Christie’s ha venduto all’asta a New York per 2 milioni e 892.500
dollari una lettera che Albert Einstein scrisse a Eric Gutkind nel 1954,
a 74 anni, mezzo secolo dopo aver preso il Nobel per la Fisica. Ma più
fortunati del ricco Epulone che l’ha acquistata siamo noi che possiamo
leggere gratuitamente questa straordinaria lettera di questo
straordinario scienziato e di quest’uomo straordinario i cui pensieri
continuano ad abitarci, come quelli di tutti i grandi, da Eraclito a
Leonardo a Dante a Shakespeare a Milton a Nietzsche a Leopardi, anche se
i loro corpi “dormono, dormono” sulla collina o altrove, e le loro
menti non hanno più coscienza di sé e tantomeno di ciò che hanno
suscitato.
La lettera di Einstein ruota intorno alla questione eterna dei
rapporti fra scienza, religione, spiritualità e il mito di Dio.
Einstein, da scienziato, è un ‘non credente’: “Sono un religioso, non un
credente…Per me la parola ‘Dio’ non è altro che l’espressione e il
risultato della debolezza umana”. E liquida la Bibbia (“un libro
raccapricciante che suscita orrore” secondo l’interpretazione del laico
Sergio Quinzio) il Vangelo e tutte le altre cosmogonie come raccolte di
“Leggende venerabili ma piuttosto primitive. Non c’è un’interpretazione,
per quanto sottile possa essere (e qui si riferisce precipuamente alla
Bibbia, ndr) che mi faccia cambiare idea…Per me la religione
ebraica nella sua versione originale è, come tutte le altre religioni,
un’incarnazione di superstizioni primitive”. Insomma sono miti
fondativi, ma senza nessun riscontro storico e tantomeno scientifico.
Ma Einstein non è un ‘non credente’ integralista, ‘freddo’ alla Rita
Levi-Montalcini, se in questa stessa lettera riprende un passaggio di
Spinoza che concepiva la figura di Dio come un essere senza forma,
impersonale: l’artefice dell’ordine e della bellezza visibili
nell’universo. In Einstein sembra quindi esserci comunque e nonostante
tutto una tensione verso il trascendente e in questo credo consista la
sua ‘spiritualità’. La presenza/assenza di Dio lo turba se nella famosa
polemica col collega danese Niels Bohr, che aveva descritto per primo la
struttura dell’atomo, gli replica: “Dio non gioca a dadi con
l’universo”.
Einstein è ebreo e si riconosce nella cultura ebraica sia pur senza
integralismi (“con piacere”) e scrive: “E la comunità ebraica, di cui
faccio parte con piacere e alla cui mentalità sono profondamente
ancorato, per me non ha alcun tipo di dignità differente dalle altre
comunità. Sulla base della mia esperienza posso dire che gli ebrei non
sono meglio degli altri gruppi umani, anche se la mancanza di potere
evita loro di commettere le azioni peggiori”. E qui Einstein centra una
questione molto attuale, che non ha a che vedere con la scienza ma con
l’essenza dell’umano, e che risponde a quella legge storica per cui i
vinti di ieri una volta diventati vincitori non si comportano molto
diversamente dai loro antichi sopraffattori. Altrimenti sarebbe
incomprensibile come lo Stato di Israele tenga a Gaza un enorme lager a
cielo aperto, quando proprio dei lager gli ebrei sono stati vittime nei
modi atroci che ci vengono sempre ricordati.
La lettera venduta l’altro giorno da Christie’s ci riporta anche alla
famosa polemica fra Niels Bohr e lo stesso Einstein. In estrema
sintesi: Bohr sostiene il “principio di indeterminazione” e cioè che la
Scienza non può arrivare a scoprire la legge ultima dell’universo,
Einstein al contrario non riuscirà mai a convincersi che non sia
possibile, per l’uomo, arrivare alla Verità assoluta. E qui noi, pur
nella consapevolezza di inserirci da nani in un confronto fra giganti,
stiamo con Bohr che doveva aver ben presente il profondo insegnamento di
Eraclito: “Tu non troverai i confini dell’anima (e qui per anima va
intesa la Verità, ndr) per quanto vada innanzi, tanto profonda è
la sua ragione”. E aggiunge: la legge autenticamente ultima ci sfugge, è
perennemente al di là e man mano che cerchiamo di avvicinarla appare a
una profondità che si fa sempre più lontana.
Infine in un’altra nota Einstein, nella sua saggezza umana, molto
umana e nient’affatto troppo umana ci dà un consiglio, che con la fisica
ha poco a che vedere, ma che dovrebbe far rizzare le orecchie ai
cantori molto attuali, inesausti e dilaganti delle “sorti meravigliose e
progressive”, delle crescite esponenziali e del mito del successo: “Una
vita tranquilla e umile porta più felicità che l’inseguimento del
successo e l’affanno senza tregue che ne è connesso”.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano, 12 dicembre 2018)
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