Berlusconi ha fatto segnare un record. Questo vero. Il presidente del Consiglio, ospite unico dello speciale di Porta a Porta, ha registrato il peggior ascolto dell'anno nella prima serata di Raiuno. Tre milioni 200 mila spettatori di media, il 13,4 per cento di share. Un risultato che per qualsiasi altro programma di Raiuno comporterebbe l'immediata chiusura col voto unanime dei vertici di viale Mazzini. Al contrario, stavolta erano stati oscurati i programmi concorrenti, da Ballarò a Matrix. Eppure la "tv dell'obbligo", come ha scritto Aldo Grasso sul Corriere della Sera, non ha funzionato. Soprattutto perché non ha funzionato lui, il Grande Comunicatore. È una nemesi storica per un uomo che ha fondato un partito con un messaggio via etere. Si possono naturalmente trovare molti alibi, a cominciare dalle partite sulla pay tv, che per chi è abbonato sono ormai pane quotidiano. Si può credere comunque ai sondaggi esibiti dal premier, che certo rimane popolare. Ma nessuno come Berlusconi sa che si vota anche col telecomando. E stavolta gli italiani hanno cambiato canale in massa. Il re delle televisioni è stato sfiduciato dall'audience. Si tratta di una svolta nella fenomenologia del personaggio. Il Grande Comunicatore sembra aver perso la sua magia. La trasmissione era davvero brutta, televisivamente sgrammaticata, ingessata e noiosa, percorsa da un livore fastidioso e soprattutto per lunghi tratti incomprensibile. Berlusconi va ormai da mesi in tv per reagire, in genere con insulti, a fatti dei quali lo spettatore medio, tanto più quello di Porta a Porta, non sa assolutamente nulla. Nessun telegiornale ha mai letto le famose dieci domande di Repubblica, riprese da tv e giornali di mezzo mondo. I notiziari hanno ormai abolito o censurato le rassegne stampa italiane e straniere. Pochi italiani usano Internet. Insomma, s'immagina lo sconcerto dello spettatore medio di Porta a Porta, fascia anziana, bassa scolarità, poca consuetudine con la carta stampata, che osserva il premier gonfio di rancore e si volta per chiedere lumi alla signora: "Ma con chi ce l'ha? Che è successo?". Nella puntata dei record, si è assistito a un'oretta di tv surreale, durante la quale si è discusso dei "dissapori" fra Berlusconi e Fini senza che uno dei giornalisti presenti sentisse il bisogno di citare l'episodio scatenante. Il fatto. In questo caso, la notizia che Gianfranco Fini aveva querelato il Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi, dopo essere stato prima invitato a tornare "nei ranghi" e poi minacciato con presunte rivelazioni a sfondo sessuale. Questi sono fatti, non opinioni di Repubblica. A proposito, sempre Berlusconi continua a ripetere nel salotto di Vespa che "Repubblica s'inventa di mie frequentazioni con minorenni e di veline inserite nelle liste elettorali". Anche qui, nessun giornalista del salotto ha mai avvertito il dovere professionale d'informare gli spettatori che quelle accuse non sono partite da Repubblica ma dalla signora Veronica Lario, moglie di Berlusconi e madre dei suoi figli. Riportate come tali, ancora una volta, dalla stampa mondiale. Questi sono fatti. Vengono prima di destra e sinistra. Possiamo domandare che razza di servizio pubblico è quello che offre un pulpito agli insulti del premier ("farabutti", "delinquenti"), senza mai sfiorare una notizia? Il presidente della Rai è giustamente intervenuto per difendere i programmi Rai e i giornalisti attaccati dal premier in casa Vespa. Ma in questi giorni i nuovi padroni della tv di Stato stanno valutando il modo di correggere, ridimensionare negli organici o addirittura chiudere programmi di giornalismo come Annozero o Report. I pochi che ancora offrono informazione, fatti. A parte questo, programmi di successo, con percentuali di ascolti ben superiori agli speciali di Porta a Porta. I cui conduttori costano un terzo, nel caso di Michele Santoro, o addirittura un decimo, come Milena Gabanelli, rispetto al milione e ottocentomila euro che ogni anno porta a casa Bruno Vespa per non fare servizio pubblico. Per questo dobbiamo pagare il canone?
Curzio Maltese ("La Repubblica" - 17 settembre 2009)
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