domenica 24 febbraio 2019

Odo Gelli far festa



È un vero peccato che Licio Gelli non sia più tra noi. Sarebbe davvero entusiasta, dopo quarant’anni di calunnie, di questa riabilitazione, purtroppo postuma, del suo mitico Piano di Rinascita Democratica. Aveva sperato in Craxi, Andreotti e Forlani, ma gli era andata male: il Caf aveva orizzonti più prosaici che la Grande Riforma della Giustizia. Si accontentava di rubacchiare e/o di mafiare sperando di farla franca, e alla fine nemmeno ci riuscì (a farla franca). Poi aveva puntato tutto su B., ma anche quello ben presto lo deluse: era troppo impegnato a non finire in galera depenalizzando i suoi reati, allungando i suoi processi e dimezzando la prescrizione, per perder tempo a diventare il Grande Architetto della Giustizia. Gli piaceva molto D’Alema, che con la Bicamerale e la bozza Boato ce la stava per fare: “Dovrebbero versarmi il copyright, sono tutte idee mie, solo che a me davano del golpista”, confidò gongolante nel 1997 al sottoscritto. Ma anche quella preziosa occasione sfumò, e sempre a causa del confratello Silvio, che la fece saltare sul più bello perché i “comunisti” non volevano dargli pure l’amnistia. Quando arrivò Renzi, che sarebbe stato perfetto col suo bel progettino costituzionale per dare tutto il potere a un uomo solo al comando e svilire il Parlamento a cameretta di nominati dalla Casta e con la sua riabilitazione di Tangentopoli (“Mani Pulite fu barbarie giustizialista”), il sor Licio se n’era già andato. Ma ne sarebbe rimasto deluso anche stavolta: a lui piacevano i vincenti, e Renzi era un perdente nato. Infatti perse tutto: referendum, governo, amministrative, politiche e faccia.

Ma proprio ora che l’eterno sogno autoritario piduista pareva definitivamente tramontato, ecco la svolta. Il Pd che doveva derenzizzarsi si rirenzizza in articulo mortis. Due dei tre candidati alla segreteria – Martina e Giachetti – erano in prima fila, l’altroieri al Lingotto di Torino, a spellarsi le mani per la sceneggiata del figlio di Tiziano e Lalla (momentaneamente agli arresti), mentre questo caso umano itinerante sparava sui pochi magistrati e i pochi giornalisti che osano ancora indagare su chi è e da quali lombi discende. Martina, nella sua mozione congressuale, vuole la separazione delle carriere fra giudici e pm, copiata paro paro dal Piano di Gelli e dai programmi di Craxi e B. Giachetti fa di più e dichiara che, da buon ex radicale, “sulla giustizia la penso come B. da vent’anni”: basta con “lo strapotere dei pm”, carriere separate fra chi indaga e chi giudica, anche se fanno lo stesso mestiere di cercare la verità. Che poi è da sempre il vero terrore della Casta.

Se si scoprisse mai tutta la verità, si salvi chi può: in manette non ci finirebbero solo Formigoni e la Sacra Famiglia di Rignano, ma una processione di politicanti, prenditori e magnager che rubano e/o mafiano da una vita. Non che in questi anni la Procure abbiano dato gran noia a lorsignori, anzi: la controriforma Castelli-Mastella che ha accentrato il potere in mano a un pugno di procuratori e il Csm napolitan-renzizzato che ha epurato i pm importuni hanno riesumato i vecchi cari porti delle nebbie e delle sabbie. Ma purtroppo qualche scheggia impazzita qua e là ha continuato a curiosare dove non doveva. E a scoprire il marciume, che tracima anche dove si tenta con tutte le forze di nasconderlo sotto i tappeti. Trattativa Stato-mafia, Expo, Mose, Etruria, i 49 milioni della Lega, Consip, grandi opere, i Renzis. Ora è bastato che in pochi giorni si chiudesse il processo Formigoni sul più grave scandalo di corruzione nella sanità degli ultimi 25 anni e finissero ai domiciliari Tiziano & Lalla perchè la Banda Larga rientrasse in fibrillazione, atterrita dall’incubo che l’attanaglia dal ‘94: una nuova Mani Pulite. Prospettiva fantasiosa, per chiunque sappia come son ridotte le Procure. Ma la parola “arresti” in prima pagina, per chi ha una coda di paglia lunga come il tunnel del Tav, ridesta brutti ricordi. Infatti, in automatico, l’on. avv. berlusconiano Sisto è corso a depositare un ddl per separare le carriere. E subito, come le api sul miele, gli sono corsi incontro i pidini renziani, che parevano estinti e invece erano solo nascosti in attesa di tempi migliori e ora adescano la Lega (quella che a giorni alterni chiamano fascista) per una bella Unione Sacrée con FI e contro il M5S, pro-affari e anti-giudici.

l fatto poi che un politico condannato a soli 5 anni e 10 mesi per appena 6,6 milioni di tangenti e 200 milioni di euro pubblici regalati alla sanità privata entri in galera senza la certezza di uscirne dopo un paio di giorni, alla Previti, incrementa il terrore. Infatti i giornaloni di regime, anziché raccontare perché è giusto che un supercorrotto sconti la pena come in qualunque paese civile, partecipano al lutto nazionale della Casta e maledicono la legge Anticorruzione del ministro Bonafede che rischia di scongiurare, almeno per lo scandalo formigoniano, il classico esito a tarallucci e vino. Anche quelli un tempo schierati dalla parte della legalità, come Repubblica, che lacrima come una vite tagliata perché un ladrone patentato “finisce in carcere a 72 anni” (orrore, disgusto, raccapriccio!); e sostiene addirittura l’incostituzionalità della Spazzacorrotti perché qualcuno vuole applicarla anche a chi è stato condannato per reati commessi prima e a chi ha compiuto 70 anni. E questa sarebbe “la peggiore giustizia, quella ‘esemplare’”. Scemenze che un tempo leggevamo sul Giornale (e ancora le leggiamo, a firma di Claudio Brachino, quello che sputtanò su Canale5 il giudice Mesiano del caso B.-Mondadori per i calzini turchesi) ora escono in stereofonia anche su Repubblica. Ditemi voi se non è un’ingiustizia che Licio Gelli, dopo tante amarezze e incomprensioni, non possa godersi la meritata rivincita.



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