venerdì 25 settembre 2009

Bologna


Vado in piazza dice il cittadino. Ed è inteso che parte per il centro, dove c'è il Palazzo del Podestà, quello dei Notai, quello dove fu tenuto prigioniero re Enzo, la fontana del Nettuno e San Petronio, il tempio dedicato al protettore.

Bologna è stata chiamata in tanti modi: la dotta, per via dell'università, la grassa, per la cucina, la galante, perché ci si trovarono bene tutti i viaggiatori, come Boccaccio, o il dissoluto marchese di Sade, e gli studenti che vi arrivano da ogni parte; io preferirei: la umana, per la sua gente, laboriosa e tollerante, epicurea e devota della Beata Vergine di San Luca. Bologna è bella scriveva Giosue Carducci.

Gli italiani non la ammirano quanto merita: ardita, fantastica nella sua architettura trecentesca e quattrocentesca. Con i suoi edifici rossi, con i 45 chilometri di portici costruiti per la comodità degli uomini, per proteggerli dalla pioggia e dal sole, per permettergli di camminare e discutere.

San Petronio, si legge nei manuali, è una delle più alte creazioni del l'architettura gotica in Italia. Davanti alla gradinata, di solito, preparano i palchi. Ce ne è quasi sempre uno.

Bologna è tollerante e ama ascoltare anche quelli che la pensano a modo loro.

E’ molto cambiata, ma la sua leggenda resiste ancora: spariti i vecchi caffè, come il San Pietro, e parecchie osterie; il Resto del Carlino è finito ben oltre le mura, quasi in campagna; la squadra di calcio non fa più tremare il mondo; l'Arena del Sole, dove recitarono i grandi, da Zacconi a Petrolini, aspetta di ritornare teatro: il lunedì pomeriggio si dava uno spettacolo per i barbieri, le lavandaie, gli arrotini; rappresentavano Amleto, La morte civile, Il processo dei veleni.

Un altro mondo, e ho ancora nella memoria certe immagini, scomparse con le due guerre, immortalate in fotografie color seppia: un pranzo di spazzacamini, e per terra ci sono i mazzetti di tamerici, la vecchina delle caldarroste che aspetta i ragazzi della scuola, i carri trainati dai buoi che portano botti di mosto ai signori, i mercanti di granaglie, la biblioteca dell'Archiginnasio, le prime del Comunale, che fece conoscere Wagner; queste istantanee furono distrutte con la rivoltellata di Gavrilo Princip, nel 1914, a Sarajevo.

La mia infanzia e l'adolescenza sono quelle di un balilla: e in piazza Maggiore c'era sempre l'adunata e i ragazzi facevano discorsi maliziosi sul Nettuno del Giambologna, con le fontane che gli spruzzano addosso quasi un centinaio di zampllli.

Questa piazza è un grande ritrovo, che ospita gli hippies e i turisti, e fa da sfogo a via Rizzoli, a via Indipendenza e al Pavaglione e a via Ugo Bassi, le strade del passeggio.

Sullo sfondo le torri: più alta quella degli Asinelli, 97.60 m, e prende nome da un'antica famiglia, e ci si può andare in cima, basta sopportare 498 gradini, poi la Garisenda.

Ricordo quando, dal colle della Guardia, scendeva in città la venerata Madonna di San Luca, una vergine bizantina dalla faccia nera e affaticata delle povere contadine, e le folle la accompagnavano: in piazza benediva i fedeli, e questo popolo concreto, che non sa dire nel suo dialetto: Ti amo, ma Ti voglio bene, si inginocchiava.


Enzo Biagi (I come italiani - 1993 - Rizzoli)


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