I milioni di italiani che in questi decenni hanno lavorato sodo, per salari e stipendi modesti, e che adesso si sentono intimare dal governo “è arrivata l'ora dei sacrifici duri” come se fossero loro i responsabili della crisi, si domandano come in una vecchia canzone dei Rokes: Ma che colpa abbiamo noi?. È tutta la vita che facciamo sacrifici, che cosa si pretende ancora da noi? Diteci chi sono i veri responsabili perché abbiamo il diritto di farli a pezzettini. E qui viene il difficile. Responsabile è l'attuale governo? È poco credibile perché, per quanto possa aver commesso errori, è alla guida del Paese da soli due anni. È allora colpa del governo precedente? Meno ancora, in fondo Padoa Schioppa, senza fare il chiasso di Tremonti, un paio di misure per riassestare i nostri conti pubblici le aveva prese. Bisogna quindi risalire agli '80, gli anni della "Milano da bere" (per la verità a berla erano solo i socialisti), delle pensioni baby, delle pensioni d'oro, delle pensioni di invalidità false, delle pensioni di vecchiaia fasulle, delle casse integrazioni protratte all'infinito e insomma degli sperperi di denaro pubblico perpetrati, ai fini del voto di scambio, da tutti i partiti, ma principalmente da quelli di governo, Dc e Psi. Ma oggi è impossibile chiedere il conto all' "esule" di Hammamet o agli ectoplasmi di Andreotti e Forlani. Ma la crisi non dipende solo dalle nostre sciagurataggini. Tanto è vero che anche Paesi serissimi, come la Germania, devono fare "sacrifici duri". La causa più profonda si chiama globalizzazione. La globalizzazione, che inizia con la Rivoluzione Industriale e arriva a piena maturazione negli ultimi anni con l'acquisizione al modello di sviluppo occidentale di quasi tutti i Paesi del mondo (quelli che non ci stanno, come l'Afghanistan talebano, li bombadiamo) è, in estrema sintesi, una spietata competizione fra Stati che passa per il massacro delle popolazioni del Terzo e del Primo mondo. Prima ha distrutto i più deboli Paesi terzomondisti (l'Africa nera, per esempio) ma adesso intacca anche i più forti Paesi industrializzati. Il paradosso della globalizzazione è che arricchisce in teoria le Nazioni (che, per competere, si dotano di più infrastrutture, più aeroporti, più autostrade, più trafori, eccetera) ma impoverisce le loro popolazioni o, comunque, sempre per competere, le costringe a lavorare di più e guadagnare di meno. A fare "sacrifici duri". La globalizzazione è ritenuta un processo irreversibile sia dalla destra che dalla sinistra internazionali. Bill Clinton a un Forum del 1998 dichiarò: “La globalizzazione è un fatto non una scelta politica”. E Fidel Castro nello stesso Forum: “Gridare abbasso la globalizzazione equivale a gridare abbasso la legge di gravità”. Invece il processo di globalizzazione, come tutte le cose umane, può essere invertito o almeno, in attesa di mandarlo definitivamente all'inferno, contenuto. Come? Con l'autarchia, concezione squalificata perché fu del fascismo. È chiaro che oggi, a differenza degli anni Venti o Trenta, nessun Paese, da solo, può essere autarchico. È possibile invece, solo che lo si voglia politicamente, un'autarchia europea. L'Europa ha popolazione, mercato, risorse, know how sufficienti per essere autarchica. Naturalmente questo avrebbe dei costi, molti prodotti diverrebbero inaccessibili e la ricchezza complessiva del Continente, ma probabilmente non delle sue popolazioni, diminuirebbe. Ma noi non abbiamo bisogno di ingurgitare altri prodotti, di inventarci nuove scemenze tecnologiche, di nuove "linee di beauty per cani" ma di smagrire, e di molto, e semmai di distribuire più equamente la ricchezza rimasta. San Francesco, che predicava la povertà oltre che l'armonia con la Natura, è oggi più rivoluzionario e attuale del vecchio Marx.
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano - 29 maggio 2010)
Massimo Fini (Il Fatto Quotidiano - 29 maggio 2010)
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