venerdì 28 maggio 2010

C’è una nuova categoria di impuniti: i delinquenti amici dei parlamentari.

Nel giugno del 2003 i nostri legislatori, sprezzanti di ogni senso del ridicolo, emanarono una legge che imponeva ai magistrati che volessero intercettare uno dei loro di dirglielo prima: così avrebbero potuto valutare e, se del caso, autorizzare l’intercettazione. Naturalmente non una sola autorizzazione è stata concessa; e, per una volta, non tanto perché i cani non mangiano i loro simili; ma perché un magistrato così deficiente da mettere sotto controllo il telefono di una persona che è stata avvertita che sarà intercettata non c’è mai stato. La legge non era solo assolutamente cretina; era anche inaccettabile sotto il profilo della lotta alla criminalità, considerato che i non intercettabili ope legis costituivano una categoria ad alto indice di delinquenza e che impedire indagini, processi e condanne nei loro confronti certamente non rendeva un buon servizio al paese. Dopo qualche entusiasmo passeggero, i nostri ebbero un brusco risveglio. Gli abituali partners di malaffare gli telefonavano spesso.
Concordavano delitti, li convocavano in questo o quell’altro luogo (me ne ricordo una bellissima: “noi ti abbiamo messo lì e noi adesso ti vogliamo qui”), chiedevano e più spesso ordinavano appoggi politici alle loro malefatte. Il guaio era che questa gente, mafiosi, imprenditori corrotti e corruttori, altri politici non coperti dallo scudo, era intercettabile e infatti molto spesso era intercettata. E quello che i magistrati non potevano apprendere direttamente dall’ascolto dei telefoni dei parlamentari lo scoprivano ascoltando i telefoni dei loro soci. Un parziale rimedio a questa situazione c’era; se un magistrato si imbatteva in una telefonata del genere non poteva utilizzarla nei confronti del parlamentare. Ci andava l’autorizzazione degli altri parlamentari. Che ovviamente non arrivava. Però arrivava la pubblicazione sui giornali: prigione non se ne parlava ma un po’ di sputtanamento, magari la trombatura alle prossime elezioni (rarissima), questo era seccante.
Così sono corsi ai ripari. La nuova legge sulle intercettazioni (cioè sul blocco delle intercettazioni) dice che non si può intercettare un telefono di un qualsiasi delinquente quando “emerge che le operazioni medesime sono comunque finalizzate, anche indirettamente, ad accedere alla sfera delle comunicazioni del parlamentare”. Che vuol dire? Semplice: mafioso “abbiamo deciso di ammazzare Falcone”; parlamentare: “bene, bravo, è proprio una buona idea; se ti serve una mano dimmelo”; mafioso: “si magari; adesso vedo e poi ti do notizie precise”. Stop all’intercettazione perché, se continua, è certamente finalizzata, anche indirettamente, ad accedere alla sfera delle comunicazioni del parlamentare che si è messo a disposizione del mafioso. E allora che si fa? Semplice: si manda tutto agli altri parlamentari, raccontando a tutti loro (quindi anche al complice del mafioso) che si sta indagando sul futuro omicidio di Falcone.
Nella più totale riservatezza (quella che impedirà ai cittadini di conoscere i rapporti tra il parlamentare e la mafia, non quella che consentirà ai mafiosi di sapere che si sta indagando su di loro) i nostri decideranno se autorizzare il pm a continuare l’intercettazione del mafioso oppure no. Insomma c’è una nuova categoria di impuniti: i delinquenti amici dei parlamentari. Per dire: intercettare le telefonate di Mangano a B. non si potrebbe fare.

Bruno Tinti (da il Fatto Quotidiano del 28 maggio 2010)

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