sabato 16 ottobre 2010

Balle spaziali

Qualche anno fa Giovanni Sartori scrisse che “in Italia anche la tv ‘di tutti’ è imbavagliata; il che consente a Berlusconi e alla sua squadra di mentire senza spazio di controprova. Si capisce, a mentire ci provano tutti. Ma dove la tv è autenticamente libera le bugie hanno le gambe corte, mentre da noi hanno gambe lunghissime. La verità, sulla nostra tv, non è accertabile”. Il guaio è che chi dovrebbe sbugiardare le menzogne della Tv Unica del Padrone Unico, cioè i giornali, collabora a diffonderle a piene mani.
Mauro Masi, sospende Santoro per 10 giorni e chiude Annozero per due puntate per “frasi insinuanti ed espressioni allusive e irriguardose chiaramente volte a denigrare il Direttore Generale della Rai, così concretizzando, di fatto, un attacco personale… come unanimemente recepito dai mass media”. Infatti ancora ieri quasi tutti i giornali scrivevano che Santoro aveva detto “vaffan…bicchiere”, cioè vaffanculo, a Masi. Ma basta ascoltare le parole di Santoro su Youtube per rendersi conto che, nella lunga metafora sulla fabbrica dei bicchieri, non c’era alcun attacco personale a Masi: “Ma voi imprenditori, se vi dicono che tutti i bicchieri, anche quelli della vostra azienda, devono tutti avere il marchio ‘libertà’, ex ante, altrimenti non vanno in commercio, cosa gli dite? Che sia l’azienda, il direttore, l’autorità, voi gli direste: ma vaffan…bicchiere, no?”.
Possibile che nessuno riporti la frase testuale di Santoro, perché i lettori giudichino la congruità o meno della sanzione? Qualche mese fa i revisionisti di Calciopoli, quelli del “tutti colpevoli, Moggi innocente”, strombazzavano le “nuove intercettazioni”, occultate chissà perché dai carabinieri e dalla Procura di Napoli, che avrebbero dovuto dimostrare come Giacinto Facchetti all’Inter facesse le stesse cose di Lucky Luciano alla Juve, fino al punto di chiedere l’arbitro Collina al designatore Bergamo. Noi scrivemmo che la frase “Metti Collina” l’aveva pronunciata Bergamo, non Facchetti come affermava la difesa Moggi. Bene, il perito del Tribunale ha stabilito definitivamente che la frase era di Bergamo e Facchetti non ha fatto nulla di paragonabile a Moggi. La stessa miseranda fine stanno facendo le panzane sulla “svendita” dell’alloggio monegasco di An e sui “falsi” fabbricati da Massimo Ciancimino sulle carte del padre.
Altre balle spaziali invece seguitano a correre su gambe lunghissime. Appena partita l’inchiesta sul caso Porro-Marcegaglia, s’è scatenata la solita canea per screditare il pm Woodcock, quello che “non ne azzecca una”. E il consigliere leghista al Csm, Matteo Brigandì, ha chiesto di aprire una pratica contro di lui perché “quello che viene definito dai giornali ‘metodo Woodcock’, nel senso di inchieste che poi si risolvono nel nulla, lede la credibilità della magistratura”. Per sapere come finiscono le inchieste di Woodcock, Brigandì potrebbe consultare il suo curriculum depositato al Csm nella pratica per la promozione a magistrato di Corte d’appello. Scoprirebbe che Woodcock ha fatto condannare in vari gradi, fra gli altri, il cancelliere del Tribunale di Potenza che intascava tangenti; il direttore e il presidente del collegio sindacale Inail, entrambi corrotti, che hanno risarcito milioni di euro; l’ambasciatore Vattani e il portavoce finiano Sottile per peculato; gli imprenditori Roberto e Claudio Petrassi per corruzione con l’assessore laziale Gargano; una dirigente dell’Agenzia delle Entrate, anch’essa per corruzione; il più noto avvocato potentino, Piervito Bardi, per favoreggiamento; Fabrizio Corona e altri per varie estorsioni e una corruzione. E ha fatto rinviare a giudizio (ancora in corso), fra gli altri, il magistrato Vincenzo Barbieri (all’epoca dirigente al ministero della Giustizia, ora procuratore capo di Avezzano) per falso, truffa e peculato. Un’altra mega-inchiesta ancora in corso sulle tangenti Total Italia per le estrazioni petrolifere, ha avuto varie conferme fino in Cassazione. Che i Masi i Moggi e i Brigandì dicano le bugie è normale. Che i giornali facciano da palo, un po’ meno.

Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano - 15 ottobre 2010)

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