domenica 14 aprile 2019

Nino Pillitteri: "Attìa, à ccù apparténi?"



Attìa, à ccù apparténi? Me l’avranno chiesto mille volte, in paese, sconosciuti. A chi appartieni? Una specie di domanda obbligatoria per i nuovi arrivati in un luogo, appena arrivati dalla città in un improbabile paesetto di Sicilia. Una signora con le mani ai fianchi,  arrotolata nel suo grembiule. Si chiede la genìa, la famiglia di appartenenza. Si capiscono tante cose, il ceto sociale, lo status. 
Il quartiere in cui si vive, la situazione economica. Spesso mi dava fastidio. Dire chi ero, come a serbare un anonimato fittizio, fatto di niente. Volevo starmene per i fatti miei. E poi qualcuno mi chiedeva sempre: Attìà veni ccà,  à ccù apparténi? 
Ho iniziato questo pezzo su una foto della costa Nord siciliana che rappresenta la foce del fiume Oreto, il suo arrivo al Tirreno. Un luogo spesso dimenticato, non ci si va a passeggiare: pensa come sarebbe bello farlo… Su questo tratto di costa sono sbarcati i fenici, i greci, gli arabi e via dicendo. Migranti. Viaggiatori per diritto di nascita, per appartenenza ad un gruppo etnico. I fenici ad esempio, commerciando in tessuti, spezie e coloranti sbarcarono tante volte li. Il problema era la lingua naturalmente. 
Le dita delle mani aiutarono la comunicazione delle trattative economiche. Tutti abbiamo dieci dita. Si gettarono quindi le basi per la costituzione del Sistema Metrico decimale. Grande fermento sulle orme della circuitazione nel bacino del Mediterraneo di lingue e culture. Siamo tutti migranti, lo siamo sempre stati. Prova a chiedere ad un gruppo di persone se hanno dei parenti in qualche paese interno o costiero. 
A parte i flussi migratori moderni, quelli con i barconi per intenderci, l’uomo ha da sempre avuto la necessità di spostarsi da un luogo ad un altro. 
La transumanza come abitudine di spostare greggi in aree più verdeggianti non è che un esempio. Oggi assistiamo a fenomeni migratori complessi. È abitudine dei nostri ragazzi che studiano all’Università di frequentare corsi triennali in giro per l’Italia e completare gli studi attraverso progetti europei per una formazione che guarda all’inserimento sul campo del lavoro anche alla luce di esperienze conseguite in altri Paesi. 
Tempo fa, una ventina d’anni circa, mi piaceva fermare lavavetri dell’Est Europa, rumeni, polacchi chiedendo loro che tipo di formazione avessero. Rimanevamo a parlare di teoremi, dimostrazioni, modelli teorici sia matematici che fisici. Parecchi erano ingegneri, diversi architetti, alcuni medici. I nuovi arrivati oggi non possiedono una grande formazione accademica, questo è assodato ma possiedono una energia volitiva nella forza lavoro che i giovani nostri probabilmente non hanno, forse secondati da famiglie che li hanno troppo protetti e cullati con quelli che chiamo i biberon del consumismo. 
La mia ricerca fotografica parte dalla costa Nord siciliana e passa dal mercato di Ballarò dove giovani africani aprono saloni di barbiere. Si improvvisano mercati nel mercato, Suq improvvisati. Intere aree vengono affittate a ghanesi, altre ai Bangla. 
Nella zona di via del Ponticello, che ha ripreso la nomenclatura trilingue araba., latina ed ebraica, sono i bangla che prendono in affitto case ed esercizi commerciali. L’odore del curry o del mango chutney è inconfondibile. 
Via via che ci addentra verso il mercato i figli dell’Africa nera hanno ormai soppiantato i residenti che sono migrati verso quartieri più moderni e dove la speculazione edilizia degli anni ’70 ha creato nuove aree di sviluppo urbano. 
I Rom, di varie etnie peraltro, sono i migranti per antonomasia. I Gitani, girovaghi e senza fissa dimora popolano la zona Stadio e di Romagnolo a Palermo. La Stazione Centrale è la nostra China Town. 
Scendo verso l’interno della Sicilia e assisto a sbarchi di clandestini tra Sciacca e Ribera. Fotografo uomini di mezza età che cercano un futuro migliore attratti anche dalle nostre TV e da ciò che viene promesso. Arrivano qui si rendono ben presto conto delle difficoltà a trovare lavori anche umili o come raccoglitori nei campi e ben presto si spostano verso il Nord Eurpa. 
Il mio viaggio finisce a Ponte di Ferro, la foce del Belice, su quella bellissima spiaggia dove sorge un hotel che sembra una cattedrale in un deserto. Il viaggio inizia a Nord su un fiume che trova il mare con le sue storie di partenza e si conclude a Sud con un altro fiume che trova un altro mare, un nuovo orizzonte, sulle cui rive hanno vissuto i miei padri, i miei giganti: Archimede, Ibn Battuta, Cervantes e tanti altri. Ma tu à ccù apparténi?


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Nino Pillitteri, ha studiato Matematica presso il Dipartimento di Scienze di Palermo. Nel periodo del Dottorato di Ricerca presso l’Institut Mittag Leffler – Stoccolma ha incontrato nel 1984 la fotografa Cecilia Ahlqvist con cui ha allestito una camera oscura. Altre camere oscure ha organizzato a Palermo con Biagio Lenzitti e Peppe Puntarello. Ha fondato e diretto dal 2009 la rivista on line https://photo.webzoom.it. Collabora con il fotografo Salvo Fundarotto e lavora come free-lance per varie testate giornalistiche italiane ed estere come Demotix, Corbis image, pacificpressagency.com , photojournale.com, witnessjournal.com, azsalute.it, blastingnews.com. Ha vinto numerosi premi per servizi e inchieste fotografiche.

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