lunedì 16 gennaio 2023
Reminiscenze di Ario. Un suo selfie fatto con le parole e un saluto a forma d'ombrello
Sarà stata conseguenza di quella telefonata inattesa, ma Ario quella notte riavvolse il suo film; rivivendo nella sua narrazione quello che era stato in sintesi il suo percorso lavorativo, constatando come in molti punti veniva a riflettersi negli argomenti di conversazione telefonica intrattenuta con l'amico lontano.
Per Ario un punto di orientamento nella vita era sempre stato quello di cercare, ove possibile, di attorniarsi di soggetti migliori; intendendo per tali non necessariamente individui professionalmente più preparati, ma dotati di una intelligenza frizzante, non comune e di una assoluta onestà intellettuale.
Parallelamente, fondamentale era risultata per lui l’arte d’imparare a saper osservare con curiosità; nonché coltivare la disciplina dell’ascolto, per recepire sempre nuovi insegnamenti dalle opportunità che immancabilmente si presentavano in tutte le esperienze vissute.
L’interesse all’apprendimento molto spesso però è negativamente condizionato dalla pochezza di chi insegna.
In campo scolastico, ad esempio, inadeguatezze talvolta producono un rifiuto automatico allo studio delle materie, così come le eccellenze di taluni professori catturano, viceversa, le attenzioni e diventano come delle calamite che convincono a seguirli.
In quest’ultimo aspetto Ario non credeva di essere stato un allievo originale e pensava, anzi, che molti altri, come lui, avevano vissuto repulsioni o innamoramenti dottrinali in relazione alle capacità e alle preparazioni riscontrate nel corpo docenti incrociato in specifici tempi di riferimento.
Oltre al prof d’italiano delle scuole medie, punti fondamentali nella sua formazione erano stati due professori dell’Istituto tecnico. Un primo, avuto per i cinque anni del corso, un secondo insegnante di ragioneria nell’ultimo triennio specialistico.
L’insegnamento scolastico in realtà, come risaputo, è sempre efficace e lascia un segno profondo quando oltrepassa la materia teorica d’apprendimento, quando cioè l'insegnante riesce ad allargare il campo e ad inserire anche la formazione umana nell’allievo. Sviluppando a tutto tondo, quindi, il suo mandato, vissuto più che quale forma di semplice impiego, come una vera e propria missione.
Per questi, comunque, l’obiettivo non è mai quello di plasmare l’alunno - con applicazione di metodi teologici - a propria immagine e somiglianza, ma quello di formare l'allievo, insegnandogli - oltre alla materia di studio - l'applicazione pratica dell’attenzione.
Educando, pertanto, a saper cogliere i collegamenti logici e a imparare a comprenderne i concetti, traendo aspetti essenziali e più importanti da ogni cosa: in altri termini impegnandosi a dare un profilo all’uomo di domani, inducendo a impegnarsi nel cercare di capire sempre e a pensare in autonomia (come si usa dire: usando la propria testa).
L’attenzione e il coinvolgimento in un tale processo di formazione scolastico, una volta che sono stati provati, si assimilano nel profondo ed entrano nel proprio modo di essere. Costituiscono quasi delle vere e proprie dipendenze irrinunciabili che segnano e che condizioneranno quello che sarà in futuro il percorso e l'identità d'adulti.
Per chi ha avuto tali esperienze può accadere, quindi, che tutto quello che si viene a valutare scialbo possa poi essere vissuto come banalità e che, nel perpetuare dei cicli apatici e ripetitivi, si possano creare demotivazioni; assuefacendosi lentamente all'indifferenza nello svolgimento di compiti quotidiani insipidi che, non di rado, innesca talvonta anche forme d'involontaria depressione.
Nella sua esperienza giovanile, l’assenza di rigidi obblighi nel breve percorso universitario, consentì ad Ario di vivere l’occasione di libertà che gli si era aperta positivamente.
L’autogestione nello studio di materie da lui prescelte nel piano di studi (che gli stimolavano interesse) venne quasi a costituire la prosecuzione naturale del suo fortunato percorso scolastico vissuto nelle scuole superiori.
In un breve lasso di tempo, però, come rovescio della medaglia, l’ingresso traumatico nel mondo banca comportò una quasi immediata apatia esistenziale; essendo venuta a spegnere ogni ambizione a voler ricercare nuovi stimoli e veri interessi. Più volte un collega amico poi venne a ripetergli di non abbandonare gli studi perchè, a suo dire, anche i tavolini laureati in quell'ambiente erano destinati a fare una rapida carriera.
Il lavoro da cassiere era visto da Ario come molto assomigliante a vera forma di pura e snervante detenzione. Per quel lavoro, non occorreva pensare, non c’erano occasioni per alcun confronto, occorreva contare (1/50-1/50 metodo inculcato e in uso per contare fino a cento), riconoscere il falso e “infascettare” soldi.
Quell’attività frustrante era come l'andare a vivere nei luoghi famelici privi di prospettive e ascoltare quasi una voce di sottofondo che continuamente, come in quel passo infernale del poema di Dante, veniva a ciclicamente a recitare: perdete ogni speranza o voi ch’entrate.
Nella sua rivisitazione ritornò pure a galla lo squallore vissuto durante la sua prima esperienza di verifiche ispettive interne subita; controlli svoltisi con rituali stupidi, anche per come erano concepiti, regolati ed eseguiti; al riguardo, gli tornò in mente anche l'allucinante interrogatorio finale cui fu sottoposto nella qualità d'impiego svolto come semplice aiutante di cassa, ultima ruota del carro di quel compartimento stagno derelitto (rileggendo poi il bollettino valutativo che lo riguardava scoprì che i tre ispettori avevano scritto su di lui grosso modo, come indicazione a futuri esaminatori per avanzamenti di carriera: "soggetto su coi non potrà farsi affidamento"; bollato per sempre, quindi).
Ma talvolta tutti i mali non vengono per nuocere e così, grazie al desiderio represso e ciclicamente frustrato di poter rientrare nella residenza d'origine, Ario si accinse a sperimentare - per la prima volta - una scelta di quelle da “pioniere”, che avrebbe poi ripetuto in seguito.
L’opportunità concessagli, di poter passare senza vincoli (ma con un salto mortale a rischio) da un ruolo all’altro (cosa prima di allora interdetta), gli consentì di uscire dal ruolo di cassa e approdare al ruolo amministrativo della banca.
Chi è stato addentro alla materia può capire molto bene quello che ciò andava a comportare, specie nell’ambito di una istituzione polivalente, che annoverava al proprio interno strutturale atipico tanti compiti variegati, specifici e, peraltro, non sempre strettamente interdipendenti.
Con quel passaggio, ad Ario si vennero ad aprire quindi vaste praterie e tanti campi verdi inesplorati erano ora disponibili per poter apprendere delle cose nuove e poter spaziare fuori da quello che era considerato, nello stesso ambiente e senza mezzi termini, un vero e proprio “ghetto”.
L’uscita dagli oscuri antri del comparto cassa veniva ora ad offrire, infatti, ad Ario l'opportunità per mettere a frutto i principi di contabilità studiati, di conoscere molteplici aspetti segretariali più propriamente amministrativi, di poter districarsi nei meandri articolati della spesa pubblica che erano annessi al servizio di tesoreria svolta per conto dello Stato, di scoprire i diversi compiti segreti di vigilanza cartolare e ispettiva (insiti ai controlli istituzionali operati sulle altre banche).
La sua sete di conoscere, da sempre innata, poteva ora riabbeverarsi, perché il ruolo nuovo gli consentiva di implementare il campo d'azione e di respirare aria nuova e anche .... aria di montagna.
In breve ebbe modo di diversificare e, cambiando continuamente assegnazioni, con lo svolgimento di compiti sempre diversi.
Si veniva a verificare, quindi, quasi un disgelamento nella sua mente, come fosse un risveglio da letargo e con la possibilità di poter riassumere quella “droga conoscitiva” che aveva avuto modo di scoprire grazie ai suoi migliori docenti. Un qualcosa che il suo cervello reclamava e che era mancata per tanto tempo.
Per farla breve, Ario ebbe tante opportunità di girare molto ed essere impiegato in tutti i possibili utilizzi della banca ma, una volta visitate professionalmente tutte quante le cappelle, ebbe modo di scoprire che questo gioco del "diversificare e mettere a frutto" che lo aveva tanto affascinato e aiutato a rinascere non poteva però funzionare in eterno.
Lo stimolo di poter innalzare sempre più l’asticella, una volta raggiunta l'altezza più alta a lui possibile (nel caso, con l'integrazione stabile al corpo ispettivo di vigilanza nazionale), aveva messo a frutto la miscellanea massima conseguibile, avendo quasi completato tutte quante le conoscenze che nel tempo erano da apprendere.
Ma Ario era pure conscio e sapeva bene che ogni interesse si riesce a mantenere solo a condizione che le varie tessere esperienziali risultino sempre funzionali e diverse. La curiosità persisteva, infatti, fin quando rispondeva a logiche che consentivano di completare il disegno del suo puzzle professionale che, da parziale, si viene via via a completare; e solo riuscendo a incasellare ogni volta un ulteriore piccolo elemento innovativo che va a integrare.
Con il suo rientro nella sede di origine Ario aveva, quindi, avuto modo di verificare come, a un certo punto della carriera, può non aver molto senso ritrovarsi a scegliere di ripercorrere sentieri che riportano all’indietro; non poteva del resto suscitargli fascino o interesse un camminamento da gambero e spesso ritrovarsi a riproporre e ripetere, in maniera meccanica e delle stesse solite cose sciatte, in una operatività non stimolante che non richiedeva particolari attenzioni. Quindi: spunte di documenti da poi portare alla firma, verifiche di tabulati apponendo aste, routinarie attestazioni prive di originalità creativa e tanto altro ancora; anche con confronti con superiori che in non rare volte risultavano a lui duri di comprendonio. Non rare volte Ario si era ritrovato a volare basso insomma e, senza offesa per nessuno, sforzandosi nell’applicarsi in lavori sostanzialmente da semplice ciclo produttivo di catena di montaggio, ad avvitare e verificare la tenuta dei bulloni, come un metalmeccanico qualunque.
La verità che ne deriva è quella che, una volta disvelate e assimilati i riflessi di luce delle molteplici facce che costituiscono un prisma, non si può trovare alcuna attrazione o provare un minimo coinvolgimento nell’essere chiamati a osservare e disquisire su disegni fortemente elementari, statici, privi di complessità, assemblati genericamente in elementi apparentemente distinti, ma seguendo schemi standardizzati, per lo più piatti e privi di colore.
L’istituzione in cui aveva avuto la fortuna di operare e spaziare aveva consentito ad Ario di apprendere e crescere nel venire a conoscere e gestire moltissimi aspetti e cose.
Aveva avuto l'opportunità di girare metaforicamente e, un pò come si racconta nel poema, come un Virgilio, di poter conoscere e visitare nell'interno i tanti gironi d’inferno, purgatorio e paradiso che, con le rispettive caratteristiche, di frequente coestistono nell'universo di qualsiasi ambiente lavorativo.
Durante il percorso i molteplici personaggi incontrati, se negativi Ario li aveva fin da subito "(S)cancellati", mentre continuava tuttora a conservare stima e bellissimi ricordi per coloro (non rari) che aveva subito riconosciuto come delle figure eccelse, per grandi tratti simili e accostabili ai suoi grandi maestri.
La carriera lavorativa di Ario venne a chiudersi, per quanto intuibile, prematuramente con delle dimissioni volontarie che suscitarono impressione.
Aveva inconsciamente così anticipato la maturità dei tempi, evitando anche di partecipare e assistere alla lenta progressiva decadenza di quella che era stata la sua "Grande e Mitica Istituzione".
L’abbassamento del livello professionale personale d'impiego non era stato, in ogni caso, il vero motivo che lo portò a prendere la traumatica netta decisione, ma una intervennero una serie di concause che - venutesi a sommare - andarono a creare un insopportabile grumo.
Nel tempo, aveva ampiamente avuto modo di sperimentare la presenza costante di quella pericolosa "autoreferenzialità vischiosa" che impregnava indifferentemente tutto l'insieme di quell'ambiente.
La compresenza poi di una direzione tronfia e la sussistenza di ingerenze di soggetti cooptati d'autorialità impropria e scorretta, operata da personaggi che definire squallidi sarebbe benevolo, furono di fatto le reali motivazioni che alla fine generarono l'accelerazione devastante di quella famosa goccia che infine fa traboccare il vaso.
In conclusione, lungi dall'idea di spurare nel piatto dove Ario s'era abbondantemente abbeverato (culturalmente e economicamente) e che gli aveva offerto tante opportunità e fortune di vita, pur con tante nostalgie, risultò necessario - e quasi vitale; e anche qui, come la necessità di dover assumere la sua droga, l'esigenza di rivolgere un "saluto disintossicante" - a forma d'ombrello ma con tanto calore - ai tanti suoi ex "colleghi quaquaraquà" che aveva avuto modo di frequentare e conoscere, anche d’alto rango.
Triste era per ora Ario il venire ad apprendere e, quindi a constatare, come ancora certe problematiche permanessero e fossero rimaste paradossalmente (e per molti aspetti) quasi immutate; ripresentandosi inopinatamente nella vita lavorativa di altri colleghi più giovani che, come lui, erano ampiamente dotati di preparazione e ricchi di variegate esperienze.
Soggetti che secondo criteri di meritocrazia, magari avrebbero dovuto attendersi specifici ambiti qualificati d'assegnazione ma che, in quanto giudicati "troppo indipendenti", all'apparenza umili, sensibili e, quindi, poco ambiziosi o gestibili, restavano emerginati, trascurati e ritenuti non adeguati per specifici e standardizzati “giusti utilizzi”. La solita menata, insomma!
Nel "Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa di parla di una verità tutta italiana e che, sostanzialmente, si mantiene intatta: "tutto cambia perché nulla cambi". Ossia: se tutto cambia esteriormente, tutto rimane com'è; se tutto rimane com'è, tutto può sempre cambiare interiormente.
Buona luce a tutti!
© ESSEC
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