martedì 31 marzo 2009

Aneddoti

Dopo aver assistito ad un concerto diretto da Claudio Abbado, Castro ha chiesto incuriosito al maestro come mai si fosse rivolto “con maggiore insistenza verso i suonatori di sinistra piuttosto che a quelli di destra”.

A un giornalista che le chiedeva un giudizio sui ministri del suo governo, Margaret Thatcher rispose: “Non m’importa quanto a lungo parlino: mi basta che facciano quello che dico io”.

“La gente non ha memoria” fu detto, un giorno, a Dumas Figlio. “Per fortuna!” rispose lo scrittore. “Se il mondo non dimenticasse, non gli resterebbe che finire, perché credo veramente che sarebbe già stato detto tutto”.

“Non bisogna confondere lo statista con il politico” affermò il presidente francese Pompidou. “Il primo è un politico che si pone al servizio del suo Paese. L’altro è uno statista che pone il Paese al suo servizio”.


E' la teorìa che determina ciò che osserviamo (Albert Einstein)

La questione è, contemporaneamente, più semplice e più complessa e per spiegare quello che intendo dire prenderò a prestito una famosa frase di Albert Einstein. La frase, se non ricordo male, suona più o meno così: è la teorìa che determina ciò che osserviamo. Cosa significa? Significa che se abbiamo una teoria, una teoria che ci piace, che ci soddisfa, che ci sembra buona, tendiamo ad esaminare i fatti attraverso quella teoria. Piuttosto che osservare obbiettivamente tutti i dati disponibili, cerchiamo solo conferme a quella teoria. La nostra stessa percezione è fortemente influenzata, determinata dalla teoria che abbiamo scelto. Appunto, come diceva Einstein, che parlava di scienza, la teoria determina ciò che riusciamo ad osservare. In altri termini: vediamo, sentiamo, percepiamo quello che conferma la nostra teoria e, semplicemente, tralasciamo tutto il resto. C'è un detto cinese che esprime in forma diversa lo stesso concetto. Dicono i cinesi: due terzi di quello che vediamo, è dietro i nostri occhi. Tutti noi abbiamo fatto qualche esperienza di come la nostra stessa percezione sia determinata da ciò, che per le più varie ragioni è nella nostra testa o, come direbbero i cinesi, dietro i nostri occhi. "Avete mai comprato una nuova macchina e improvvisamente, mentre la guidate ne notate decine dello stesso tipo, sulle strade ? Dove erano prima ? Filtri percettivi, li chiamano gli psicologi. Parafrasando Einstein, che suppongo si starà rivoltando nella tomba per questa mia intrusione, potremmo dire: è l'ipotesi investigativa che determina quello che gli inquirenti osservano. Ma non solo. Determina quello che cercano, determina il modo in cui agiscono con i testimoni, determina le domande che fanno. Determina il modo in cui scrivono i verbali. Senza che tutto questo abbia in alcun modo a che fare con la malafede. Lasciatemelo ripetere. Tutto quello di cui sto parlando può produrre errori nelle indagini, e il processo serve per correggerli, ma non ha niente a che fare con la malafede. Semmai, in un caso come questo, ci troviamo di fronte ad un eccesso di buona fede. Dunque torniamo a quello che stavamo dicendo qualche minuto fa. Gli investigatori vogliono risolvere questo caso orribile. Vogliono farlo per le migliori ragioni e con le migliori intenzioni. Vogliono farlo per ansia di giustizia. Vogliono farlo presto, perché l'autore di un fatto così orribile rimanga libero, e in grado di nuocere ancora, per il minor tempo possibile. In questo stato d'animo scoprono una pista e individuano un possibile sospetto. Attenzione. Non fantasie o ipotesi pretestuose. Era una buona pista e gli elementi di sospetto a carico di Abdou Thiam erano plausibili. Sulla base di questa buona pista gli inquirenti si lanciano alla caccia di quello che considerano il probabile colpevole. Da quel momento in poi i carabinieri ed il pubblico ministero hanno una teoria che, come ci insegna Einstein, determinerà quello che osserveranno, come agiranno con i testimoni, cosa chiederanno loro, come e addirittura cosa verbalizzeranno. In perfetta buona fede e per ansia di giustizia. Voi capite adesso il perché di quelle domande del difensore al maresciallo dei carabinieri, sulle modalità di verbalizzazione. Perché se io verbalizzo in forma integrale, cioè con la registrazione, la stenotipia eccetera, non esiste il problema di capire cosa è successo durante l'audizione. E tutto registrato, domande, risposte, pause, tutto, e basta rileggersi la trascrizione o anche ascoltare la registrazione. Se l'investigatore ha influenzato involontariamente il testimone, è possibile verificarlo semplicemente leggendo. E poi ognuno fa le sue valutazioni. Se il verbale è riassuntivo, questo controllo è impossibile. E se il verbale riassuntivo riguarda proprio il primo contatto fra gli investigatori e il teste, il rischio di inquinamenti involontari delle dichiarazioni e degli stessi ricordi del testimone, è altissimo. Volete un piccolo esempio di come questo può accadere ? Io sono l'investigatore e mi trovo davanti a quello che potrebbe essere un teste importante, forse un teste decisivo. Ho dei fortissimi sospetti su un soggetto, Abdou Thiam. Chiedo al teste: conosci Abdou Thiam? Il nome non mi dice niente, se mi fate vedere qualche foto. Ecco la foto, lo conosci? Sì, sì. È uno di quei negri che si fermano spesso davanti al bar. Che danno un sacco di fastidio. Lo hai visto passare davanti al bar il giorno della scomparsa del bambino? Pausa del testimone, che ci pensa su. Gli investigatori sentono di essere vicini alla soluzione. Pensaci bene, il pomeriggio della scomparsa del bambino. È una settimana fa. Mi sembra di sì. Sì, deve essere passato. Mi sembra che era proprio lui. A questo punto il maresciallo detta a verbale, perché vuole fissare per iscritto, prima che il testimone cambi idea. Il che purtroppo succede spesso. Detta a verbale, all'appuntato che scrive al computer. Detta a verbale e usa il suo linguaggio burocratico, non le espressioni usate dal testimone. Presi dalle mie carte la copia del primo verbale di Renna e lessi. Nel verbale di cui stiamo parlando si trovano espressioni del tipo: "sono coadiuvato, nella conduzione del prefato esercizio commerciale..." eccetera. Ovviamente non sono espressioni del teste Renna. Ovviamente non sappiamo quali domande siano state rivolte al Renna. Non lo sappiamo perché viene utilizzata la burocratica, comoda formula: a domanda risponde. Quale domanda? Quali domande sono state rivolte al testimone. Sono domande che lo hanno influenzato ? Sono domande che hanno suggerito le risposte ? Sono domande che hanno costruito, involontariamente, un ricordo ? Non ci vuole la malafede. Basta avere una teoria da confermare, il nostro cervello fa tutto da solo, percependo, rielaborando, verbalizzando in modo da adattare i fatti alla teoria. Creando, anzi direi: assemblando il falso ricordo. Dico falso non perché il Renna abbia inventato qualcosa o i carabinieri gli abbiano dolosamente suggerito una storia falsa da raccontare. Semplicemente nel corso della prima audizione i ricordi del Renna sono stati riprogrammati alla luce della teoria investigativa che era stata scelta e per la quale non si cercavano verifiche obbiettive, ma solo conferme. Sono stati riprogrammati e come ciò sia avvenuto in concreto non lo potremo sapere mai più. Perché l'interrogatorio di questo signore non è stato registrato ed è stato solo verbalizzato. Nel modo che abbiamo visto. Volete sapere quanto è possibile influenzare la risposta di un testimone e addirittura modificare il suo ricordo, semplicemente porgendo la domanda in un modo o in un altro? Lasciate che vi racconti di un'altra ricerca, italiana questa volta. A tre gruppi di studenti di psicologia, non bambini, non sprovveduti, ma studenti di psicologia che sapevano di essere sottoposti ad un test scientifico, fu mostrato un filmato. In questo filmato si vedeva una signora che usciva da un supermercato con un carrello; alle spalle della signora si avvicinava un giovane che afferrava una borsetta posta sul carrello e poi scappava. Ai tre gruppi di studenti, con domande diverse, fu chiesto di raccontare cosa avevano visto. Al primo gruppo fu posta questa domanda: "il ladro ha urtato la signora?. Al secondo gruppo: "in che modo l'aggressore ha spinto la signora?. Agli studenti del terzo gruppo fu semplicemente chiesto di raccontare cosa avevano visto. Inutile dire che nel filmato non c'era nessun urto e nessuna spinta. Io credo che voi abbiate già intuito quale fu il risultato dell'esperimento. Fra gli studenti del terzo gruppo, quello cui era stato chiesto semplicemente di raccontare i fatti, solo il 10%, o poco più parlò di un urto o comunque di un contatto fisico fra vittima e aggressore. Fra gli studenti del primo gruppo solo il 20% parlò di un urto. Fra gli studenti del secondo gruppo, quello cui era stata posta la domanda più fortemente suggestiva, ci fu quasi un 70% di risposte in cui si parlava dell'inesistente urto. Come nel caso dell'esperimento dei bambini poi, tutti quelli che parlavano dell'urto arricchivano il racconto di particolari sulle modalità, la violenza, la direzione di questo inesistente urto. Bisogna aggiungere altro? Dobbiamo sprecare altre parole per spiegare quanto il modo di condurre un interrogatorio può influire non solo sulle risposte, ma sulla stessa ricostruzione dei ricordi dell'interrogato? Non credo. Abbiamo compreso quanto sia vitale sapere quali domande, e in che sequenza, e con che ritmo, e con che tono, siano state poste ad un testimone, nella sua deposizione più importante, cioè la prima. In questo caso questa informazione vitale ci viene negata, perché nel verbale dei carabinieri c'è semplicemente scritto: a domanda risponde. A domanda risponde. Quale domanda? Quali domande?. Alzai un poco la voce. Non faceva parte delle mie abitudini, ma i giudici cominciavano ad essere stanchi e invece mi stavo avvicinando al punto cruciale. Dovevo tenerli svegli. Abbiamo detto che se non sappiamo qual è la domanda non possiamo dire se la risposta è genuina o è stata influenzata, o addirittura manipolata. Non lo potremo dire mai più perché di quell'esame, di quel primo esame del teste Renna, ci resta solo questo succinto verbale riassuntivo. Possiamo solo fare delle congetture. Ma nel farle non possiamo trascurare un fatto. Che si è verificato davanti ai nostri occhi, in udienza, in questo processo. E quel fatto è il controesame di Renna. Nel corso del quale abbiamo appreso una serie di cose molto importanti per valutare l'attendibilità di questo teste. Che non significa: valutare se il teste mente o dice la sua soggettiva verità. Significa verificare qual è il grado di rispondenza del suo racconto al reale svolgimento dei fatti. Sintetizzo queste cose. Al signor Renna non piacciono gli extracomunitari e vorrebbe che le forze dell'ordine si occupassero di loro. Il signor Renna non conosce poi così bene Abdou Thiam se, avendo sottomano ben due sue fotografie, e trovandosi nella stessa aula di udienza, non riesce a riconoscerlo. Il signor Renna, infine e conseguentemente, non è molto fisionomista e non gli risulta facile distinguere fra un cittadino extracomunitario ed un altro. Dal suo punto di vista sono tutti negri, per adoperare testualmente la sua risposta ad una domanda del difensore. Stavo per lanciare uno degli attacchi decisivi, e allora mi fermai di nuovo e lasciai ai giudici almeno una ventina di secondi. Dovevano chiedersi per quale motivo avessi smesso di parlare e darmi tutta l'attenzione di cui erano capaci, dopo tante ore di udienza. Ripresi con un tono di voce più alto. Doveva essere chiaro che eravamo arrivati al punto. E sulle dichiarazioni di questo signore, su queste dichiarazioni di origine incerta, per tutto quello che abbiamo detto a proposito del primo verbale davanti ai carabinieri, il pubblico ministero chiede che voi applichiate la pena del carcere a vita. Ricordate che per applicare non l'ergastolo, ma anche un solo giorno di carcere voi non dovete utilizzare i criteri della verosimiglianza, non dovete utilizzare i criteri della probabilità. Ammesso che in questo caso e con riferimento al contenuto della deposizione di Renna si possa parlare di verosimiglianza o di probabilità. Voi dovete applicare i criteri della certezza. Certezza! Si può parlare di certezza nella ricostruzione di un fatto, quando ogni altra ipotesi alternativa è implausibile e quindi va respinta. È questo il caso? È implausibile pensare, per esempio, che il Renna abbia visto qualcun altro, non Abdou Thiam, quel pomeriggio, visto che per lui i negri sono tutti uguali? È implausibile pensare che, in qualche modo, questo testimone si sia sbagliato? Questo testimone che, badate, fallisce clamorosamente, sotto i vostri occhi il riconoscimento fotografico. Non può esser si sbagliato? Potete affidare serenamente tutta la vostra decisione, e tutta la vita di un uomo sulle dichiarazioni di un soggetto la cui fallibilità si è manifestata sotto i vostri occhi?. Pausa. Sette, otto secondi. E attenzione. Anche se, contro ogni evidenza, voleste ritenere che il racconto di Renna è attendibile, questo non significherebbe la prova della responsabilità dell'imputato. Perché gli altri indizi a suo carico sono poco più che carta straccia. Passai ad esaminare le dichiarazioni dei due senegalesi, i risultati della perquisizione e tutti gli altri elementi di prova. Parlai dei tabulati. Anche a voler accettare che si parlasse di verosimiglianza, dissi, la ricostruzione del pubblico ministero comunque non reggeva. Anzi era quasi grottesca. Il pubblico ministero diceva che l'imputato era rientrato da Napoli in preda a un raptus e si era diretto a Capitolo con la folle determinazione di sequestrare, violentare, uccidere il piccolo Francesco ? Era pazzo, allora. Perché solo la pazzia poteva giustificare un comportamento così assurdo. E allora perché non era stato sottoposto a nessuna perizia psichiatrica ? Se per spiegare i suoi comportamenti era necessario rinviare alla malattia mentale, allora questa malattia andava accertata. Diversamente quel riferimento rimaneva solo un tentativo di suggestionare la corte. Dissi tutte queste cose ma senza parlare troppo. I giudici erano stanchi e io ero convinto che al momento di decidere avrebbero discusso soprattutto della testimonianza di Renna. Allora, come si dice, mi avviai a concludere. Concludere dal punto in cui si è cominciato da l'idea del senso compiuto e rende più forte una argomentazione. Credo. Verosimiglianza o verità, signori giudici. Probabilità o certezza. La scelta non dovrebbe essere difficile. Invece lo è. Perché se da un lato c'è la percezione, noi tutti la condividiamo, ne sono certo, che questo processo non ha fornito nessuna risposta, dall'altro lato c'è il senso di sgomento che deriva dall'idea che un crimine orrendo possa rimanere impunito, senza un autore. È un'idea insopportabile ed è un'idea che porta con sé un rischio gravissimo. In quel momento rientrò in aula Cervellati. Si sedette al suo posto e appoggiò la testa alla mano destra, usandola come una specie di barriera. Fra me e lui. Lo sguardo era ostentatamente diretto in un punto dell'aula, in alto a sinistra. Dove non c'era nulla. Era la posizione più simile al darmi le spalle che fosse fisicamente consentita dalla disposizione dei banchi, paralleli, e delle sedie. Pensai che era uno stronzo e andai avanti. Il rischio è quello di cercare di liberarci da questa angoscia trovando non il colpevole, ma un colpevole. Uno qualunque. Uno che ha avuto la sfortuna di rimanere impigliato nel processo. Senza, avere, fatto, niente. Lasciatemelo ripetere: senza, avere, fatto, niente. Qualcuno potrebbe non condividere il tono categorico della mia affermazione. Mi sta bene. È legittimo avere dubbi. Io sono il difensore e, per molti motivi, sono convinto dell'innocenza del mio assistito. Voi avete il diritto di non condividere questa certezza. Avete diritto ai vostri dubbi. Avete il diritto di pensare che Abdou Thiam potrebbe essere colpevole, nonostante quello che dice il suo avvocato. Potrebbe essere colpevole. Nonostante l'assurdità della ricostruzione proposta dalla pubblica accusa, avete diritto di pensare che l'imputato potrebbe essere colpevole. Potrebbe. Modo condizionale. Le sentenze però non si scrivono, non si possono scrivere, al modo condizionale. Si scrivono all'indicativo, affermando certezze. Certezze. Potete fare affermazioni di certezza ? Potete dire che certamente il teste Renna non si è sbagliato ? Potete dire che alla fine di questo processo non esiste un dubbio ragionevole? Se potete dire tutto questo, allora condannate Abdou Thiam. Avevo alzato la voce e mi resi conto che non stavo recitando, questa volta. Condannatelo all'ergastolo, e a niente di meno. Se potete dire che non esiste nemmeno un dubbio, se siete assolutamente certi, voi dovete condannare quest'uomo a rimanere in carcere per sempre. Dovete avere il coraggio di farlo. Molto coraggio. Per un tempo indefinito rimase tutto sospeso. Fino a quando non sentii di nuovo la mia voce. Bassa ora, e incrinata. Se però non avete questa certezza, allora vi serve ancora più coraggio. Per non soffocare i vostri dubbi nel nome della giustizia sommaria, e quindi per assolvere, ci vorrà un enorme coraggio. Sono sicuro che lo avrete. Grazie di avermi ascoltato.

Gianrico Carofiglio (Testimone Inconsapevole - Ed. Sellerio)

Scempio delle ville di Bagheria

La senia o noria oggi in disuso, era costituita da un sistema di secchielli inseriti in un nastro a catena che ruotavano con un congegno meccanico, a trazione animale (di solito asino o mulo) a mezzo di una manovella girata a mano per tirare dai pozzi l'acqua per l'irrigazione dei campi", leggo nel libro di Oreste Girgenti su Bagheria, il solo libro organico che racconti la storia della cittadina. Un uomo onesto questo Girgenti, meticoloso e molto amante della sua terra. Anche se si indovina, dietro le sue ricerche accurate, il terrore di offendere i notabili del paese, che siano sindaci, o prelati o nobili o "emeriti professori". Un libro accurato e rassicurante, di assoluto ossequio alle "autorità". Nel libro compare la data del 1985 ma immagino che si tratti di una ristampa perchè sembra uscito dai cassetti di uno studio dell'Ottocento. Anche le fotografie sembrano a cavallo del secolo, con il loro sobrio bianco e nero, e mostrano una Bagheria ormai inesistente, commovente nelle sue sfilate di scolaresche dei Convitto Manzoni, o negli scorci di ville viste da lontano, sprofondate in mezzo agli ulivi che sono stati tagliati per lo meno da mezzo secolo. Niente ci viene detto, da parte dell'onesto Girgenti, sullo scempio delle ville di Bagheria che pure lui ama e ammira. Tutto è cominciato con un esproprio voluto dal Comune di Bagheria verso la metà degli "anni '50", scrive Francesco Alliata, uno dei pochi fra i miei parenti che ha dimostrato una coscienza civica, assieme alla giovane nipote Vittoria. "Non fu possibile da parte di mia zia Caterina e di mio fratello Giuseppe di convincere il Comune a usare un'altra area vicina." Il pretesto era la costruzione di una scuola elementare. Ma chiaramente si trattava di una scusa perchè la scuola si sarebbe benissimo potuta costruire un poco più in là, mentre le terre vincolate che contornavano villa Valguarnera facevano gola a chi voleva costruire in pieno centro di Bagheria. Uno dei preziosi "polmoni verdi", uno degli spazi più deliziosamente arredati dai giardinieri di tre secoli fa è stato così brutalmente "ripulito" dei suoi alberi secolari, delle sue fontane, dei suoi vialetti, delle sue statue, delle sue balaustre in arenaria, per fare spazio a una orribile scuola che non ha nessuna vera necessità di stare dove sta. Ma si trattava di una prima mossa, apparentemente nata da una considerazione di bene comune; chi si sarebbe opposto alla costruzione di una scuola pubblica? per poi fare seguire le villette e i palazzi. Che la zona fosse vincolata da precise leggi per la difesa del paesaggio, dei monumenti e del verde pubblico non preoccupa nessuno. All'esproprio segue la costruzione di una strada e poi di un'altra strada, piùlarga e infine ecco le lottizzazioni selvagge. Solo nel '65, a scempio avvenuto, per volontà del Partito comunista di Bagheria viene costituita una Commissione d'inchiesta presieduta dall'onorevole Giuseppe Speciale. Essa, dopo avere indagato con scrupolo per mesi, compila una serie di relazioni davvero angosciate e allarmanti in cui si denunciano, con nomi e cognomi, coloro che hanno contribuito allo sfacelo del primo e del secondo polmone verde di Bagheria per favorire quelli che a Roma si chiamano "palazzinari", con la complicità a volte sfacciata, a volte sorniona e nascosta degli uomini del governo locale: sindaci, consiglieri comunali, assessori, tecnici eccetera. "L'Amministrazione comunale", scrive Rosario La Duca, uno dei più attenti osservatori delle cose siciliane, "ha volutamente ignorato gli strumenti di legge che erano predisposti nel tempo, ha favorito la speculazione privata, ha dato un eclatante esempio di malcostume politico e di corruzione [...] Dopo villa Butera, il massacro urbanistico di Bagheria prosegue senza pietà... l'Amministrazione oggi, con questa inchiesta, viene chiamata a rispondere di fronte alla magistratura di gravi imputazioni che emergono dai risultati dei lavori di una commissione d'inchiesta scrupolosa e vigile." Qualcuno ha accusato Francesco Aliata di essere coinvolto anche lui e di avere partecipato, attraverso sua zia e sua cugina Marianna Alliata, alla svendita del "polmone verde". "Ma se anche i miei congiunti furono colpevoli", risponde saviamente lui, "era comunque dovere di una Amministrazione comunale seria e responsabile impedirlo in quanto custode ed esecutore per legge dei vincoli imposti dallo Stàto. Ho avuto fra le mani, grazie all'amicizia di una delle persone più oneste, amabili e intelligenti di Bagheria, il professor Antonio Morreale, appassionato studioso della storia di Sicilia, le relazioni della Commissione di inchiesta sull'attività dell'Assessorato ai Lavori Pubblici del Comune di Bagheria fatte nel 1965. A leggere queste carte si rimane stupefatti dalla sfacciata arroganza, dalla sicurezza dell'impunità che accompagna le azioni di questi amministratori comunali senza scrupoli e senza vergogna. La manipolazione più grande dei terreni vincolati di Bagheria", raccontano i commissari, "avviene nel luglio del '63." Il personaggio che sbuca appena qualche pagina più avanti e che continuerà ad apparire dietro ogni contratto ambiguo, dietro ogni progetto, ogni lottizzazione è un altro, un certo ingegner Nicolò Giammanco. Un protagonista oscuro, minaccioso, tenace, che riesce, con le buone e con le cattive, a costringere tutti al suo volere. Ha qualcosa del demone, ma di un demone "meschino", molto simile al personaggio segreto e infelice di Sologub. Vengono interrogati i consiglieri comunali, i sindaci, ma nessuno sa niente, nè ricorda niente. Altri si rifiutano perfino di andare a rispondere. Si barricano in casa, si danno malati, o sono "partiti". Uno dei segretari del Comune dichiara candidamente "di non ricordare di avere mai partecipato a una riunione della Giunta nel corso della quale si sarebbe discusso del prezzo concordato per l'area su cui sorge la scuola, nonché sull'ampliamento della zona da edificare al di là del limite segnato dal piano di fabbricazione. E soggiunge che probabilmente di questi argomenti si parlava dopo che gli argomenti regolarmente iscritti all'ordine del giorno erano stati esauriti ed egli di conseguenza si allontanava". Ma dove andava? nel corridoio "a fumare una sigaretta"? o si chiudeva nel cesso aspettando che finissero di manomettere il piano approvato dai consiglieri, oppure se ne andava a casa? Questo non è detto nelle carte dei commissari. "Il fatto", dichiara il segretario comunale "avveniva spesso e ricordo che tutte le volte che in Giunta venivano discussi argomenti relativi ai Lavori Pubblici la Giunta chiamava ad assistervi un funzionario dell'Ufficio Tecnico e che questo funzionario era quasi sempre l'ingegner Giammanco." Il sindaco, a sua volta interrogato, dice di non saperne niente. Tutti cascano dalle nuvole quasi che la Giunta fosse fatta di soli corpi vuoti, i cui cervelli e le cui memorie rimanevano fuori della porta. Ci sono dei fatti, fra quelli raccontati dalla Commissione, che sfiorano il grottesco e farebbero ridere se non ci fosse da piangere per i risultati che ne sono seguiti, di impoverimento ai danni dei cittadini di Bagheria, di rovina delle bellezze e quindi delle ricchezze del paese, di distruzioni architettoniche e ambientali. Il Comune, tanto per dirne una, concede a un dato momento il permesso di costruire un liceo, in piena zona vincolata, a una certa ditta Barone. La ditta comincia a buttare giù alberi antichi. Scava e butta cemento. Dopo qualche mese il Comune "si accorge" che i lavori non possono più andare avanti perchè la zona è vincolata e per legge non vi si possono costruire edifici né pubblici nè privati. La ditta Barone giustamente chiede i danni. I magistrati danno ragione alla ditta e il Comune è chiamato a pagare poichè, "pur conoscendo e dovendo conoscere il vincolo di cui sopra, contrattò con il Barone in condizioni tali da rendere quanto meno prevedibile l'intervento delle competenti autorità per il rispetto del vincolo con la conseguente necessità di sospendere i lavori già iniziati e di rimaneggiare il progetto". Ma tutti sanno che è un incidente di percorso, non grave, che si troverà un rimedio alla pretesa della giustizia. Qualche intimidazione, qualche erogazione di denaro nero e i lavori ricominciano ben presto. In piena zona vincolata, senza il permesso della Soprintendenza vengono piantate le fondamenta di mostruose costruzioni a dieci piani. E i progetti sono regolarmente approvati da Assessori, Commissioni edili, Uffici Tecnici del Comune. In ognuno di questi progetti si trova però lo zampino dell'ingegner Giammanco. La Commissione addirittura ha scoperto che "da un sopralluogo effettuato nella zona risulta che una parte della strada è recintata con la proprietà dell'ingegner Nicolò Giammanco". Il quale Giammanco intanto è diventato amico della principessa Alliata e con lei progetta un'altra sede di lotti "a monte della via Seconda malgrado il vincolo esistente dalla stessa Alliata portato a conoscenza del Comune in una lettera del 24.8.57". La Commissione scopre che spesso i permessi dell’Ufficio Tecnico, che è diretto dall’ingegner Trovato, vengono scritti di pugno dall'ingegner Giammanco e poi firmati dal suo capo. Inoltre "tutte le pratiche risultano incomplete: il rilascio delle licenze è irregolare, mancano i visti della Soprintendenza, manca il deposito in Prefettura dei calcoli in C.A. [Cemento Armato], mancano tracce delle riunioni regolari della C.E. [Commissione Edilizia], manca il pagamento dei contributi dovuti per la Cassa di Provvidenza Ingegneri e Architetti". Tutti i contratti con privati risultano essere stati scritti alla presenza del notaio Di Liberto Di Chiara di Bagheria, "assistito dal professionista Nicolò Giammanco che è indicato dagli stessi come "consulente tecnico"'. Quindi un controllo totale della situazione speculativa delle aree vincolate. "Alcuni di questi lotti risultano inoltre acquistati dallo stesso ingegner Giammanco." La Soprintendenza messa all'erta dalle relazioni della Commissione (ma possibile che non se ne fosse accorta prima?), dichiara che non darà mai il permesso di costruire nelle zone vincolate. Ma nessuno evidentemente tiene conto delle dichiarazioni della Soprintendenza, poichè le "Amministrazioni comunali proprio in quel periodo autorizzavano la nuova lottizzazione sulla strada Seconda e lasciavano che si costruissero nuovi palazzi in zona verde. Insomma le relazioni della Commissione come le parole della Soprintendenza sono rimaste lettera morta. I lavori hanno continuato a imperversare, e i due polmoni verdi di Bagheria sono stati "mangiati in due bocconi". Al loro posto abbiamo una scuola elementare tirata su in un deserto di terra e fango, un liceo che non è mai stato finito e, per di più, un mare di case nuove, affastellate in dispregio di ogni regola architettonica e urbanistica. Alla fine, quando le carte della Commissione sono state rese pubbliche e se ne è parlato anche sui giornali, anzichè punire i colpevoli e riparare (nei limiti del possibile) ai danni fatti, si è risolto tutto con una sanatoria, un condono che mandava assolti gli speculatori con una piccola multa. Per la precisione: il sinor Nicolò Giammanco è stato prosciolto nel '73 dalle accuse di interessi privati in atti di ufficio e falsità ideologica per amnistia e per insufficienza di prove e, nel '75, avendo lui ricorso in Appello, il suo caso è stato giudicato "inammissibile" e il signor Giammanco è stato condannato a pagare le spese di giudizio. In questo modo le straordinarie ville settecentesche di Bagheria, che sono fra le più preziose ricchezze della Sicilia, sono state private dei loro contorni, rimanendo li, in mezzo alle case, come testimoni intirizziti e malmenati di un passato che si ha fretta di distruggere. Basti pensare ai famosi mostri in pietra arenaria della villa Palagonia, tanto originali e stravaganti da avere chiamato, ad ammirarli, a fotografarli, a scriverne, gente da tutto il mondo. Ma mentre una volta questi capolavori del grottesco barocco si stagliavano elegantemente contro il cielo, oggi sono come inghiottiti da una cortina di case, di appartamenti arrampicati gli uni sugli altri disordinatamente. Ho chiesto al professor Nino Morreale se oggi l'atmosfera a Bagheria è cambiata. E lui mi ha risposto: Finchè un magistrato non si deciderà a studiare a fondo gli atti dell'amministrazione di Bagheria, e finchè tutto rimane affidato alla buona volontà dei pochi cittadini che si prendono questa briga, non ci sono molte possibilità di cambiamento.

Dacia Maraini (Bagheria)

IL PRINCIPE RIVOLUZIONARIO

"parla il cameriere"
Quando tiene i discorsi, è vero,
è rivoluzionario, lo ammetto:
ma quando non parla cambia aspetto,
diventa di tutt'altro umore.

È a casa che avviene il cambiamento:
povero me, se manco di rispetto!
o se nel dargli un foglio non lo metto
come vuole lui, nel vassoio d'argento!

Ti basti questo: quando va in campagna
a tenere le conferenze nei comizi
sua moglie la chiama: la compagna.

La compagna? Benissimo: ma allora
perché con le persone di servizio
continua a chiamarla: la mia signora?

Trilussa

E una madonna che sorride .....?

Pare che in Italia, solo nell'ultimo secolo, ci siano state ben quattrocento Madonne piangenti e non una, dico una, che sorride. Perchè mai tutto questo? Perchè la fede tende alla tragedia e rifugge dalla commedia. Oppure perchè è molto più difficile far ridere una statua che farla piangere. Questi fenomeni avvengono quasi sempre in provincia e nei periodi d'instabilità politica. Evidentemente i santi, dall'altro mondo, seguono con molta attenzione le vicende politiche riportate dai nostri quotidiani e dai telegiornali e, non potendo intervenire in diretta, si esprimono come possono, facendo cioè piangere le loro immagini terrestri. Lo scettico non è un uomo che non crede, ma semplicemente un individuo che mette in dubbio la realtà, giacchè per lui il "credere" e il "non credere" sono sullo stesso piano emotivo. I responsi scientifici, se condotti in modo non rigoroso, lo lasciano del tutto indifferente Che il sangue o che le lacrime di una qualsiasi effigie sacra siano vere, o che le statue non nascondano cunicoli interni o altri marchingegni, per lui non ha alcuna importanza: si tratta sempre di riscontri privi di significato. Per testimoniare l'avvenuto miracolo, i reperti dovrebbero essere prelevati contemporaneamente al miracolo. In altre parole, lo scettico mette in dubbio che il sangue sottoposto a esame sia lo stesso di quello versato dalla statua e teme che la statua sia stata cambiata un attimo prima di essere esaminata ai raggi x. D'altra parte, come dargli torto? Un qualsiasi prestigiatore di mezza tacca sarebbe in grado di operare trucchi del genere. Ma allora, così ragionando, non dovrei neanche credere al miracolo di San Gennaro. E infatti non ci credo: il fatto che a sciogliere il sangue ci siano ben undici santi, di cui dieci a Napoli e uno nelle vicinanze (per la cronaca San Pantaleone), mi ha sempre fatto nascere qualche dubbio.
La stupidità è il motore del mondo. I politici, gli uomini di marketing, i religiosi, i personaggi dello spettacolo campano tutti, chi più chi meno, slla stupidità umana. Che cosa è, infatti, la pubblicità se non una forma di plagio collettivo? E su cosa si basa l'audience di un programma televisivo se non sul cattivo gusto della maggioranza? E fino a che punto sono sinceri i discorsi dei politici nel periodo elettorale? Perchè poi tutto questo non faccia ridere le statue, resterà sempre un mistero.

Luciano De Crescenzo (Il Caffè sospeso: saggezza quotidiana in piccoli sorsi - Mondadori)