Nella scrittura, come in altri campi divulgativi o
di comunicazione in genere, ognuno ha un suo stile.
L’efficacia della fidelizzazione di un proprio pubblico dipende molto dai contenuti delle composizioni che, nel tempo, devono in qualche modo anche corrispondere alle attese dei lettori.
Con questo non si vuol dire che bisogna scrivere in funzione delle “aspettative” degli altri e men che meno che gli argomenti debbano essere scelti in sintonia col momento e magari, per cercare di conquistare più soggetti possibili, rischiando di argomentare su questioni non conosciute, in maniera palesemente insufficiente.
La sobrietà e l’efficacia comunicativa in ogni caso caratterizzano le qualità del messaggio e, come dicevano alcuni miei saggi insegnanti, per potere spiegare o discutere su un qualunque argomento è fondamentale avere chiari i concetti e le proprie idee sulle questioni trattate.
L’esercizio della lettura in questo aiuta, ma non sempre assicura risultati certi.
La moda di adesso è l’estrema sintesi e i social ci obbligano a un minimo di caratteri o ci impongono un limite di durata.
E‘ certamente vero ed è scientificamente provato che, oltre un certo numero di parole per un testo o una particolare durata di un filmato, scema l’attenzione, cade l’interesse ma è altrettanto certo che argomentazioni di tesi e di messaggi complessi necessitano l’utilizzo di un minimo di approfondimento che talvolta non può trovare un limite in un numero prefissato e standardizzato di parole o di minuti.
In molti talk show attuali si vedono tanti proferire fiumi di domande, a sostegno delle proprie tesi, senza lasciare alle controparti interpellate o coinvolte i tempi necessari per un’adeguata e esaustiva risposta.
In televisione l’odiens di successo è legata alla raccolta, il più possibile plebiscitaria, dei quesiti di “pancia” che potrebbero essere proposti dalla massa generalizzata degli utenti, in maniera tale che ciascuno possa riconoscersi almeno in una rimostranza formulata. Le risposte alle domande – spesso artificiosamente inconcludenti – poi fanno da solo corollario negli show di maggiore consenso.
In tutte le manifestazioni sociali, ciascuno si distingue poi, positivamente o negativamente, a seconda delle capacità nel sapersi collocare sui molteplici aspetti espressivi che, nei tempi occorrenti, non necessariamente impongono esperienze di testimonianze attive o, ancor meno, di documentazioni certe.
Quante volte, assistendo a una qualunque performance, pubblica o privata che sia, sorge spontanea la considerazione sul referenziere di trovarlo “negato”, almeno sul punto in questione. Molti di noi ne hanno fortunatamente coscienza e evitano di esporsi in situazioni difficili che, se reiterate, possono pure apparire “patetiche”.
Diciamo spesso - e in tanti - che il mondo è bello perché è vario, ma c’è però un limite a tutto.
Ciascuno di noi, in un sistema democratico, ha ampi spazi per vivere tranquillo e per alcuni non occorrerebbe ostinarsi oltre il dovuto. E’ però vero che, spesso, barlumi di genialità trovano incomprensioni, gelosie, ostacoli, e non è detto che siano poi proprio loro ad aver torto.
La società civile nel suo insieme e nella maggior parte dei casi, per le caratteristiche insite a una scarsa scolarizzazione, si muove lentamente; necessita di tempi lunghi per capire le innovazioni, mostra resistenze ai cambiamenti, ha bisogno di essere accompagnata con strategie e didattiche rassicuranti.
Nessuno però è nemico di nessuno, ognuno potrà portare avanti le proprie tesi a condizione che le sappia anche supportare con argomenti accettabili. Magari associandole, se può, a prove inconfutabili, seppur basate su teorie filosofeggianti. Quello che spesso risalta è la mancanza di dialogo. Ciascuno esprime proprie teorie, come fosse depositario del "vero", accompagnandole con tesi approssimate che, quasi sempre, si muovono sul parziale e in maniera pure superficiale.
Negli ultimi tempi vedo crescere il numero di coloro che mettono in dubbio l’opportunità oggi del suffragio universale. Anche questo potrebbe costituire un buon argomento di dibattito.
L’efficacia della fidelizzazione di un proprio pubblico dipende molto dai contenuti delle composizioni che, nel tempo, devono in qualche modo anche corrispondere alle attese dei lettori.
Con questo non si vuol dire che bisogna scrivere in funzione delle “aspettative” degli altri e men che meno che gli argomenti debbano essere scelti in sintonia col momento e magari, per cercare di conquistare più soggetti possibili, rischiando di argomentare su questioni non conosciute, in maniera palesemente insufficiente.
La sobrietà e l’efficacia comunicativa in ogni caso caratterizzano le qualità del messaggio e, come dicevano alcuni miei saggi insegnanti, per potere spiegare o discutere su un qualunque argomento è fondamentale avere chiari i concetti e le proprie idee sulle questioni trattate.
L’esercizio della lettura in questo aiuta, ma non sempre assicura risultati certi.
La moda di adesso è l’estrema sintesi e i social ci obbligano a un minimo di caratteri o ci impongono un limite di durata.
E‘ certamente vero ed è scientificamente provato che, oltre un certo numero di parole per un testo o una particolare durata di un filmato, scema l’attenzione, cade l’interesse ma è altrettanto certo che argomentazioni di tesi e di messaggi complessi necessitano l’utilizzo di un minimo di approfondimento che talvolta non può trovare un limite in un numero prefissato e standardizzato di parole o di minuti.
In molti talk show attuali si vedono tanti proferire fiumi di domande, a sostegno delle proprie tesi, senza lasciare alle controparti interpellate o coinvolte i tempi necessari per un’adeguata e esaustiva risposta.
In televisione l’odiens di successo è legata alla raccolta, il più possibile plebiscitaria, dei quesiti di “pancia” che potrebbero essere proposti dalla massa generalizzata degli utenti, in maniera tale che ciascuno possa riconoscersi almeno in una rimostranza formulata. Le risposte alle domande – spesso artificiosamente inconcludenti – poi fanno da solo corollario negli show di maggiore consenso.
In tutte le manifestazioni sociali, ciascuno si distingue poi, positivamente o negativamente, a seconda delle capacità nel sapersi collocare sui molteplici aspetti espressivi che, nei tempi occorrenti, non necessariamente impongono esperienze di testimonianze attive o, ancor meno, di documentazioni certe.
Quante volte, assistendo a una qualunque performance, pubblica o privata che sia, sorge spontanea la considerazione sul referenziere di trovarlo “negato”, almeno sul punto in questione. Molti di noi ne hanno fortunatamente coscienza e evitano di esporsi in situazioni difficili che, se reiterate, possono pure apparire “patetiche”.
Diciamo spesso - e in tanti - che il mondo è bello perché è vario, ma c’è però un limite a tutto.
Ciascuno di noi, in un sistema democratico, ha ampi spazi per vivere tranquillo e per alcuni non occorrerebbe ostinarsi oltre il dovuto. E’ però vero che, spesso, barlumi di genialità trovano incomprensioni, gelosie, ostacoli, e non è detto che siano poi proprio loro ad aver torto.
La società civile nel suo insieme e nella maggior parte dei casi, per le caratteristiche insite a una scarsa scolarizzazione, si muove lentamente; necessita di tempi lunghi per capire le innovazioni, mostra resistenze ai cambiamenti, ha bisogno di essere accompagnata con strategie e didattiche rassicuranti.
Nessuno però è nemico di nessuno, ognuno potrà portare avanti le proprie tesi a condizione che le sappia anche supportare con argomenti accettabili. Magari associandole, se può, a prove inconfutabili, seppur basate su teorie filosofeggianti. Quello che spesso risalta è la mancanza di dialogo. Ciascuno esprime proprie teorie, come fosse depositario del "vero", accompagnandole con tesi approssimate che, quasi sempre, si muovono sul parziale e in maniera pure superficiale.
Negli ultimi tempi vedo crescere il numero di coloro che mettono in dubbio l’opportunità oggi del suffragio universale. Anche questo potrebbe costituire un buon argomento di dibattito.
© Essec
La sobrietà e l’efficacia comunicativa: quando leggo queste due belle parole provo un sussulto quasi fastidioso. Basta prendere in mano uno dei grandi Giornaloni ( co finanziati dal governo) oppure sintonizzarsi su uno dei tanti programmi tv ( detti anche talk show) per capire in maniera quasi immediata di come la sobrietà e l 'efficacia della comunicazione, camminino di pari passi passo col l'onestà intellettuale, le buona educazione, il rispetto verso il potenziare lettore e/o ascoltatore e se mi consentite anche con un pizzico di cultura. Come mai oggi per comunicare bisogna enfatizzare, offendere, denigrare e talvolta anche inventarsi storie ad hoc ( oggi le chiamano fake news) per confondere sempre più l'uomo comune, il cittadino della strada che non può dedicare molto del proprio tempo per eventuali confronti e/o approfondimenti. Si dice che apparire è meglio di essere ( oggi), ma è pur vero che nel profondo di ognuno di noi vi è un piccolo spazio sacro, chiamata coscienza....Ma, a chi interessa tutto ciò ???
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