venerdì 31 luglio 2020

"Quando Palermo sognò di essere Woodstock"



Coinvolto dall'amico Nino Giaramidaro, mi ritrovo casualmente in un contesto che in qualche modo dovrebbe pure interessarmi. La presentazione in pubblico di un libro che rievoca la cronaca di un evento pop accaduto a Palermo negli anni settanta è un’occasione per ricordare una manifestazione che ha visto la città, quasi casualmente, essere per alcuni giorni la capitale della musica mondiale.
Nel 1970 si radunarono, infatti, a Palermo tanti musicisti e cantanti fra i più noti del tempo.
Nella mia memoria riaffiorano labili ricordi, non certo legati alla partecipazione come spettatore, ma al clamore che ebbe la manifestazione nella cronaca locale e dai fiumi di parole che fluirono nella carta stampata del periodo; con ricchi articoli del L’Ora e del Giornale di Sicilia, in particolare.
La partecipazione dei tanti protagonisti che, a vario titolo, furono direttamente coinvolti nell’avvincente performace musicale, oggi faceva da ampio corollario alla presentazione del saggio editoriale di Sergio Buonadonna.
Quest’ultimo, dal suo trespolo, dopo una sintetica introduzione, ebbe a lasciare ampio spazio a quei palermitani teenagers di allora che avevano ancora oggi delle cose da raccontare.
L’età media del pubblico in platea, salvo qualche eccezione, era in sintonia con quanto si andava a narrare. Triste? Non saprei.
Personaggi della Palermo di quel tempo, ora rileggevano delle pagine del libro di Buonadonna riesumando dalla loro memoria ricordi variegati, di ospitalità e di soggiorni atipici di quegli artisti inconsueti, magari rievocando aneddoti che forse anche loro avevano intanto smarrito.
I personaggi della Palermo bene, come è ampiamente risaputo, hanno sempre qualcosa da raccontare.
I salotti buoni di ogni città vivono spesso, infatti, frequentazioni esclusive di personaggi in voga e si ritrovano spesso anche a fare da mecenati a iniziative culturali alle quali, come sempre e in ogni epoca,  rimane tristemente sorda la politica.
Qualcuno ebbe anche delle belle parole per ricordare cantanti locali quasi esordienti che ebbero poi modo di affermarsi nel panorama canoro nazionale e non solo.
Dai contributi apportati dai convenuti venne anche fuori come l’input di origine nella nascita dei gruppi jazz a Palermo sia da ricollegare proprio alla manifestazione Palermo Pop 70, in particolare quella dell’ormai storico “The Brass Group”.
I fatti, che rievocavano accadimenti di cinquanta anni prima, per qualche attimo fecero riaffiorare fiumi di ricordi e soprattutto costatare, guardandosi intorno, lo stato della attualità decadente e non solo fisica, legata al tempo incollato in ciascuno dei presenti.
Come consolazione – e non cosa da poco - rimaneva il fatto di ritrovarsi ancora fra gli spettatori in platea o sul palco e di poter ancora presenziare, per ascoltare la lettura narrante di quelle tante storie.

Buona luce a tutti!

 © Essec




sabato 11 luglio 2020

“Tagli” è il titolo della nuova mostra fotografica di Carmelo Bongiorno




Ancora una volta la sollecitazione ricevuta da Pippo a partecipare all’inaugurazione di una mostra al Centro Internazionale di Fotografia, curato da Letizia Battaglia, si è rivelata felice e mi ha pure fornito l’opportunità di fare la conoscenza diretta con l’autore.
L’evento costituiva la prima iniziativa espositiva messa in opera dal Centro dopo il blocco delle attività culturali causato dal Covid.
Le oltre duecento persone intervenute al vernissage testimoniavano, oltre all’interesse per la mostra, già ampiamente pubblicizzata, la voglia dei tanti a voler intervenire.
Tra i molti partecipanti, oltre a Mario Zito, assessore alla cultura del Comune di Palermo fresco di nomina, c’era anche Melo Minnella e tanti fotografi e fotoamatori appassionati.
L’evento presentato dal catanese Carmelo Bongiorno, intitolato “Tagli”, articolava una serie di opere nell’ambito dei due ambienti espositivi principali del Centro ubicato nel complesso dei Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo.
Le immagini andavano a costituire principalmente un insieme di dittici in bianco e nero, pienamente conformi con la più ampia concettualizzazione del titolo che l'autore aveva assegnato al progetto.
I diversi racconti proposti, in qualche caso chiaramente allusivi o in altri solo lievemente accennati, concedevano sempre e comunque ad ogni osservatore ampi margini per poter contemplare le storie, personalizzandole - o nel caso completandole - secondo il proprio vissuto e le esperienze maturate.
Per la lettura complessiva delle fotografie, il libro realizzato dalla casa editrice “Postcart”, contestualmente in vendita, ha aiutato molto a meglio focalizzare in un unicum le tante concettualizzazioni - evidenti o metafisiche - che, apparentemente confuse in diversi tasselli assemblati rappresentativi di storie personali, costituivano inequivocabilmente delle pagine di un diario che l'autore aveva avuto necessità di scrivere attraverso immagini.
In qualche modo, per gli appassionati di letture di portfolio, la mostra costituiva anche un insieme di lavori tipici appartenenti al genere.
Bongiorno, con i suoi dittici, ha voluto molto probabilmente mostrare molto del suo vero modo di essere e raccontare particolari sue esperienze sedimentate nel tempo, presentando a tal fine esempi sia di tagli per lui definitivi che di altri che, forse, gli apparirebbero ancora sanabili. Per questi particolari aspetti, la visione di ciascun dittico o di parte di essi accosterebbe l’intera operazione a un prodotto prossimo alla “fotografia partecipativa”.
L’autore invia, infatti, messaggi a tanti destinatari, in qualche caso non più raggiungibili o ad altri che potrebbero ancora ricucire i tagli denunciati.
Del resto in tutte le immagini, le separazioni o divaricazioni, si appalesano con ogni evidenza, ma mostrando anche consistenze, materie, volumi, ombre, luci che alimentano anche l'esistenza di margini per una possibile ricomposizione, in taluni casi, ancora perseguibile.
Fratture forse recuperabili, sono mostrate molto chiaramente in una foto radiografica che documenta una ricostruzione di un tallone attraverso una protesi metallica e che, consciamente nel dittico, l'autore associa alla striscia di negativi che rappresentano immagini di un gruppo di famiglia.
In altri dittici c’è l’evidente voglia impossibile di voler fermare il tempo o quella di tornare indietro, in qualche caso fino voler ripercorrere la stagione più verde dell’essere bambini.
Tante pagine di desideri, memorie e esperienze si confondono, lasciando però tangibili le molteplici storie e i tanti desideri, raggiungibili forse o ormai destinati all’utopia.
Le foto in verticale colorate allocate poi in certi punti, appaiono come delle vere e proprie sottolineature, volutamente apposte dall’autore per evidenziare il pessimismo latente che è presente in tanti tagli.
Chi si trova a contemplare i puzzle esposti non può di certo rimanere indifferente, perché le separazioni proposte, magari, anche se in forma diversa, costituiscono una raccolta analoga che ciascuno osservatore conserva nel proprio intimo. Con ferite spesso completamente rimarginate ma ancora estremamente sensibili e non soltanto al tatto.
In conclusione si potrebbe dire che il risultato del progetto appare coerente con le soluzioni prefissate e, direi pure, che il messaggio – al di là delle apparenze - non risulta pessimista o tantomeno negativo, poiché tende a mostrare essenzialmente in maniera oggettiva lo stato delle umani cose.
Non ci sarebbe, a mio modo di vedere, altro da aggiungere. Credo che dissertare ancora potrebbe risultare, in questo caso, solo ridondante.
Non sfugge comunque la linea che distingue le due immagini e che in ogni dittico costituisce la sintesi della profonda sofferenza rappresentata in ogni pagina. Il suo colore rosso, del resto, non porrebbe dubbi sul vero significato attribuito sistematicamente dal fotografo a ciascuna separazione.
La mostra, perfettamente curata in ogni suo dettaglio dall'Arvis di Palermo e principalmente nelle persone di Pippo Consoli e Giovanni Nastasi, appare gradevolissima nell'estetica espositiva che pure intriga e induce a soffermarsi lungamente sulle opere.
Il Centro Internazionale di Fotografia dei Cantieri Culturali alla Zisa, in questo, si e dimostrata poi la location più appropriata e l'autorevole presenza e intervento all'inaugurazione anche di Letizia Battaglia ha rappresentato in tutto ciò la classica ciliegina che viene apposta su una torta ben confezionata e riuscita.
Buona luce a tutti!

© Essec

P.S. Per visionare alcune delle opere esposte accedere al link: https://vimeo.com/437539642 - Il video del vernissage e lo slide show della mostra è accessibile attraverso:  https://youtu.be/_jmJbKJarCs