mercoledì 6 maggio 2020

Prendi due e paghi uno ..... per poi “appanarsi” di fotografia


Martedì, al consueto appuntamento settimanale programmato con AFA, si è associato un secondo evento, promosso la sera dall’ACAF di Catania. A causa dello stato di reclusione, che ci obbliga al domicilio obbligato, tanti eventi si succedono e così ho avuto modo di partecipare a entrambi gli incontri, che si svolgevano in città diverse, ma raggiungibili attraverso conferenze sul web.

Il raduno sociale pomeridiano ha riguardato Fabio Savagnone, affermato fotografo palermitano, che ha intrattenuto l'appassionata compagine raccontando la sua trentennale attività fotografica da professionista e presentando una serie di lavori, descrivendone nel dettaglio genesi, tecniche e quant’altro possibile. Nell’appuntamento serale, invece, il catanese doc Avv. Pippo Pappalardo ha intrattenuto i soci ACAF e qualche altro ospite pure collegato narrando, con la sua ormai famosa eloquenza e preparazione critica, il genio Giacomelli; mostrando e commentando all’uopo le principali opere dell’artista, nato nel 1925 e scomparso nel novembre del 2000.

Andiamo per ordine.
Nell’intrattenimento delle diciotto, Savagnone ha esordito con le sue produzioni presentando delle foto recenti - che in qualche modo richiamavano la scuola di Luigi Ghirri - per poi via via risalire ai principali lavori della sua articolata produzione.
Come negli spettacoli che si svolgono a teatro, a un certo punto è scoccata la scintilla, c'è stato uno stacco, un cambio di passo e - in un’atmosfera coinvolgente - sono cominciate a scorrere immagini particolari che hanno immediatamente attratto l’attenzione. Non solo. L’esposizione delle singole immagini era ora accompagnata da commenti che palesavano l’entusiasmo ancora vivo dell’autore, che descriveva ogni immagine con pieno coinvolgimento, come se stesse in quel momento scattando nuovamente quelle fotografie, per una seconda volta.
Disponibile a ogni tipo di domanda, le sue risposte sono state generose e genuine; sempre coerenti a una onestà intellettuale che non sempre è presente in fotografi affermati e che non lasciava trasparire alcuna falsa modestia.
Su specifica richiesta è stato anche ben disponibile a deviare dal programma preordinato, ricercando in diretta nel suo archivio e proponendo foto di un calendario automobilistico realizzato nel 2017 per Horacio Pagani.
Nel mostrare le dodici immagini definitive per i mesi dell’anno, si è dilungato anche nel descrivere particolari, bozze e chiavi di lettura che mostravano il notevole lavoro tecnico e la fantasia creativa che lo avevano impegnato nelle varie fasi realizzative dell’intero progetto.
Alla fine, tante domande hanno riguardato i vari aspetti della carriera del fotografo, con la richiesta di ulteriori informazioni su quanto era stato illustrato e detto fino a quel momento.
Come ciliegina sulla torta si è anche reso disponibile a ospitare per una visita al suo studio, che nello specifico è un riferimento storico essendo appartenuto alla famosa famiglia di fotografi che furono i Cappellani.


Dopo una mezz’ora circa ha avuto inizio il secondo evento in quel di Catania.
Parlare di Mario Giacomelli e sentirne dire da Pippo Pappalardo non è uno spettacolo comune.
Pappalardo ha esordito intanto con una sua considerazione sull'attualità e cioè che l’esperienza Covid, che stiamo vivendo in questo nostro tempo, deve servire a tutti per potenziare la nostra umanità.
In un’ampia premessa ha giustificato la sua scelta di aver voluto trattare di Giacomelli col fatto che questo fotografo per lui ha sempre rappresentato un genio puro e anarcoide rispetto agli incasellamenti che tutti tendono a attribuire ai fotografi di ogni tempo.
Per Pappalardo - e non è il solo - Giacomelli è stato sempre un evasore, un uomo libero, ma discreto, che non ha mai ecceduto in alcuna forma di protagonismo.
Sempre attento alla vita ma, in qualche modo, anche sempre in disparte a osservare.
Pappalardo attenziona che le due cose che Mario Giacomelli ha avuto costantemente presenti e anche avuto in odio sono state la morte e la vecchiaia. Questi due elementi, infatti, albergheranno costantemente in tutte quante le sue opere, realizzate come in un congelamento miscellaneo di visioni oniriche e neorealiste.
Pappalardo ha quindi esposto, per grandi linee, la storia del Giacomelli raccontando come, con le sue fotografie, attraversa il periodo in cui l’Italia postbellica transita dall’epoca contadina a quella industriale.
Evidenzia quindi nella figura dell’artista l’indole intrinseca. Seppur nato in un cotesto umile contadino, il Mario inizia la sua avventura sotto l’influsso della scuola filosofica di Benedetto Croce alla quale fa riferimento. La sua epopea prende il volo con l’incontro con la persona che per lui diverrà il suo pigmalione: Giuseppe Cavalli (che allora capitanava il gruppo di fotografia milanese amatoriale denominato La Bussola).
"Io fotografo le mie idee, senza mai abbandonare le mie emozioni" era e fu sempre il mantra che ha accompagnato per l’intera vita Mario Giacomelli.
Ai tempi del suo primo periodo artistico, la forma costituiva tema per le diverse correnti contemporanee. Gli scatti ricercavano sempre dettagli per descrivere, tramite essi, un’emozione.
Un lirismo drammatico connota le sue produzioni e le opere realizzate costituiscono un esempio emblematico, per esemplificare i casi in cui i "messaggi" superano le realtà e attraversano il tempo.
E’ Paolo Monti, presidente de la Gondola di Venezia, che scopre per primo - ponendole in luce - le potenzialità di Giacomelli. Ciò accade attraverso la partecipazione a concorsi fotografici dove Monti fa da giurato. 
Quindi, Pappalardo inizia con un’ampia carrellata cronologica delle opere di Mario Giacomelli, che costituisce una vera e propria antologia.
Racconta ogni immagine in modo sapiente e completo, soffermandosi sui particolari, mostrando in tempo reale il lento mutamento delle produzioni fotografiche.
Purtroppo, come talvolta accade negli spettacoli più belli, a un certo momento va via la luce, metaforicamente parlando.
A metà evento il collegamento comincia a fare le bizze, la voce comincia a saltellare e si perdono del tutto le cadenze sonore di quella narrazione affascinante.
Riavvio più volte il computer, premo più volte il tasto F5, pensando di rimediare, ma la situazione non migliora, non succede nulla di buono.
Riesco a seguire la parte finale solo per prendere coscienza, qualora ce ne fosse stato bisogno,  di aver perduto l’occasione di ascoltare una esposizione fantastica su Mario Giacomelli magistralmente condotta e offerta dal grande Pippo.


Una stranezza della vita, come talvolta accade, ricollegava i due personaggi che hanno arricchito questa giornata di fotografia.
Neanche a voler farlo apposta l'esistenza di entrambi si ricollegava al personaggio Giacomelli.

Per Fabio Savagnone, Mario Giacomelli è stato il primo grande fotografo che gli ha fatto conoscere la fotografia professionale di un certo livello e il suo mondo, permettendogli di lavorare a suo stretto contatto - per ben tre mesi circa – quando Fabio era ancora fotograficamente un “pischello” alle prime armi.
L’incontro fu per Fabio decisivo per vedere da vicino il modo d'operare di un artista vero, accumulare esperienza e avere conferma della sua innata passione per la fotografia.
A diciotto anni, grazie all’introduzione del fratello maggiore bancario, che al tempo lavorava in quei luoghi, ben trent’anni addietro, Fabio ebbe l’opportunità di conoscere e frequentare anche la famosa tipografia del Mario Giacomelli che già era un affermato fotografo.
L’incontro di Pappalardo con l’artista di Senigallia successe, invece, nel periodo di punta della notorietà del fotografo, ma anche terminale della sua esistenza umana.
In entrambi i casi, sia Savagnone che Pappalardo, hanno regalato, ciascuno all’insaputa dell’altro, degli aneddoti che io in questo testo ricollego.
Il primo ebbe a raccontare di come in tipografia, durante l’elaborazione della stampa di una foto, Giacomelli vide quello che in negativo non c’era. Fabio assistette, con sua meraviglia, alla creazione estemporanea di un terzo alberello mancante in una foto di paesaggio; un albero che fu realizzato con strabiliante maestria, con dei piccoli e semplici tocchi, intervenendo direttamente sul negativo originale.
Il risultato della stampa finale, racconta Fabio, fu un’incredibile “magia” per la perfezione dettagliata di quel nuovo elemento che non esisteva prima e che non mostrava alcuna differenza rispetto agli alberelli che erano stati fissati in origine sui sali d’argento al momento dello scatto.
Il primo aneddoto di Pappalardo si muove, invece, in un ambito più spirituale e quasi mistico, a causa della grande intesa che si era da subito instaurata - e già dal primo incontro - con l’artista.
Narra Pappalardo che ebbe modo di visitare a Roma la prima mostra postuma interamente dedicata a Giacomelli. L’allestimento dell’esposizione venne fatto con una foto introduttiva dell’artista, scattata poco tempo prima che morisse e su quella foto era scritto un suo ultimo pensiero a lui noto e che diceva: “questo ricordo lo vorrei raccontare”, la stessa foto fu pure inserita nel libro fotografico annesso alla mostra.
Pappalardo racconta che nel leggere quel messaggio, in quella mostra romana, immaginò che fosse un ultimo messaggio diretto a lui, per un proposito che avevano entrambi convenuto: quello di realizzare il racconto insieme. In un incontro che sarebbe stato prossimo, ma per il quale non ci fu più il tempo.
Per chiudere, riporto ancora una chiosa raccontata da Pippo nel corso della serata.
Domandando un giorno a Ferdinando Scianna chi fosse stato per lui il più grande fotografo di tutti i tempi, ebbe come risposta: "Henry Cartier Bresson, ovviamente". Pippo gli disse: "e Mario Giacomelli allora?" La risposta del Maestro Ferdinando fu: "Che c’entra, quello è stato un Genio, ma in quanto tale non classificabile, perché fuori da ogni schema e invaso dall’immensa fantasia creativa."

Buona luce a tutti!

 © Essec

P.S.  Con il  termine "appanarsi" nel gergo palermitano s'intende significare il saziarsi di pane in maniera esagerata, ben oltre il dovuto, talmente tanto da avere uno stomaco ultra pieno e quasi difficoltà pure a respirare.


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