sabato 29 maggio 2010

Elena, Elena, Amore mio: Premessa

Appartengo a una generazione che non ha mai giocato agli indiani e cow-boy. Quali le ragioni non saprei dirlo: sarà che negli anni Quaranta non erano ancora arrivati i fìlm di John Wayne, o che Mussolini ci spingeva di più verso la «classicità» che non verso il Far West, certo è che noi balilla, quando dovevamo fare a botte, preferivamo dividerci in Greci e Troiani piuttosto che in Sioux e soldati del Settimo Cavalleggeri. La prima guerra tra ragazzi di cui conservo memoria fu quella combattuta tra la quarta B e la quarta C del Liceo Ginnasio Umberto Primo di Napoli in Villa Comunale, nel tratto compreso tra piazza Vittoria e la cosiddetta Cassa Armonica (che nella circostanza ci rimise tutti i vetri colorati della fascia inferiore). Avevamo spade di legno e utilizzavamo come scudi i coperchi dei bidoni dell'immondizia, sui quali in precedenza avevamo scritto a grandi lettere: «A MORTE I FIGLI DI TROIA». Il perché poi noi fossimo i Greci e loro i Troiani, non sono mai riuscito a spiegarmelo; probabilmente perché eravamo stati noi della quarta B i primi a pensarci. In realtà avremmo voluto essere tutti Achille, solo che per sostenerlo a voce alta bisognava fare i conti con un certo Avallone, un bisonte, mio compagno di classe, dotato di due mani grosse come prosciutti.
I ruoli di Diomede, Aiace Telamonio, Aiace Oileo e Idomeneo furono subito accaparrati dai ragazzi più robusti della quarta B, motivo per cui dovetti accontentarmi di essere Epistrofo, un eroe focese che perfino Omero aveva snobbato, nominandolo solo una volta nell'elenco dei capitani. Ma per capire fino a che punto i nomi fossero distribuiti a caso, basti pensare che Cotecchia, l'ultimo della classe, individuo noto per la sua dabbenaggine, impersonava l'astuto Ulisse, e solo perché era amico di Avallone.
Inutile dire che nessuno di noi voleva essere Menelao. Che il fratello di Agamennone avesse le corna era fin troppo noto perché qualcuno potesse portarne il nome con disinvoltura. Eppure, a pensarci bene, proprio io avrei potuto accollarmi l'ingrato compito, dal momento che ero stato appena mollato da tale Ceravolo Elena, una ragazzina della terza A che aveva perfino il nome giusto per sostenere il ruolo dell'adultera.
Un giorno, all'una, l'attesi inutilmente all'uscita di scuola. Vidi sfilare, una dopo l'altra, tutte le sue compagne, e quando alla fine chiesi ragguagli a una biondina con gli occhiali, questa, non senza un pizzico di cattiveria, mi rispose: «Elena ha fatto "filone" (1) con Giorgio, quello alto della quarta C». Rimasi annichilito: avevo appena scritto una poesia dal titolo «Elena, Elena, amore mio» e avrei tanto voluto leggergliela mentre l'accompagnavo a casa. Girai come un ebete tutto il giorno e l'indomani mi vendicai nel modo più abietto: andai a dire ad Avallone che quelli della quarta C lo avevano soprannominato «palla di sivo», e tanto bastò per far scoppiare la prima grande guerra tra gli Achei e i Troiani.
Avallone, ovvero Achille, era un autentico camorrista: pretendeva una sigaretta al mese da tutti i suoi compagni di classe e guai a chi non era puntuale. Un giorno, per aver solo tentato un accenno di ribellione, presi tante di quelle botte che ancora oggi ne conservo il ricordo. Ebbi modo, comunque, di rivalermi durante il compito di greco: quando l'energumeno mi chiese di passargli la traduzione, risposi con molto coraggio: «Mi chiamo Epistrofo e sono un misero focese: il greco non lo so. Se proprio non sai cosa scrivere fatti aiutare da Ulisse che è amico tuo!"
Mosso da questi ricordi, quasi per un desiderio incontenibile di rivivere quei giorni, ho cercato di raccontare anch'io nel mio piccolo, la guerra di Troia, vista però con gli occhi di Leonte, un ragazzo di sedici anni che parte per il fronte, insieme al suo maestro Gemonide, con nove anni di ritardo rispetto all inizio delle ostilità.
Leonte è alla ricerca di suo padre, il re di Gaudos, dato per disperso da circa cinque anni: nessuno degli Achei gli sa dire se sia stato ucciso in battaglia o se sia stato fatto prigioniero dai Troiani. Tra le varie ipotesi c'è anche quella di un complotto ordito da suo zio Antifinio per impossessarsi del trono di Gaudos, un'isoletta poco più a sud di Creta. Non appena messo piede a terra, il ragazzo conosce Tersite, il guerriero storpio odiato da tutti a causa delle sue maldicenze. A sentire lui, Agamennone è un volgare profittatore, Achille un feroce assassino e Ulisse un emerito mariuolo. In un primo momento Leonte cercherà di difendere i suoi idoli, ma in seguito dovrà arrendersi all'evidenza dei fatti.
Il romanzo inizia più o meno nello stesso anno in cui comincia l'"Iliade", ovvero con il famoso litigio tra Agamennone e Achille che «infiniti addusse lutti agli Achei», e termina con il cavallo di legno e l'eccidio che ne seguì. Leonte, a forza di chiedere notizie del padre, finisce per conoscere (e per innamorarsi) di una troiana chiamata Ekto. La donna rassomiglia stranamente a Elena. «E' lei o non è lei?» si chiede con ansia il ragazzo. «Non è lei» gli risponde duro Tersite «e anche se lo fosse, non sarebbe mai una donna in carne e ossa: Elena è un fantasma, è una nuvola a forma di femmina costruita da Era solo per distruggere Troia!».

Personaggio ambiguo, sempre oscillante tra la passione e il rimorso, Elena ci guarda. Vittima o colpevole che sia, e lei l'unico motore del mondo. Lidia Storani Mazzoleni, nei suoi "Profili omerici" (Editoriale Viscontea), ne traccia un ritratto a più facce molto suggestivo. Elena è l'essenza della femminilità. Chi nella vita ha amato sa di che cosa sto parlando. Sa, ad esempio, che non è mai riuscito, nemmeno per un attimo, a possederla sul serio: anche quando credeva di stringerla tra le braccia, anche quando lei gli giurava tra le lacrime di amarlo per sempre. Ah, Elena, Elena, amore mio! E' a te che dedico questo libro, nella speranza, e nel timore, d'incontrarti ancora.


Luciano De Crescenzo (Elena, Elena, Amore mio - Mondadori - 1991)


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