domenica 4 gennaio 2009

La Bugia - Elogio della menzogna come gioco dell'intelligenza

Forse la bugia è decisamente più utile alla vita di quanto non lo sia la verità. E in ogni caso non c'è dubbio che chi sa mentire ha capacità cognitive decisamente più ampie di chi sa dire solo la verità. Senza possibilità di mentire infine l'umanità non avrebbe mai conosciuto ciò di cui si vanta: la cultura, che è una forma di non rassegnazione al reale, e quindi un'ideazione di mondi non veri perché non reali, anche se poi sono i soli capaci di incidere e modificare la realtà. Me ne sono convinto leggendo due libri: uno di Andrea Tagliapietre, Filosofia della bugia. Figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale (Bruno Mondadori, pagg. 464, lire 48.000), un capolavoro destinato a diventare un classico sull'argomento. L'altro di Maria Bettetini, Breve storia della bugia. Da Ulisse a Pinocchio (Raffaello Cortina, pagg. 160, lire 22.000), dove i giochi tra verità e menzogna appaiono, come peraltro sono, indiscernibili. Per prima cosa occorre dire che la bugia non è una prerogativa esclusiva degli uomini. Anche gli animali mentono, e mentono ogni volta che, nella lotta per la vita, invece di attaccare, si nascondono. Il fatto di nascondersi è forse la sorgente e il modello di ogni menzogna, perché priva l'avversario delle informazioni necessarie per orientare la sua condotta. Quando il predatore, infatti, non percepisce più la sua vittima, diventa incapace di inseguirla. E questo vale sia per gli animali sia per i più sofisticati 007 che, invece di affrontare l'avversario, si sottraggono alla sua vista e attendono che questi, deluso, se ne vada. Se la vita animale è un gioco di attacco e difesa, quando non si hanno abbastanza forze per sopravvivere o per vincere non resta che il ricorso alla menzogna che, modificando lo stato di informazione dell'avversario, mette fuori gioco la sua forza rendendola semplicemente inutile. L'inganno appartiene quindi alla logica del vivente ed è rintracciabile sia nel mondo vegetale, dove ad esempio l'orchidea africana imita l'aspetto di fiori ricchi di nettare per attirare insetti e farfalle, sia nel mondo animale, dove infiniti sono gli stratagemmi mimetici, sia nel mondo umano dove, per raggiungere un obiettivo, si preferisce all'uso della forza quello della menzogna. L'Iliade, il primo grande romanzo dell'Occidente, è la descrizione di questo passaggio che porta dall'uso brutale della forza all'uso sofisticato dell'intelligenza la cui prima espressione è l'inganno. Nietzsche, grande ammiratore della grecità, coglie immediatamente questo passaggio, e senza esitazione dice: "L'intelletto, come mezzo per conservare l'individuo, spiega le sue forze principali nella finzione". Ma come si fa a dire che l'inganno è la forma più sofisticata di intelligenza? Perché, come dice anche quell'insospettabile moralista che è Platone: "Mentire coscientemente e volutamente ha più valore che dire involontariamente la verità"? Perché chi dice la verità conosce solo quella, mentre chi mente conosce la verità e la sua alterazione. E alterare la verità non è cosa facile. Occorre mettersi nei panni dell'altro, interpretare rapidamente le sue attese, studiare i suoi comportamenti ed evitare nel contempo di fare apparire troppo trasparenti i propri. Se questo non è un gioco di intelligenza? E infatti non c'è pedagogista che non indichi nel gioco dei bambini l'esercizio più idoneo per lo sviluppo dell'intelligenza. Quel che i pedagogisti non dicono è che il gioco, ogni gioco, da quello dei cuccioli a quello dei bambini, non è altro che una serie di mosse per ingannare l'avversario, è un "far finta che" o, come si dice nel gioco del calcio, è un "fare la finta", accennare una condotta per poi intraprenderne un'altra. Non a caso la parola latina che sta per "giocare" (ludere) è la stessa di "il-ludere" e "in-lusio" significa letteralmente "entrare in gioco", in pratica: dire bugie. Senza bugie molte specie, e soprattutto quella umana, che è la meno fornita di istinti e di difese naturali, difficilmente avrebbero potuto sopravvivere, al punto che gli etologi concordano, ma anche gli antropologi ne potrebbero convenire, che i "falsi segnali" sono sempre stati più vantaggiosi di quelli veridici per la conservazione e la selezione della specie. L'inganno dunque appartiene alla logica del vivente, anzi molto spesso è la condizione della sua vita. Ma siccome per ingannare bisogna essere almeno in due, la bugia non è solo il primo segnale dell'intelligenza, ma anche il primo veicolo della socializzazione. Chi dice il vero, infatti, è esonerato dall'entrare nella mente dell'altro, mentre chi mente non può esonerarsi da questo lavoro di intima penetrazione su cui si fonda ogni relazione sociale. Inoltre chi mente deve conoscere le aspettative di chi ascolta per poter anticipare ciò che l'altro vorrebbe sentirsi dire o per lo meno ciò che è già disposto a credere. Tutto ciò esige una rappresentazione della mente dell'altro oltre che un piano per manipolarla. I leader hanno questa virtù e per questo si differenziano dai gregari. Le informazioni che diffondono con i mezzi a loro disposizione non hanno lo scopo di istruire gli altri, ma di istruire se stessi sulle intenzioni degli altri per potere, al momento giusto, sottrarre loro ogni autonomia e ogni libertà di movimento. I sondaggi di opinione non hanno lo scopo di sondare l'opinione della gente per poi venire incontro alle loro richieste, ma hanno lo scopo di sondare l'efficacia delle persuasioni che si è riusciti a diffondere con i mezzi di informazione. E qui siamo arrivati alla televisione con le sue fiction (le sue "finzioni") così tanto seguite dal pubblico. Ma dalla televisione possiamo passare a Internet dove, come ci ricorda Maria Bettetini, il reale sconfina nel virtuale, che non riproduce esattamente il reale, come ben sa chi cerca l'amore in rete. Accanto a loro e prima di loro c'è il cinema, il teatro, l'arte, la letteratura il cui scopo, come scrive Oscar Wilde, è di "narrare delle cose non vere", perché è proprio della cultura inventare la realtà e non sottomettersi, come invece vorrebbero i sostenitori del "sano realismo", a cui manca qualsiasi forma di immaginazione per ipotizzare che la realtà potrebbe anche essere diversa da quella che è. Ma per immaginare, per mentire, per ideare scenari diversi da quelli esistenti occorre uno sdoppiamento della coscienza capace di far convivere, come in una scena di teatro, la condizione mentale dell'ingannatore e dell'ingannato. Queste condizioni mentali possono anche riunificarsi come nel caso dell'autoinganno che Cartesio, ben prima della psicoanalisi, aveva descritto ne Le passioni dell'anima, dove l'idraulica degli impulsi, degli stimoli e delle passioni poteva far credere alla mente che le cose sono come l'ordine pulsionale desidera che siano. Tirata all'osso, la psicoanalisi non è altro che lo svelamento dell'autoinganno, quindi l'apertura della coscienza che si rende conto, come diceva Freud, di "non esser padrona in casa propria", perché la gran quantità dei pensieri che elabora sono razionalizzazione di desideri inconsci. Lo stesso diceva Marx a proposito dell'ideologia: "Le idee dominanti sono le idee della classe dominante". E lo stesso diceva Nietzsche quando, nella Genealogia della morale, indicava i vizi sottesi alle virtù e mascherati dalle virtù. Il fatto che Marx, Freud e Nietzsche siano stati bollati da Giovanni Paolo II come "filosofi del sospetto" significa solo che la cultura religiosa preferisce le coscienze opache, appollaiate nella "verità" che giunge dall'alto, e non le coscienze articolate che vivono la drammaticità di ospitare ad un tempo la "verità" e la consapevolezza del suo essere "finzione". Qui Nietzsche ha scritto pagine essenziali in quel breve saggio giovanile che ha per titolo Verità e menzogna in senso extramorale. Che significa "extramorale"? Che il problema della verità e della menzogna non va confinato e sepolto in ambito etico, ma visualizzato a partire da ciò che torna utile e vantaggioso per la vita. Qui la "verità" cede la sua maschera e mostra il suo vero volto, che non è quello di dire il vero, ma di offrire delle "stabilità" a tutti quegli spiriti gregari che non saprebbero come vivere senza punti fermi. Alla base della verità c'è quindi quella stessa volontà di vita che abbiamo scoperto essere la sorgente di tutte le menzogne. Chi mente ingaggia una guerra con l'altro, vuole avere di più a spese dell'altro. Chi non regge il conflitto si accorda con l'altro e chiama questo accordo, questo patto, questa convenienza reciproca, per esistere in società come gregge, "verità". A questo patto si vincola moralmente, per cui è etico dire la verità (cioè stare ai patti che riducono i conflitti), perché altrimenti non si avrebbe altra forza o capacità per vivere. Come scrive Andrea Tagliapietra nel suo saggio magistrale: "Alla scuola della bugia la tradizione occidentale impara la nozione di volontà". Volontà di avere di più, che è alla base della menzogna; e volontà di avere quel tanto che l'accordo con gli altri concede, che è alla base della verità. Resta allora da concludere che la vera contrapposizione non è tra vero e falso sul registro della "conoscenza", o della "morale", ma tra vantaggioso e svantaggioso sul registro della "volontà", essendo la verità null'altro che l'espressione della volontà dei deboli che non avrebbero risorse sufficienti per vivere se non si accordassero su punti stabili e fermi e non si impegnassero moralmente a tenerli stabili e fermi. Così Nietzsche conclude la parabola dell'Occidente: non capovolgendo i valori come i più credono, ma mostrando che anche "la verità è una forma di inganno", l'inganno condiviso da quanti, non sapendo mentire: "Mentono secondo una salda convenzione, come si conviene a una moltitudine, in uno stile vincolante per tutti". Ma se anche la verità è una forma di inganno, allora cade l'opposizione tra menzogna e verità, allo stesso modo della bestemmia che, se consapevolmente proferita, lungi dal contrapporsi alla devozione, è invocazione e preghiera nei confronti di un Dio più vero e più giusto. Tolta la contrapposizione, ciò che resta in gioco è solo la "volontà di vita" che si serve sia della menzogna, sia della verità per riuscire a vivere. E perciò Nietzsche, togliendo la maschera alla "verità" promossa dalla filosofia dell'Occidente, può dire "Sono ancora in attesa di un filosofo medico, nel senso eccezionale della parola - inteso al problema della salute collettiva di un popolo, di un'epoca, di una razza, dell'umanità -, che abbia in futuro il coraggio di portare al culmine il mio sospetto e di osare questa affermazione: in ogni filosofare non si è trattato per nulla, fino ad oggi, di verità, ma di qualcos'altro, come salute, avvenire, sviluppo, potenza, vita".

Umberto Galimberti

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