove si sosteneva che l’assegnazione del primo nome sarebbe stato educativamente troppo permissiva (Ma ssi mi lia no) mentre, invece, la seconda (Ugo) costituiva soluzione efficace e tempestiva.
In effetti l’importanza della tempestività in certi casi equivale alla efficacia di una diagnosi e della relativa cura. Questa, però, rappresenta un’altra questione.
Tutta questa premessa vuole in qualche modo costituire preambolo a certe conclusioni che, se non adeguatamente ponderate, talvolta rischiano di non risultare appropriate ed efficacemente calzanti per monitorare e eventualmente eliminare i possibili rischi, come nel caso del mondo della finanza, specie in seno alla comunità europea.
L’accentramento alla BCE di determinati compiti volti a unificare e indirizzare in modo univoco strategie e controlli, al solo scopo di assicurare stabilità standardizzata al sistema bancario e al mondo della finanza alla stessa ascrivibile, è certamente buona cosa, diverso è riuscire a riassumere il tutto secondo regole che non offrono sufficienti garanzie rispetto alle specificità di realtà economiche variegate, come quelle macroscopicamente esistenti in seno alla Comunità europea allargata.
Senza voler perdermi nei vari aspetti d’indirizzo generale e gli obiettivi, come detto condivisibili, penso, per esempio, alla nuova rimodulazione della codifica adottata con la nuova “Matrice dei Conti”, soffermandomi esclusivamente sulla materia del rischio creditizio.
Stante l’assetto politico esistente e le forti interdipendenze nei panorami economici presenti all’interno dei singoli stati, forse, uniformare snellendo fattispecie contabili specifiche ed adattate ai problemi, da tempo collaudate, non agevola sicurezze al sistema bancario complessivo e per tanti aspetti.
In presenza di una crisi economica stagnante si osserva come, in analoghe situazioni patologiche, ad esempio in Italia la Banca Centrale, nella sua azione di vigilanza venne a istituire le così dette posizioni “ristrutturate” in qualche modo paragonabili (almeno nelle intenzioni) alle recenti iniziative fiscali di “pace sociale”.
Non erano altro che affidamenti quasi conclamati in “sofferenza” che, agevolati attraverso nuove condizioni da parte delle banche eroganti, avrebbero potuto recuperare e risolvere le loro criticità di efficienza produttiva.
Così è stato che in moltissima casi, con un rendimento economico inferiore per le banche, si è potuto procedere a un’affidabilità dei soggetti sovvenzionati avviati a default certo e al rientro progressivo del capitale investito.
Altro esempio eclatante può esser fatto citando le regole del “bail in”, che presuppone soluzioni rigide e traumatiche. Con fallimenti e recuperi economici che vanno a danneggiare in primis depositanti e investitori, lasciando paradossalmente ai singoli stati la possibilità di gestire in modi differenti gli aspetti penali connessi al fenomeno, anche riguardo a sanzioni (Banca Toscana e Popolare di Vicenza docet).
In passato in Italia problematiche del genere venivano affrontare e risolte avendo presente la tutela primaria e assoluta del risparmio amministrato e, sempre, attraverso una professionale moral suasion mirata.
Le realtà in crisi venivano indirizzate/accompagnate verso soluzioni quali fusioni con istituti idonei per poter assorbire i costi delle operazioni e le eventuali perdite, senza procurare eccessivi traumi all’economia del territorio.
Esempi se ne possono fare tanti altri, ma già questi potrebbero bastare per la seguente conclusione e cioè, per ritornare al titolo all’ampia premessa: “l’abito non fa il monaco”.
Gli abiti su misura si confezionano sempre in modo che siano perfettamente calzanti a chi li deve indossare.
In un supermercato magari potrai trovare l’indumento standard, utile, che ti potrà anche cadere a pennello, ma occorre sempre badare alla qualità della stoffa, alla leggerezza del capo, all’idoneità rispetto al clima in cui operi e, comunque, se hai difetti tuoi specifici li potrai eliminare/modellare solo con l’ausilio dei mezzi che hai in casa o in extremis ricorrendo al tuo abile sarto.
E non si considera il caso di chi ha una gobba patologica, costituita da un considerevole debito pubblico, accompagnato e incentivato da una allegra amministrazione politica della finanza statale, come nel caso dell’Italia.
In conclusione appaiono con estrema evidenza le lacune politiche che hanno spesso caratterizzato il governo del nostro paese.
Sono, infatti, in molti a indicare come il vero problema non sia stato tanto la standardizzazione delle regole a livello europeo (in cui si possono inserire, come avvenuto, anche le specificità nazionali), ma il fatto che forse ci siamo fatti trovare impreparati quando ci è stato chiesto di cambiare il vestito che eravamo abituati a indossare.
Allora ci siamo accorti che il “re era nudo”; il cd. “bail in” è emblematico in tal senso, viste le negative conseguenze, lo sconquasso e il clamore che ne è derivato dalla prima - e fortunatamente unica – sua applicazione. 

© Essec


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