Valentino Rossi, non nasce solo dal puro talento o dall’escalation tecnica, ma dall’ordine cosmico dell’universo, essendo egli la moderna mutazione genetica del turbocinno da bar.
Tanti anni fa chiamavasi turbocinno da bar, nei paesi e nelle periferie, un ragazzo dai sei ai sedici anni, di poco peso e molti brufoli, con le seguenti caratteristiche:
a. tendenza a passare su un motorino il novanta per cento del suo tempo.
b. tendenza a pistolare, ovverossia truccare, ovverossia maggiorare le prestazioni di detto motorino, con ogni mezzo illegale, impensabile, inesplorato, inconcepibile alle leggi della cinetica e della fisica.
c. tendenza a passare col cosidetto motorino avanti, indietro e a volte dentro al bar, nel modo più veloce, rumoroso e fastidioso possibile, possibilmente nelle ore notturne o di siesta.
Cosa portava il turbocinno alla sua vocazione di rompiballe, ai suoi micidiali arabeschi di sgasate e sgommate? Un insieme ribaldo di asinaggine infantile, esibizionismo, solitudine, libertà. Ma soprattutto il triste presentimento che ben presto il suo mondo nomade sarebbe diventato ingorgo, isteria, massacri autostradali, spot patinati e guerre petrolifere. Ricordo qui cinque famosi turbocinni del passato, giurando che il racconto è per metà veritiero.
1 ZINZELLA, così detto per il rumore del suo Morini, un sibilo lancinante simile alla cabrata di una zanzara di cinquanta chili, così acuto da frantumare i bicchieri di Campari e arricciare il pelo dello scroto a cento metri di distanza. Ancora oggi la Honda e la Yamaha stanno studiando i resti del motorino per capire cosa avesse la marmitta zinzolitica per ottenere quel prodigioso rumore, diviso in quattro tonalità a seconda della marcia innestata, e precisamente:
Prima marcia: trapano del dentista.
Seconda marcia: tempesta nell’alveare.
Terza marcia: scoreggia di Godzilla.
Quarta marcia: c’è un jumbo nel tinello.
2 BERTO BISTECCHINA, così soprannominato per la sua tendenza a fare lo slalom nel traffico, i peli ai muri e le veroniche alle macchine, il che gli causava abrasioni ed ematomi in ogni parte del corpo. Nei momenti di maggior gloria si calcola che il novanta per cento della superficie cutanea di Bistecchina fosse erosa da intonaco, ghiaino, maniglie di auto, fiancate di autobus e simili. È lui l’inventore dello sponsor: avendo il corpo ricoperto da seicento cerotti, diceva di correre per la Salvelox.
3 CARLETTO CIPASSO. Famoso per la sua abilità nel guidare la moto in ogni posto strano e proibito, filosofia condensata nella frase «sulla strada son capaci tutti». Sue specialità: entrare nel bar tra i tavoli e giocare a flipper dalla moto che ruotava. Fare Bologna-Faenza tutta sui marciapiedi. Riuscire a fare inversione di marcia dentro una cabina telefonica. Il suo capolavoro: la consegna di una pizza a un diciottesimo piano, in gara con l’ascensore. Vinse lui.
4 DRIZZO. Leggendario turbocinno figlio di meccanico e parrucchiera, noto per essere riuscito a truccare una moto Corsarino fino a portarla, dice la leggenda, ai duecento chilometri orari. Pare che i suoi trucchi fossero soprattutto due: il motore a fionde contrapposte, e la miscela Drizzo: benzina, fernet, niagara per sturare i cessi, olio di ricino e carburo. La sua specialità era andare ai centotrenta su una ruota sola (non dite che sono capaci in molti, lui andava su quella davanti). Frase preferita: «Sono molto forte sul bagnato perché tutti quelli che carico si pisciano addosso».
5 VELENO. Il più noto di tutti. A dieci anni era già un fenomeno. Nessuno in curva riusciva a piegarsi tanto. La mamma gli diceva sempre: fatti la barba, ma non era la barba, era il catrame dell’asfalto. Un giorno fu deriso e sfidato dal Nero, un trentenne arrogante, bugiardo e pieno di soldi. Adesso farebbe il presidente del consiglio, allora andava in giro a fare lo sbruffone in maximoto. Sfidò Veleno a scendere giù dal passo della Raticosa. Il Nero gareggiava con una delle prime Kawasaki, Veleno con la prima e unica Mamimovai, una moto da lui assemblata con pezzi di Malanca, di Minarelli, di Motom e di una caldaia Vaillant. Il Nero aveva il casco integrale e Veleno teneva in testa un pitale. Il Nero aveva la tuta di cuoio e Veleno la calzamaglia della sorella. Ma non ci fu storia. Veleno vinse con ventiquattro tornanti di distacco, e quando il Nero arrivò, Veleno aveva già speso i soldi della scommessa in gelati.
Questi giovani eroi sconosciuti sono i veri maestri di Valentino. È il loro cromosoma che lo ha portato a essere il più bravo di tutti e a vendicare tutti i turbocinni ingiuriati, appiedati e vilipesi della storia. Ora che le case giapponesi se lo disputano a suon di miliardi, non deve dimenticare il rombo notturno delle pattuglie di turbocinni, sulle disobbedienti piste della leggenda. Quindi ha due prospettive:
Una, rinnegare la sua natura di turbocinno, diventare un Vip e iniziare a tirarsela come fanno tanti sportivi clonati e depressi, obbedienti al mister e al marketing.
Due, sentir pulsare nel sangue il cromosoma Tc, continuare a divertirsi e non farsi imbalsamare dal successo.
Se farà la prima cosa, attento: un giorno troverà un turbocinno che lo batterà. Se farà la seconda cosa vendicherà tutti i turbocinni incompresi della storia. In questo ultimo caso accetterò l’offerta del suo turbomanager Gibo: fare l’allegrologo di Valentino in cambio del dieci per cento dei guadagni. Ho capito solo dopo che si riferiva ai guadagni di Biaggi. In tutti i casi, che lo spirito guida dei turbocinni sia con voi.
Tanti anni fa chiamavasi turbocinno da bar, nei paesi e nelle periferie, un ragazzo dai sei ai sedici anni, di poco peso e molti brufoli, con le seguenti caratteristiche:
a. tendenza a passare su un motorino il novanta per cento del suo tempo.
b. tendenza a pistolare, ovverossia truccare, ovverossia maggiorare le prestazioni di detto motorino, con ogni mezzo illegale, impensabile, inesplorato, inconcepibile alle leggi della cinetica e della fisica.
c. tendenza a passare col cosidetto motorino avanti, indietro e a volte dentro al bar, nel modo più veloce, rumoroso e fastidioso possibile, possibilmente nelle ore notturne o di siesta.
Cosa portava il turbocinno alla sua vocazione di rompiballe, ai suoi micidiali arabeschi di sgasate e sgommate? Un insieme ribaldo di asinaggine infantile, esibizionismo, solitudine, libertà. Ma soprattutto il triste presentimento che ben presto il suo mondo nomade sarebbe diventato ingorgo, isteria, massacri autostradali, spot patinati e guerre petrolifere. Ricordo qui cinque famosi turbocinni del passato, giurando che il racconto è per metà veritiero.
1 ZINZELLA, così detto per il rumore del suo Morini, un sibilo lancinante simile alla cabrata di una zanzara di cinquanta chili, così acuto da frantumare i bicchieri di Campari e arricciare il pelo dello scroto a cento metri di distanza. Ancora oggi la Honda e la Yamaha stanno studiando i resti del motorino per capire cosa avesse la marmitta zinzolitica per ottenere quel prodigioso rumore, diviso in quattro tonalità a seconda della marcia innestata, e precisamente:
Prima marcia: trapano del dentista.
Seconda marcia: tempesta nell’alveare.
Terza marcia: scoreggia di Godzilla.
Quarta marcia: c’è un jumbo nel tinello.
2 BERTO BISTECCHINA, così soprannominato per la sua tendenza a fare lo slalom nel traffico, i peli ai muri e le veroniche alle macchine, il che gli causava abrasioni ed ematomi in ogni parte del corpo. Nei momenti di maggior gloria si calcola che il novanta per cento della superficie cutanea di Bistecchina fosse erosa da intonaco, ghiaino, maniglie di auto, fiancate di autobus e simili. È lui l’inventore dello sponsor: avendo il corpo ricoperto da seicento cerotti, diceva di correre per la Salvelox.
3 CARLETTO CIPASSO. Famoso per la sua abilità nel guidare la moto in ogni posto strano e proibito, filosofia condensata nella frase «sulla strada son capaci tutti». Sue specialità: entrare nel bar tra i tavoli e giocare a flipper dalla moto che ruotava. Fare Bologna-Faenza tutta sui marciapiedi. Riuscire a fare inversione di marcia dentro una cabina telefonica. Il suo capolavoro: la consegna di una pizza a un diciottesimo piano, in gara con l’ascensore. Vinse lui.
4 DRIZZO. Leggendario turbocinno figlio di meccanico e parrucchiera, noto per essere riuscito a truccare una moto Corsarino fino a portarla, dice la leggenda, ai duecento chilometri orari. Pare che i suoi trucchi fossero soprattutto due: il motore a fionde contrapposte, e la miscela Drizzo: benzina, fernet, niagara per sturare i cessi, olio di ricino e carburo. La sua specialità era andare ai centotrenta su una ruota sola (non dite che sono capaci in molti, lui andava su quella davanti). Frase preferita: «Sono molto forte sul bagnato perché tutti quelli che carico si pisciano addosso».
5 VELENO. Il più noto di tutti. A dieci anni era già un fenomeno. Nessuno in curva riusciva a piegarsi tanto. La mamma gli diceva sempre: fatti la barba, ma non era la barba, era il catrame dell’asfalto. Un giorno fu deriso e sfidato dal Nero, un trentenne arrogante, bugiardo e pieno di soldi. Adesso farebbe il presidente del consiglio, allora andava in giro a fare lo sbruffone in maximoto. Sfidò Veleno a scendere giù dal passo della Raticosa. Il Nero gareggiava con una delle prime Kawasaki, Veleno con la prima e unica Mamimovai, una moto da lui assemblata con pezzi di Malanca, di Minarelli, di Motom e di una caldaia Vaillant. Il Nero aveva il casco integrale e Veleno teneva in testa un pitale. Il Nero aveva la tuta di cuoio e Veleno la calzamaglia della sorella. Ma non ci fu storia. Veleno vinse con ventiquattro tornanti di distacco, e quando il Nero arrivò, Veleno aveva già speso i soldi della scommessa in gelati.
Questi giovani eroi sconosciuti sono i veri maestri di Valentino. È il loro cromosoma che lo ha portato a essere il più bravo di tutti e a vendicare tutti i turbocinni ingiuriati, appiedati e vilipesi della storia. Ora che le case giapponesi se lo disputano a suon di miliardi, non deve dimenticare il rombo notturno delle pattuglie di turbocinni, sulle disobbedienti piste della leggenda. Quindi ha due prospettive:
Una, rinnegare la sua natura di turbocinno, diventare un Vip e iniziare a tirarsela come fanno tanti sportivi clonati e depressi, obbedienti al mister e al marketing.
Due, sentir pulsare nel sangue il cromosoma Tc, continuare a divertirsi e non farsi imbalsamare dal successo.
Se farà la prima cosa, attento: un giorno troverà un turbocinno che lo batterà. Se farà la seconda cosa vendicherà tutti i turbocinni incompresi della storia. In questo ultimo caso accetterò l’offerta del suo turbomanager Gibo: fare l’allegrologo di Valentino in cambio del dieci per cento dei guadagni. Ho capito solo dopo che si riferiva ai guadagni di Biaggi. In tutti i casi, che lo spirito guida dei turbocinni sia con voi.
Stefano Benni (dicembre 2003)
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