Il giudice Mesiano, quello che una settimana fa condannò Berlusconi a pagare 750 milioni a De Benedetti, è stato promosso dal Csm con una motivazione che inneggia alla sua indipendenza e imparzialità. In questi casi a Roma dicono: «Nun ce se crede». I tifosi delle due squadre in campo hanno già srotolato gli striscioni, la Curva Nord per attaccare i giudici, la Sud per difenderli. Urla la Nord: premiato pronta cassa il magistrato berluschicida, quale migliore prova della faziosità del Csm e delle toghe politicizzate in genere? Contro-urla la Sud: lo scatto di carriera fu deciso a settembre dalla «commissione competente» presieduta da un consigliere di centrodestra, quale migliore prova dell'assenza di malafede? Infatti non c'è la malafede, ma qualcosa di peggio. C'è l'ottusità tipica di tutte le burocrazie, per le quali non esistono uomini ma «pratiche» e le cui decisioni se ne infischiano del contesto nel quale vengono calate, preferendo galleggiare in un ciberspazio di precedenze, automatismi e anzianità. Il Csm è il regno di certi riti borbonici, fin dai tempi in cui azzoppò la carriera di Falcone per una vicenda di «scatti». Anche l'ultimo degli ingenui avrebbe suggerito di rinviare la promozione di qualche mese: Mesiano stesso avrebbe capito e gradito. Ma lo «scatto» incombeva e di fronte al timbro della «commissione competente» si sono arrese, nell'ordine, l'intelligenza, l'opportunità e quel briciolo di buon senso che dovrebbe ancora distinguere un consesso di uomini da un'assemblea di passacarte.
Massimo Gramellini (da La Stampa - 15 ottobre 2009)
Massimo Gramellini (da La Stampa - 15 ottobre 2009)
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