lunedì 21 ottobre 2019

L’ intento che accomuna nella fotografia.


 Nella immagine sono ritratti come duellanti gli amici Pippo Pappalardo e Arturo Safina 
(foto scattata in occasione della 9^ Edizione di TrapanInPhoto)


Cliccare con il marchingegno chiamato macchina fotografica, per chi ha la passione, è sempre gradevole. 
Ci s’infastidisce però se qualcuno tende a distrarci chiedendo di fargli una foto, magari includendone il paesaggio, peggio ancora se qualcuno viene a pretendere che tu operi lo scatto seguendo i suoi suggerimenti, riguardo a tempi, diaframmi e taglio di ripresa. 
In relazione a ciò, per chi pratica la fotografia, il migliore metodo è quello di tentare di eclissarsi rispetto alla compagnia. 
Questa tattica risulta in ogni caso premiante, sia per il fatto che, se si arriva prima, il contesto di ripresa generalmente è ancora incontaminato, e anche perché, se ci si attarda nel dopo o se ci si allontana dal gruppo, si traggono i vantaggi della distrazione che la massa indisciplinata ha arrecato già nel set di ripresa. 
Di certo non sei il solo - e non lo sarai mai - ad attuare questo escamotage e allora bisogna armarsi di santa pazienza e magari aspettare con calma il proprio turno, sempre però che valga la pena. 
In un altro scritto ebbi anche a dire su quegli strani soggetti che si muovono sempre in maniera elefantiaca, che risultano in ogni modo ingombranti e che magari ti riprendono pure pronunciando la famosa frase: “togliti che devo fare una foto”. Al riguardo, non occorre soffermarsi più sull’argomento, anche perché per questi non c’è alcuna possibilità che si emancipino e men che meno quella di un improbabile recupero. 
Tornando più in generale alla produzione fotografica, al diletto creativo che ci appaga in fase di ripresa si associano anche i momenti che seguono e connessi alla post produzione. 
Non bastano mai gli hard disk  che si acquistano per custodire gli scatti digitalizzati e diventa crescente l'onerosa elaborazione successiva da dedicare ai files immagazzinati. 
In un modo o nell’altro e per quanto si possa essere parchi nella produzione, la post-produzione necessita di serenità d’animo e richiede molto impegno. Solo tali condizioni emotive consentono di osservare con attenzione le immagini lavorate, qualche volta anche per cogliere/scoprire quei particolari che la fortuna spesso regala e dei quali non si era avuta coscienza al momento del nostro fatidico click. 
Grazie a una serie di automatismi programmati che assegniamo alla macchina di ripresa all’inizio di una battuta fotografica, oggi possiamo dedicarci di più allo studio dell’ambiente, nel leggere la qualità della luce, nel prevedere/immaginare azioni o accadimenti. 
L’esperienza del resto ci ha già insegnato su quando è utile o necessario intervenire, per apportare modifiche significative nelle impostazioni ovvero per settare diversamente la macchina al fine di ottenere quei risultati particolari che la fantasia del momento ci viene a ispirare. 
In questi particolari casi, comunque - e come si dice in gergo - "ogni testa è tribunale". 
Nessuno può sindacare cioè sull’operato e le bizzarrie dell’altro. Eventuali giudizi e possibili approvazioni o bocciature saranno espressamente collegate solo ai risultati ottenuti; sia del singolo scatto o di una serie d’immagini che vorrebbero raccontare un evento, suscitare un sentimento o una sensazione, secondo una composizione artistica e la sensibilità intima dell’autore. Da qui derivano le molteplici scuole di pensiero, gusti e mode. 
Accanto alla fotografia che potremmo definire “classica” si sono sempre mosse nidiate di fotografi dediti alla sperimentazione. Per costoro la macchina fotografica costituisce fondamentalmente uno strumento, il pennello del pittore o la matita per lo scrittore/poeta, è cioè il mezzo scelto per raccontare con immagini delle proprie “visioni”, per esternare quanto l’immaginazione e la fantasia può - in talune condizioni - essere in grado di produrre, per aprire a discorsi nuovi, tecniche innovative e a intrudurre altri possibili linguaggi espressivi. 
In ogni caso e sempre, permane un punto di contatto fra "chi scatta una fotografia solo per divertimento" e quello che per esemplificazione andremo a definire "un potenziale artista". 
In entrambe le circostanze gli autori restano accomunati nel diletto, che sta alla base della loro azione. Quello di scattare una bella foto ricordo o solamente un selfie per il primo, di introdurre al proprio racconto attraverso una forma di comunicazione culturale immediata e diretta il secondo. 
Comunque ciascuno avrà operato per un risultato. Sulla bontà del quale giudicheranno altri contemporanei e forse poi altri ancora, nel tempo e nello spazio, prescindendo pure da quello che era stato alla base l'origine del bisogno. 

Buona luce a tutti!

© Essec


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