domenica 3 dicembre 2023

“Ricordando Ivo’” di Francesco Cito

È morto Ivo Saglietti, 75 anni, premio World press foto nel 1992 nella categoria “Daily life, stories” con un servizio su un'epidemia di colera in Perù, e nel 1999 “menzione d'onore” allo stesso concorso per un reportage sul Kosovo.
Ci sono personaggi che hanno il dono di saper rendere gradevoli anche ricordi che altrimenti potrebbero costituire solo momenti di tristezze.
Con lo scritto riportato di seguito - che ho copiato da Facebook - il Francesco Cito fotografo viene a raccontare a tutti noi il suo amico Ivo.
Un testo che rievoca anche avvenimenti e situazioni belliche di grande attualita' e che sembrano quasi destinati a non trovare mai una fine.
Un ricordo che rappresenta l'intima raccolta di fotografie, composte non di pixel ma fatte di parole, che realizzano un ritratto delicato, ricco di molte tonalita' sottolineate da tanta stima.
Un regalo all'amico scomparso e come lo stesso Cito conclude "come se fotografasse sé stesso"

Buona luce a tutti!


© ESSEC

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"Ricordando Ivo

Se ne andato in punta di piedi questa mattina alle otto, come suo solito, senza rumore, senza un saluto.
È partito per questo ennesimo viaggio, il suo viaggio verso una meta ignota, al di là dei confini conosciuti, ma di cui ha voluto mantenere il segreto, geloso del suo lavoro come sempre guardingo nel raccontare i suoi progetti, di cui anche questo ultimo, il più impegnativo, preparato con cura e in silenzio già da lungo tempo.
Ci eravamo incontrati la prima volta verso gli inizi degli anni 80 nella stazione di Porta Nuova a Torino.
Un incontro casuale, io avevo appena lasciato la redazione di Infinito, il magazine dello Editore Vivalda, che si apprestava a pubblicare il mio Afghanistan. Lui tornava ad Alba dove viveva, anche se il suo mondo era l’America latina, e il suo amore la Cuba di Fidel Castro.
Fu la sua quasi una visione celestiale l’aver visto Fidel mentre attraversava in auto il Malecòn, il lungomare dell’Havana. Questa apparizione solenne del leader di “Hasta la victoria siempre, Patria o muerte”, era tante volte motivo di conversazione tra uno spaghetto carbonara o spaghettino alle cozze di cui andava ghiotto e qualche bicchiere di vino in più, quando si trascorreva il tempo insieme seduti alla mia tavola in via Leoncavallo 17, a Milano.
Io avevo lasciato Londra definitivamente, lui il sud America. Le nostre conversazioni difficilmente vertevano sugli aspetti lavorativi, anche se era ancora il tempo bello della fotografia, quella di reportage, la fotografia tanto ricercata dai giornali e soprattutto dai settimanali, disposti ad investire e inviarci in giro per il mondo.
Ciò nonostante si fantasticava in altri progetti, di cui uno dei quali, aprire un ristorante a Managua nel Nicaragua della guerriglia Sandinista. Un pranzo o una cena a soli due dollari e cinquanta con l’aragosta. Era una sua proposta, conosceva quei luoghi, e la mia obiezione, pratica era: A quei prezzi, quando riusciremo a mettere i soldi da parte per tornare a casa?
Era la nostra un’amicizia sincera, ma anche conflittuale.
Non sempre le nostre idee combaciavano, il suo carattere spigoloso e schivo emergeva quando i contrasti su faccende che il più delle volte e in linea teorica manco ci appartenevano, ci hanno per qualche ragione senza una logica precisa, allontanati l’uno dall’altro. Eravamo entrambi reduci da altre vite e aggiungerei differenti affetti e, forse sono stati questi affetti mancati ad entrambi in forma diversa a renderci troppo uguali.
Erano i tabù delle nostre vite che immancabilmente ci siamo sempre trascinati lungo il percorso delle nostre esistenze. Il nostro guardarci in uno specchio, le nostre immagini riflesse si dissolvevano in un'unica sofferta esistenza.
L’aver perso la madre in giovane età, credo sia stata per lui una ferita insanabile. Era il tabù della vita, il non voler riconoscere noi stessi ad averci allontanati.
Ci siamo rincontrati in Palestina durante uno dei tanti drammi di quella martoriata terra.
Era a Bethlehem con Paolo Pelligrin durante l’assedio alle città palestinesi nel 2002, a seguito della seconda intifada.
Qualche giorno dopo Paolo era altrove e io lui e l’amico di lunga data John Tordai, riuscimmo attraverso i campi, ad entrare a Jenin assediata dell’esercito israeliano. Il campo profughi di Jenin era stato raso a suolo per rappresaglia. Durante i combattimenti fra i miliziani palestinesi e l’esercito di Tzahal, furono uccisi 23 soldati della stella di Davide.
Tempo dopo insieme a Ramallah, per recarci sul luogo dove il carissimo amico Raffaele Ciriello il 13 marzo 2002, fu falciato da sei proiettili di grosso calibro sparati dalla mitragliatrice di un carrarmato e ucciso all’istante. Le autorità israeliane hanno sempre negato l’evidenza anche se la morte di Raffaele fu ripresa in diretta dall’operatore Rai che accompagnava l’inviato Amedeo Ricucci.
Qualche tempo fa Durante il foto Lux di Lucca, al termine di una lunga giornata di incontri, ci siamo ritrovati seduti nella magnifica piazza con sullo sfondo la Chiesa di San Michele.
Un’occasione per ritrovarci e dissipare quei contrasti celati per troppo tempo, e ancora ad Orbetello lo scorso anno, in cui erano esposte le nostre foto “Zone di Conflitto” nello stesso spazio, uno di fronte all’altro.
Mi aveva mostrato altresì le foto del suo progetto sui Balcani.
Guardando le tue foto mi fai ritornare il desiderio di tornare a fotografare fu il mio commento.
Gli si illuminarono gli occhi, credo non si aspettasse da me un simile commento, ma sono convinto che in quel momento sia stato felice nel sentirmi esprimere ciò che veramente credevo e sentivo di dovergli dire.
Non era la mia una gratuita smanceria, era dettato dal cuore nel vedere la bellezza ritratta attraverso i suoi occhi.
Schivo com’era, mi ha sempre tenuto nascosto il suo male, al telefono e ancora pochi giorni addietro mi rispondeva sempre di star bene, ma sapevo che così non era, ero informato del suo dramma, che forse più che la malattia, è stato capire di non poter proseguire nel suo progetto, di non poter più trasmettere quella bellezza da me tanto amata e anche invidiata, anche se voglio credere che il suo viaggio è appena iniziato.
Io lo ricorderò sempre su quell’angolo dove i palestinesi avevano eretto un cippo per ricordare Raffaele Ciriello, il fotografo italiano sgradito ai soldati israeliani e che di quel cippo ne hanno fatto scempio.
Ivo fotografava quel muro ormai annerito e imbrattato, sul quale era impressa indelebile la memoria dell’amico gentile quale era Raffaele, ed è stato in quel momento in cui Ivo apparve ai miei occhi in tutta la sua sofferta umanità.
Era come se fotografasse sé stesso.
Buon viaggio Ivo, con un grande abbraccio Francesco"

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